Anora, Sean Baker e la Palma d'Oro: il cinema americano è morto, il cinema americano è vivo

Il riconoscimento (meritato) di Cannes a Sean Baker è sintomatico: il cinema USA è in crisi d'identità, e per salvarsi non guarda più ai numi tutelari (Coppola, Cronenberg, Mann, Scorsese), bensì alle nuove voci. Proprio come avvenne negli Anni Sessanta con la New Hollywood.

Sean Baker e la Palma d'Oro a Cannes 2024

1967, esce Il Laureato di Mike Nichols. 2024, Sean Baker vince la Palma d'Oro di Cannes 2024 con Anora. Sembra non esserci una correlazione, eppure i due eventi, per portata e storia, sono sovrapponibili. Ma andiamo con ordine: l'edizione 77 di Cannes, al netto della meritatissima vittoria di Sean Baker, potrebbe essere stata la meno competitiva degli ultimi anni (nonostante The Substance, Emilia Perez, Bird, The Seed of Sacred Fig), in qualche modo dominata - almeno su carta - dall'ingombrante presenza di due numi tutelari, Francis Ford Coppola e David Cronenberg. La reverenza, il rispetto, l'autorevolezza: che giudizio dare a Megalopolis e The Shrouds, anche alla luce del poco apprezzamento generale? Una domanda (retorica?) che a Cannes è circolata per giorni, allungandosi fino alla mattina che precedeva la cerimonia di premiazione. Arrivano i primi leak a rovinare le sorprese, e qualcuno anticipa: Coppola è tornato sulla Croisette, un premio lo vince sicuro.

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George Lucas, la Palma d'Oro e Sean Baker

Insieme a Coppola, però, c'è pure Sean Baker, che da Cannes non se n'è mai andato, lui cinefilo d'eccellenza, onnivoro e appassionato. La sfida sembra a due: Anora vs Megalopolis, solo all'apparenza risalito di gradimento. Con il pur meritevole The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, che alla fine vincerà un Premio Speciale. Poi, il coup de théâtre che non avevamo immaginato: Coppola sul palco ci sale, ma per consegnare la Palma d'Oro d'Onore all'amico George Lucas che, a sua volta, consegnerà il riconoscimento più importante a Sean Baker, quel regista che considereremmo giovane (almeno in Italia), se non avesse cinquant'anni.

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Mikey Madison in Anora

Un plot twist in qualche modo storico: Baker, nato nel New Jersey (terra di grandi autori, basti pensare a Bruce Springsteen), porta avanti un cinema non troppo dissimile da quello che segnò la New Hollywood di cui Francis Ford Coppola era manifesto, citando anche Dennis Hopper (che sempre a Cannes venne premiato per Easy Rider), Robert Altman, Arthur Penn, Spielberg. Un moto che, alla fine degli Anni Sessanta, rispondeva al tradizionalismo degli Studios, ormai impolverati e stantii. La Nuova Hollywood, infatti, ribaltava i generi, si agganciava al successo dei film europei (come avviene adesso, vedi Anatomia di una caduta) e, soprattutto, rispondeva ad una società americana sempre più divisa, tra diritti, anti-militarismo e questioni razziali. Il panorama odierno è simile, per non dire uguale. Ed è simile anche quello cinematografico: qualcuno si arrabbierà, ma Greta Gerwig, presidente di giuria di Cannes (guarda caso), ha in parte ri-lanciato una Nuova Nuova Hollywood, pur legandosi alle regole delle Major. Un successo che ha oscurato altri grandi nomi tornati nel 2023, come Martin Scorsese (Killers of the Flower Moon), Ridley Scott (Napoleon), Michael Mann (Ferrari).

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Sul red carpet di Cannes 77

Se Greta Gerwig e Sean Baker sono dalla stessa parte (facendo però del cinema diverso, che risponde a budget diversi), è ovvio che ci sia un movimento cinematografico americano che sta rispondendo tanto agli autori del passato (rispetto sì, reverenza mai) quanto al genere che ha dominato gli ultimi quindi anni, il cinecomic. Se i supereroi sono in crisi (generando la crisi odierna che ha portato un'emorragia di incassi), è perché il cinema americano si è bloccato, insistendo su qualcosa ormai strizzato. Il parallelismo tra gli Anni Sessanta è allora palese, ora che è in atto un ricircolo (finalmente) che parte dal passato ma che, tuttavia, si rivolge al futuro (e non un futuro che sa di vecchio, come scriviamo nelle nostre opinioni su Megalopolis). Un cambiamento, per tornare al centro del discorso, applicabile a Sean Baker e al suo Anora, che lui stesso definisce "un film non mainstream. E anzi speriamo che il pubblico si ricordi che esistono anche certe pellicole".

La Palma d'Oro ad Anora (è solo la quarta per gli USA dal 2000) è quindi la prova di quanto il cinema americano stia vivendo in una bi-dimensione: nuove poetiche sostenute da nuove produzioni e distribuzioni (come Neon, che distribuisce Anora; come A24 che nel 2023 ha vinto l'Oscar con Everything Everywhere All at Once), che tengono accesa la luce, tra intuizioni, freschezza e folgorazioni.

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Una scena di Anora

Intanto, però, l'egemonia del mercato comincia a scricchiolare (un pensiero applicabile anche alla società e alla politica, in quanto gli Stati Uniti non sono più il centro mondiale), non garantendo più né incassi né qualità (tranne varie eccezioni, gli USA sono ancora il primo mercato al mondo), e non trovando più certezza in coloro che hanno reso (e continuano a rendere con le loro filmografie) inimitabile il cinema americano (il tonfo di The Shrouds e di Megalopolis potrebbe essere il punto di non ritorno della vecchia classe di registi). E se qualcuno storce il naso, pensando che Sean Baker non possa competere con Francis Ford Coppola, credendo che Anora sia un film dimenticabile (come se poi il cinema fosse una competizione, come se ci fossero dei valori da rispettare), bisogna ricordare che la New Hollywood aveva non pochi detrattori. Gli stessi detrattori, che cinquant'anni dopo, considerano Il Padrino come il miglior film della storia.