Barbie, recensione: life in plastic it's (not) fantastic!

La recensione di Barbie, film di Greta Gerwig con protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling nei ruoli delle bambole Barbie e Ken: meravigliosa follia pop che cattura lo spirito dei tempi. In sala dal 20 luglio.

Barbie, recensione: life in plastic it's (not) fantastic!

Almeno una volta vi sarà capitato di scrollare la home di Instagram senza riuscire a fermarvi. Un gattino e un servizio fotografico in costume dopo l'altro, provando allo stesso tempo disagio - perché, invece di essere lì, su quella spiaggia, siete nella vostra stanza o in ufficio - e senso di colpa, perché, senza che ve ne rendeste conto, è passata mezz'ora e voi siete ancora lì, col telefono in mano. E con meno soldi sul conto, dato che nel frattempo avete comprato quel costume, sperando di metterlo durante vacanze che non potete permettervi e forse quest'anno nemmeno farete. Con un triplo salto carpiato, Greta Gerwig è riuscita nel miracolo: la recensione di Barbie è quasi la testimonianza di un evento più unico che raro.

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Barbie: Margot Robbie allo specchio in una scena

La sensazione che abbiamo appena descritto è causata da un sistema gigantesco, che possiamo condensare in una sola parola: capitalismo. È il capitalismo che, di anno in anno, ci dice come dobbiamo sentirci, cosa desiderare, che aspetto avere. Più potere d'acquisto hai e più il capitalismo ti valorizza. Se sei bello vai bene, se hai soldi vai bene, se hai tanto seguito sui social vai bene. Non importa davvero ciò che tu dica o faccia: se smuovi denaro vai bene.

Peccato che in un sistema come questo, in cui ciò che più conta sono i numeri, ci sia poco spazio per gli esseri umani in carne e ossa. Appena si rimane indietro, appena non si è più performanti, si viene dimenticati. Da qui l'angoscia di dover essere sempre, se non perfetti, almeno al passo. In un vortice che si autoalimenta e spreme le energie di chi ne fa parte. Lo sapeva anche il Tonio Kröger di Thomas Mann, che guardava con un misto di desiderio e rabbia "quelli dagli occhi azzurri, che non hanno bisogno dello spirito".

Questa "paura senza motivo", come la chiama lei, è proprio quella che prende all'improvviso la "Barbie stereotipo" interpretata da Margot Robbie, anche produttrice. Il suo mondo da favola, Barbieland, tutto rosa e sogni motivazionali, si inceppa e comincia ad avere "irrefrenabili pensieri di morte". Proprio lei, che incarna l'ideale di perfezione assoluto.

La trama di Barbie

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Barbie: una scena del film

Per cercare di rimettere le cose al loro posto, la bambola deve andare nel mondo degli umani. Questa "botta di realtà" cambia tutto. Non soltanto per lei: anche Ken (Ryan Gosling, che merita una nomination all'Oscar per questa interpretazione) non sarà più lo stesso. Nato come un semplice accessorio di Barbie, è proprio lui a offrire lo spunto più interessante del film, scritto dalla stessa Greta Gerwig insieme a Noah Baumbach. Nonostante a produrre sia proprio Mattel, il film non è soltanto un grande spot della bambola. Almeno non soltanto: gli autori sono infatti riusciti a partire dall'oggetto per costruire un discorso molto più complesso e per nulla superficiale. Un po' come fatto anche in Air, pellicola di Ben Affleck che racconta la creazione delle scarpe Air Jordan. D'altra parte per cercare di raccontare il capitalismo contemporaneo quale miglior punto di partenza ci può essere delle sue icone? E sia la Barbie che le Air Jordan sono tra le icone più riconoscibili al mondo: dentro quelle scatole non ci sono soltanto bambole e scarpe. Ma un'idea, un modo di essere.

Il punto di vista è tutto

Nel nostro paese, in cui l'età media è di 47 anni e le parole "patriarcato" e "femminismo" vengono percepite quasi come bestemmie, probabilmente non ce ne siamo accorti, ma nel mondo anglosassone la differenza tra cultura "alta" e cultura "bassa" è sempre più messa in discussione. Il cinema non fa eccezione: basta ascoltare qualche puntata del podcast Films to be buried with, dell'attore e sceneggiatore Brett Goldstein (Roy Kent nella serie Ted Lasso) per capire che tra i cinefili c'è una frattura generazionale netta. Dai 30 anni in su è quasi impensabile mettere in discussione capisaldi della cinematografia e mostri sacri come Il Padrino o Stanley Kubrick. Ancora di più se a parlare è un cinefilo uomo. C'è sempre un atteggiamento di superiorità, che porta a considerare universali (e di maggior valore) le storie che raccontano una certa visione del mondo. In cui spesso i protagonisti sono soprattutto personaggi maschili.

