Avatar - Fuoco e Cenere, recensione: l'assoluto (mancato) di James Cameron e i ghirigori di un cinema gigante

Tra le inflessioni di Balla coi lupi e Apocalypse Now, la saga fantasy punta ancora sull'immagine come narrazione, trovando la forza (purtroppo l'unica) negli ideali delle nuove generazioni. Al cinema.

Un'immagine di Avatar - Fuoco e cenere

Avatar è l'evento per eccellenza. L'evento da schermo gigantesco, infinito, in cui le immagini diventano testo e contesto di un'esperienza lisergica, andando oltre la traccia scritta.

Perché non è una novità, e questo terzo capitolo lo esplica definitivamente: il mondo di Pandora, voluto e costruito da James Cameron, parla quasi esclusivamente attraverso le immagini e le sensazioni. Come fosse il sogno a occhi aperti di un bambino.
Nonostante la mastodontica produzione, c'è però una costante sottrazione narrativa, e in Avatar: Fuoco e Cenere questa sottrazione è ancor più marcata.

Avatar Fuoco E Cenere Neytiri
Zoe Saldana è Neytiri

Il film inizia con un abbraccio e finisce con una consapevolezza ritrovata. In mezzo, tuttavia, la sensazione che Cameron, alla lunga, citi troppo se stesso (alcune sequenze sono identiche a La via dell'Acqua), senza andare in avanti, fermandosi - e fermandoci - ad ammirare (e rimirare) uno splendore scenico oggettivamente accecante (che non ha certo bisogno di ricorrere all'orpello del 3D). Un cinema assoluto, eppure mancato. Un cinema che riscrive le sfumature di un fantasy mosso in questo caso dagli archetipi cinematografici: il western, il romanzo di formazione, e persino il war movie esaltato da un comparto tecnico tarato al millimetro.

Fragilità, paura umana e paura Na'vi, gli occhi che parlano (come quelli dei Tulkun), uno show pop in cui la tradizione incontra l'innovazione: Avatar: Fuoco e Cenere è allora l'immagine che diventa racconto, generando una meraviglia, spesso, fine a se stessa. Forse è debole lo stupore tout court, e mancano il calore e l'approfondimento. Che piaccia o no è comunque questa la fortuna della serie, sin dal primo (e rivoluzionario?) capitolo del 2009.

Avatar: Fuoco e Cenere, ancora in viaggio con la famiglia Sully

Avatar Fuoco E Cenere Jake Sully
Jake è Sam Worthington

Dietro l'impalcatura della titanica messa in scena (sì, ci rendiamo conto di tornare sempre a citare la produzione, ma il budget da 400 milioni di dollari è un fatto particolarmente esplicativo), Avatar: Fuoco e Cenere non ha, nella sua trama, un vero e proprio punto di svolta, reggendosi sulle emozioni generate dalla spettacolarità, ma rilette secondo diversi sguardi - questi sì - decisamente interessanti. Perché il dettaglio conta più dell'apparenza.

Scritto da Cameron insieme a Rick Jaffa e Amanda Silver, Fuoco e Cenere riprende i fatti dal finale de La via dell'acqua: un anno dopo essersi trasferiti nel clan dei Metkayina, la famiglia di Jake e Neytiri (Sam Worthington e Zoe Saldana, "nascosti" dietro la motion capture) raccoglie i pezzi di un dolore ancora vivo, segnato dalla morte di Neteyam.

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Se Avatar è un racconto di nomadi e di viaggi, i protagonisti lungo il cammino si imbattono nell'aggressiva tribù dei Mangkwan, chiamati anche Popolo della Cenere. A capo c'è la spietata Varang (Ooana Chaplin) che, complice una strana attrazione, si allea con l'avatar del Colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), in crisi d'identità, facendo infiammare un conflitto dalle portate imprevedibili.

