Televisore acceso e telecomando puntato. Scorriamo le app, fino ad arrivare su Disney+. Tra le sezioni, eccola lì, la Marvel. In primissimo piano. C'è tutto. Ovvio. Dai corti One-Shots (a proposito, perché non se ne fanno più?) fino alle serie che, in qualche modo, stanno provando ad allargare lo spettro di un universo che non conosce limiti. Ci sono, sequenziati per Fasi tutti i film della saga. Da Iron Man fino a Black Panther: Wakanda Forever. Alcuni li abbiamo rivisti più volte, magari in preda a quei rewatch ossessivi e spesso inconcludenti; alcuni invece sono rimasti delle esperienze uniche, ma tutt'ora vividi nel nostro bagaglio cinematografico via via più pesante. Tra questi, guarda caso, c'è quello che potremmo considerare il film più emblematico dello show ideato dai Marvel Studios. Quello che, per influenza, è pari solo al picco più alto, che per portata resta e resterà The Avengers.
Quel titolo che, a cinque anni dall'uscita, esemplifica in modo esauriente e in qualche modo doloroso la netta differenza tra cos'era e cosa è diventata oggi la Marvel. Perché Avengers: Infinity War un assoluto manifesto narrativo. Un monumento allo spettacolo che si rifà al poema omerico. Alla totale esaltazione del pop, capace di influire e deviare il corso della storia del cinema. Che piaccia o no. Ma la nostra riflessione, in questo caso, non vuole solo ricordare la genesi del film dei Fratelli Russo, ideato su più piani, e coinvolgendo (quasi) tutti gli eroi comparsi nei precedenti diciotto film del Marvel Cinematic Universe. Vuole invece tracciare un parallelo e un riflesso sospeso nel tempo (che non torna), lucido nell'analizzare i moti ondosi di una saga, ora, mutata in funzione di un pubblico forse diverso.
Il film più oscuro dell'MCU
Allora, una domanda: dopo il Blip di Thanos, è cambiata la Marvel o siamo cambiati noi? Riveder Avengers: Infinity War diventa dunque un'esperienza ancora esaltante, proprio perché - purtroppo - oggi c'è un deciso cambio tonale all'interno del franchise. Chiaro, e sì, siamo d'accordo: quel film, capace di incassare 700 milioni di dollari, era progettato per essere l'incipit, l'anticipo del drammatico finale messo in scena esattamente un anno dopo. Doveva essere il penultimo capitolo, quello che resta impresso, sedimentato. La penultima puntata di una serie cinematografica in debito (o in credito?) verso la serialità televisiva. Fin dalle prime immagini, con la successiva (e momentanea) dipartita di Loki, ci rendiamo conto che l'intero film è pervaso da un senso drammatico. Mortifero. Tragico. La ricerca delle gemme, da parte dell'enorme Thanos, diventerà un'epidemia irrefrenabile.
Nemmeno gli eroi più potenti dell'Universo - in un folgorante scambio di squadre e di cornici visive - potranno nulla verso la drastica risoluzione di quel personaggio archetipo e classico della mitologia greca. Appunto, il Dio della Morte. Un film scuro e oscuro, la destrutturazione del colossal classico ormai vicino ad un postmodernismo incline all'eccitante stabilizzazione del linguaggio tipico del format. Una formula vincente, sia scenografica che interpretativa, tanto tonale quanto simbolica. E una forza figurativa senza eguali, mischiando Iron Man con Peter Quill, Rocket con Thor, Black Panther con Steve Rogers e Natasha Romanoff. Gli apici di ogni stand-alone nell'apice drammaturgico della saga.
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Il fattore Multiverso
Ma se le intenzioni, naturalmente, non possono essere quelle odierne (ci arriveremo), rivedere Avengers: Infinity War traccia un solco di quello che sembra ormai un fatto appurato: la Marvel, e speriamo di essere smentiti presto (e ne siamo certi, basti pensare a Guardiani della Galassia Vol. 3), sta vivendo una sorta di crisi narrativa in seguito al mutamento umorale dei personaggi, stravolti e allungati verso una nuova generazione di spettatori. Se gli incassi appaiono ancora abbastanza stabili (per dire, Ant-Man and the Wasp: Quantumania ha incassato negli USA quasi il doppio rispetto ad Ant-Man, così come Black Panther: Wakanda Forever è attualmente settimo tra i maggiori incassi dell'MCU), il riscontro di critica e pubblico appare sbiadito nel giudizio.
Riassumendo: davvero, la Marvel è diventata solo un susseguirsi di situazionismo, in cui l'epica viene asciugata in funzione di una visione frivola e standardizzata, e arroccata su quel Multiverso che aprirà pure mille possibilità produttive (qualcuno ha detto Spider-Man: No Way Home?), ma che sta risultando decisamente fine a sé stesso, nonché sovrabbondante nella sua fin troppo risolutiva e stabile presenza all'interno della concezione odierna.
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Un nuovo pubblico dopo il Blib
La verità, in correlazione con il tripudio di Avengers: Infinity War, è che la prima generazione di pubblico, che ha goduto direttamente della nascita del genere, si sente intrappolato nell'esigenza di Kevin Feige e dei Marvel Studios di ristrutturare lo show, approcciandolo - necessariamente - verso i nuovi spettatori. Chi aveva cinque anni nel 2018, oggi ne ha già dieci. Che vuol dire? Che il target dell'MCU si sta spostando maggiormente verso le famiglie, cercando di coinvolgere in modo sensibile gli under 11. Questo ha comportato un generale abbassamento del tono, tagliando completamente l'elemento tragico e drammatico dalla scrittura. Fino ad Infinity War ed Endgame, i riflessi drammatici avevano reso i personaggi più adulti e coerenti (crescendo con il pubblico), ognuno legato ad una sua identità, e sicuramente funzionali nella loro esistenza e nelle loro controversie più umane che invulnerabili (Natasha Romanoff è l'esempio perfetto).
Per parafrasare Nick Fury, tornando indietro fino a The Avengers, all'ombra del divertimento e dell'azione, "Gli Avengers avevano bisogno di uno scopo". Se la battaglia di New York, tra la furia di Hulk e l'intemperanza di Tony Stark, aveva reso vero cinema l'immaginazione di milioni di appassionati, la conseguente distruzione in Avengers: Infinity War ha finito di esaltare quello scopo nel finale più beffardo e oscuro che ci potesse essere. Quindi, il migliore possibile per chiudere qualcosa che potrebbe essere irripetibile. E no, non c'è progettazione a lungo termine che possa tenere alta l'attenzione in un confronto che, a soli cinque anni da quel Blip, appare adesso incolmabile.