The Wrestler, la recensione: appetite for destruction

The Wrestler non è una pellicola celebrativa dedicata a uno sport, ma un ritratto di un uomo sconfitto dalla vita che cerca una possibilità di riscatto provando a fare l'unica cosa che gli riesce.

Un guerriero indomito anche se strapazzato dalla vita. Mickey Rourke torna al cinema da protagonista in un ruolo che vale una carriera grazie al coraggio di Darren Aronofsky, regista che a quarant'anni ha già realizzato due capolavori assoluti quali sono Pi - il teorema del delirio e Requiem for a Dream e collezionato un sonoro flop con un film pretenzioso e sbagliato come L'albero della vita. Il merito di Aronofsky è stato quello di aver saputo fare un passo indietro abbandonando lo stile visionario e ipnotico che lo contraddistingue per approdare a una narrazione più matura, naturalistica e aderente al personaggio. The Wrestler è un film incentrato su un lottatore sconfitto dalla vita, Randy 'The Ram' Robinson, Dio del wrestling negli anni '80 ora costretto a vivere in una roulotte e ad accettare lavoretti di facchinaggio per sbarcare il lunario. Randy continua a combattere accontentandosi del circuito indipendente, più violento e meno remunerativo, finché un infarto non lo costringe a fermarsi e ripartire da zero. Chi meglio del leone Mickey Rourke, che porta sul volto i colpi delle ferite ricevute sul ring e nella vita, avrebbe potuto interpretare un ruolo del genere? Per narrare adeguatamente la storia di Randy, Aronofsky reinventa il proprio stile registico incollando la macchina da presa al suo protagonista e seguendolo nei suoi percorsi quotidiani. Il film si apre con una lunga e suggestiva sequenza in cui Randy viene tallonato dalla macchina da presa che lo segue come un'ombra mostrandocelo unicamente di spalle e svelando il suo volto solo molto più tardi e nella penombra.

Aronofsky aveva già dimostrato di essere regista di attori intrecciando con sapienza i percorsi dei quattro sognatori sull'orlo del baratro di Requiem for a Dream e costringendo gli interpreti a raggiungere il loro massimo limite fisico e psicologico per mostrare sui loro corpi il decadimento dell'american dream. Ce lo dimostra ancor più in questo caso mettendo la macchina da presa al servizio di un interprete che non ha bisogno di trucco o trasformazioni fisiche in quanto il suo volto è già segnato dalla intemperanze del passato. Rourke, dal canto suo, lo ricambia con una performance straordinaria mettendosi a nudo completamente, senza remore e senza compromessi. Un plauso anche alle due interpreti femminili, la sempre più sexy Marisa Tomei, spogliarellista dal cuore d'oro, e l'intensa Evan Rachel Wood che interpreta la figlia di Randy, delusa e amareggiata da un padre assente e irresponsabile. Non mancano i momenti in cui Aronofsky preme sull'acceleratore mostrando frammenti del suo stile inconfondibile. Sconsigliati i combattimenti a chi ha lo stomaco debole. Nella rappresentazione degli incontri non si troveranno i classici ralenty alla Rocky, ma flashback calibrati ad hoc, sangue in abbondanza e imprevedibili variazioni sul tema quali uso abbondante di graffette e filo spinato per vivacizzare i match, mentre la macchina da presa non perde mai di vista i wrestler svelandone ogni intimo segreto e ogni pericolosa abitudine.

The Wrestler non è, dunque, una pellicola celebrativa dedicata a uno sport, ma un ritratto di un uomo sconfitto dalla vita che cerca una possibilità di riscatto provando a fare l'unica cosa che gli riesce. Narrando la storia di Randy The Ram, Aronofsky coglie l'occasione per approfondire la riflessione sulla situazione attuale di un'America allo sbando immersa, come il suo protagonista, in una nostalgica rievocazione del proprio glorioso passato recente, quegli anni '80 dominati dallo yuppismo e dalla crescita economica più volte rievocati nel film a partire proprio dallo splendido incipit che fotografa la collezione di ritagli di giornale dedicati alle imprese di The Ram nel momento del suo massimo vigore atletico. A questo proposito fondamentale è l'uso della colonna sonora fatto da Aronofsky che decide di mescolare le ottime musiche di Clint Mansell con hit hard rock in puro 'anni '80 style' (tra cui l'indimenticabile Sweet Child of Mine dei Guns N' Roses che accompagna l'entrata di The Ram sul ring). Importante inoltre il contributo di Bruce Springsteen che, per il film, ha composto una struggente ballad acustica che chiude la pellicola amplificandone i temi trattati, temi ai quali il Boss, per altro amico intimo di Mickey Rourke, è particolarmente vicino condividendo con Aronofsky la visione cupa, ma non totalmente priva di speranza, della società americana contemporanea. Straordinariamente coraggiosa la scelta di concludere la pellicola con un finale di cui non possiamo anticipare niente, ma che si distacca decisamente dalla tendenza paternalistica tipicamente hollywodiana di condurre lo spettatore per mano passo dopo passo per tutto il film. La narrazione rimane in sospeso, ma non è questo ciò che conta. The Ram ha vinto la scommessa con se stesso tornando a combattere e Aronofsky ha vinto la scommessa con il pubblico. Tutti in piedi e applausi.

Movieplayer.it

5.0/5