Tra Balla coi lupi e una narrazione anti-colonialista. Ma la durata è un limite

Se parlavamo di tradizione, Avatar: Fuoco e Cenere mostra e dimostra le sue infatuazioni cinematografiche: Apocalypse Now sembra un chiaro riferimento sia nel tono che nelle scene di guerra, intanto che il franchise riprende lo schema tipico dei film con "i cowboy e gli indiani". Uno spirito western che, più di ogni altra volta, si rifà a Giorni di fuoco, a Il massacro di Fort Apache e, soprattutto, a Balla coi lupi; come nel film di Kevin Costner il concetto di identità è forte dietro Avatar: le radici, la famiglia putativa, i legami di sangue e i legami acquisiti.

Soprattutto, il confronto (e lo scontro) tra diverse culture e diverse etnie in un riverbero sociale e politico dalle palesi e drammatiche valenze contemporanee. Valenze ed echi che si allungano verso l'approccio anti-militarista, anti-capitalista e, nemmeno a dirlo, anti-colonialista. Un blockbuster quindi socio-politico. Ed è un mezzo cortocircuito, se pensiamo quanto Avatar: Fuoco e Cenere, di fatto, non abbia una sceneggiatura convincente.

Avatar Fuoco E Cenere Tulkun
L'occhio del Tulkun

Il discorso sulle "armi antiche contro le armi nuove" è allora di lampante lettura: l'evoluzione tecnologica genera una pericolosa ambizione, andando oltre il senso stesso del progresso. Una fulminea riflessione, considerando quanto Cameron sia stato tra i registi più innovatori di Hollywood. In qualche modo, quella progettata dall'autore di Titanic è infatti una storia non-originale che torna ciclicamente, pur in forme e sostanze diverse.

L'ardore delle nuove generazioni

Tra continui ghirigori e ripetitivi gorgheggi scenografici, stesi lungo le oltre tre ore di durata (e va detto: questo è un timing ingiustificabile, ridondante, fuori scala), le vene del racconto si diramano verso un'altra chiave di lettura, anch'essa divenente terreno di battaglia. Una battaglia anche e soprattutto emotiva: il confronto tra padri e figli. Se gli occhi del Colonnello Quaritch cambiano sfumature nell'osservare il figlio umano Spider (Jack Champion), Jake è davanti a una scelta feroce. Tra sacrificio, rimorso e protezione paterna. Non vi diremo come andrà a finire, ma manca un briciolo di coraggio che avrebbe fatto la differenza.

Avatar Fuoco E Cenere Quaritch
Stephen Lang è Quaritch

Ed è qui, dimenticando la solita e traboccante battaglia finale che chiude il film (niente di nuovo, agghindata da un filo di noia), che Fuoco e Cenere muove comunque l'elemento più importante: l'ardore delle nuove generazioni. I giovani Na'vi (e Na'vi acquisiti) come Lo'ak, Tuk, Spider e Kiri prendono posizione e si schierano, agiscono, impongono la loro voce, spostano i loro ideali verso un bene comune superiore, azzerando le differenze per riportare tutto ad una dimensione divina, in cui l'unica potenza lecita è quella della Natura. Del resto, se il "fuoco dell'odio" sembra non spegnersi mai, è la luce del futuro a interrompere un circolo violento e vizioso, plasmando il dolore nella forma d'amore più forte di tutte: il rispetto.

Conclusioni

Al terzo capitolo, James Cameron punta ancora sulla spettacolarità, sull'estetica, sul concetto di evento cinematografico. Un evento mastodontico, coinvolgente e, ancora una volta, decisamente egocentrico. Tuttavia, Avatar: Fuoco e Cenere soffre di una marcata sottrazione narrativa in funzione di un'assolutezza visiva. La durata eccessiva e una sceneggiatura debole limitano allora l’impatto emotivo, senza togliere né aggiungere nulla al viaggio su Pandora. Il vero cuore del film - oltre la traccia politica e anti-colonialista - è tuttavia affidato alle nuove generazioni, portatrici di speranza, rispetto e riconciliazione con la Natura.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • La chiave generazionale.
  • Il tema padri-e-figli.
  • Certamente un'opera spettacolare.

Cosa non va

  • La battaglia finale, concettualmente superata.
  • La durata gigantesca è un limite.
  • Narrativamente debole.
  • A volte, troppo identico a La via dell'acqua.