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Barbie: Ryan Gosling in una scena del film

Estremamente consapevole di questo, Greta Gerwig gioca con intelligenza con questo pregiudizio: se tutto ciò che è rosa, alla moda e femminile è superficiale e sciocchino, quale occasione migliore per parlare di questa "scala di valori a misura di maschio" di un film sulla Barbie? Sapendo benissimo che il punto di vista femminile è spesso considerato, appunto, destinato a un pubblico di sole donne, mentre quello maschile va bene per tutti, la regista ci mostra come a Barbieland gli "uomini" siano le Barbie, mentre le donne sono i Ken. A Barbieland tutto è fatto a misura di Barbie, mentre i Ken non hanno il potere e vivono soltanto in funzione delle prime. Esistono soltanto quando queste li guardano. Gerwig dà quindi a Ken, un uomo, un punto di vista femminile. Forse così anche chi dice di non riuscire a empatizzare con personaggi femminili (e ce ne sono, purtroppo) questa volta magari, anche inconsapevolmente, potrà capire come ci si sente a essere considerati sempre "un po' meno", semplicemente perché si esiste. La regista dissemina quindi il suo film di citazioni al cinema alto (Il padrino c'è, insieme a una stoccatina all'universo iper-muscolare dei supereroi di Zack Snyder), arrivando ad aprire e chiudere Barbie con citazioni a Kubrick. L'apertura è una parodia di 2001: Odissea nello spazio, la chiusura di Eyes Wide Shut.

Un meraviglioso delirio pop

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Greta Gerwig e Noah Baumbach alla cerimonia degli Oscar

Tranquilli però: Barbie non è un pistolotto femminista pesante e noioso. Anzi. In due ore si gioca con i generi, passando dalla commedia demenziale al musical (i numeri musicali, in cui Ryan Gosling dà il meglio di sé, sono stupendi, così come la colonna sonora, che può contare su brani originali di Dua Lipa, che ha anche un cameo, e Billie Eilish), per un mix stravagante che scorre veloce e divertente. In cui però, così, all'improvviso, come anomalie del sistema, si dicono frasi quali: "oggi lo applichiamo bene il patriarcato, solo che lo nascondiamo meglio" e "le odiano tutti le donne, sia gli uomini sia le donne: è l'unica cosa su cui siamo d'accordo". Si arriva perfino a dare della "fascista" a Barbie, perché incarna un'ideale di bellezza irraggiungibile, che fa stare male le donne ed è sostenuto soprattutto dagli uomini (il CEO di Mattel, interpretato da Will Ferrell, e tutti i membri a capo dell'azienda sono appunto uomini).

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Barbie: Margot Robbie in una scena

Quando Barbie e Ken vanno nel mondo reale scoprono infatti che esiste il sessismo, che il capitalismo si fonda sul patriarcato, che Barbie non ha risolto i problemi delle donne, anzi. Ha detto loro che potevano essere tutto ciò che sognavano, avere soldi, una casa, qualsiasi tipo di carriera. Ma guai a non avere capelli perfetti, sorriso smagliante o, orrore, la cellulite. O magari nascere povere. E quando il tuo mondo è fatto soprattutto di cose considerate effimere e superficiali come il trucco e i vestiti, questi diventano sostanza: ecco quindi che le scarpe sono una metafora della vita. Come in Matrix, "Barbie stramba" (Kate McKinnon) offre una pillola rossa e una pillola blu a Barbie stereotipo, nella foggia di una Birkenstock e una scarpa col tacco. La sua scelta diventa decisiva. E quando Barbie, che ha il piede perennemente arcuato, dice "non porterei mai i tacchi se i miei piedi fossero fatti così" sappiamo già che non è più un'idea, ma una donna, un essere umano, che sta capendo come funzionano le cose in un mondo analogico, in cui non c'è un filtro a rendere tutto più bello.

Sfruttando sapientemente il proprio "potenziale memabile", Barbie punta a un pubblico vastissimo: dai più giovani che ripeteranno i balletti su TikTok, ai nostalgici cresciuti collezionando Barbie, fino ai cinefili, che possono divertirsi a cogliere tutte le citazioni (ce n'è anche una di Jurassic Park: occhio allo specchietto della macchina). E questo non è essere superficiali, ma capire il linguaggio del proprio tempo, farne parte e poterlo quindi contemporaneamente cavalcare e decostruire. Con buona pace di chi lo ha bollato già in partenza come "il film su una bambola", Gerwig, Baumbach, Robbie e Gosling (con la benedizione di una sorprendentemente lungimirante Mattel) ne hanno fatto un vero e proprio manifesto pop, con la potenzialità di riempire finalmente le sale ed entrare capillarmente nella cultura popolare. Ci troviamo infatti di fronte a un "instant cult", che verrà citato per anni (la "Kenergy" è già un fenomeno). Nonostante, o forse anzi sopratutto, grazie alla sua "fragilità bionda".

Conclusioni

Come scritto nella recensione di Barbie, il film di Greta Gerwig è un manifesto pop, coloratissimo e divertente. Partendo da uno degli oggetti più iconici del '900, Gerwig e Noah Baumbach, che scrive insieme alla regista, hanno creato una pellicola che non è soltanto commerciale, ma anche una riflessione sul capitalismo e sul concetto di arte "alta" in contrapposizione a quella considerata "bassa". Tutto questo non avrebbe però funzionato senza due interpreti non solo perfetti per il ruolo, ma in stato di grazia: Margot Robbie, anche produttrice, è Barbie, mentre Ryan Gosling, nei panni di Ken, prende a sorpresa la scena. E si merita una nomination all'Oscar.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • La scrittura brillante e consapevole di Greta Gerwig e Noah Baumbach.
  • Margot Robbie: una grande attrice e una produttrice intelligente.
  • Ryan Gosling: per il ruolo di Ken merita una nomination all'Oscar.
  • Le scenografie di Sarah Greenwood.
  • La fotografia di Rodrigo Prieto.
  • La colonna sonora.

Cosa non va

  • È un film commerciale, che non può non fare anche pubblicità alla bambola (a produrre è proprio Mattel). Ma lo fa in modo intelligente.