Lo Stanley White de L'anno del dragone è un lupo solitario: un tòpos che attraversa il cinema americano fin dai generi dell'età classica, dall'antieroe dei gangster movie al cowboy dei western al detective dei noir. È un uomo pronto a rivoltarsi contro il resto del mondo, come lo apostrofa il suo collega poliziotto Lou Bukowski, tentando di riportarlo a quella logica del compromesso che tiene in precario equilibrio la giungla d'asfalto di New York. Ma Stanley, protagonista del crime drama diretto nel 1985 da Michael Cimino, è refrattario ai compromessi: proprio come certi personaggi della Hollywood del passato, risponde soltanto alla sua personalissima etica, a un senso del dovere che non concede sconti. È un cane sciolto, una scheggia impazzita, in un microcosmo urbano in cui la regola primaria sembra essere ancora l'antica legge del più forte.

È il 16 agosto 1985 quando L'anno del dragone fa il suo debutto negli Stati Uniti sotto i vessilli della MGM: un film fortemente voluto dal produttore Dino De Laurentiis, attratto dal potenziale dell'omonimo romanzo pubblicato appena quattro anni prima dall'ex poliziotto Robert Daley, e affidato nelle mani di un regista maniacale come Michael Cimino.
Nell'estate del 1985, segnata dall'incontestabile predominio del fenomeno Ritorno al futuro, il film di Cimino registra incassi decenti, ma di gran lunga inferiori alle aspettative (nulla, comunque, in confronto al colossale disastro del suo lavoro precedente), e divide la critica, suscitando una notevole dose di accuse di razzismo verso la comunità asiatica americana. Con il tempo, la progressiva rivalutazione di questa seconda fase nell'altalenante carriera del regista contribuirà però a rendere L'anno del dragone uno dei cult del poliziesco anni Ottanta.
Il ritorno di Michael Cimino

Per Michael Cimino, si tratta di un ritorno sul set a oltre quattro anni di distanza da I cancelli del cielo: la straordinaria epopea western che, all'alba del decennio, si era rivelata un'opera tanto ambiziosa quanto fallimentare dal punto di vista commerciale, tanto da ridurre alla bancarotta la United Artists e da infierire un colpo fatale alla cosiddetta "politica degli autori". Pietra tombale della New Hollywood, I cancelli del cielo è in realtà un disgraziato capolavoro che, nella sua versione integrale e con molti anni di ritardo, avrebbe visto finalmente riconosciuto il proprio valore. Ma nel 1981, il clamoroso fiasco del kolossal con Kris Kristofferson spinge la carriera di Cimino lungo una china discendente; non gli giovano le difficoltà a rispettare tempistiche, limiti di budget e direttive degli studios, tanto che nel 1983 la Paramount lo licenzia alla vigilia delle riprese di Footloose, rimpiazzandolo con Herbert Ross.

Nel frattempo, Cimino tenta invano di farsi finanziare progetti più personali: fra questi, due biopic su Frank Costello e Fëdor Dostoevskij, una trasposizione del romanzo La fonte meravigliosa di Ayn Rand, con Barbra Streisand come potenziale protagonista, e un altro dramma sulla Guerra del Vietnam dopo Il cacciatore, Platoon, su un soggetto firmato da Oliver Stone. Dopo l'accordo con Dino De Laurentiis per L'anno del dragone, Cimino ingaggia Oliver Stone per scrivere con lui la sceneggiatura in tempi utili (Platoon arriverà nelle sale nel 1986, diretto dallo stesso Stone) e per il ruolo di Stanley White, ufficiale della polizia newyorkese impegnato a districarsi nel sottobosco malavitoso di Chinatown, decide di puntare sul trentaduenne Mickey Rourke, ex pugile e allievo dell'Actors Studio, che nel 1980 aveva avuto una piccola parte ne I cancelli del cielo.
Mickey Rourke e il grosso guaio a Chinatown

All'epoca Mickey Rourke non è ancora una star, ma è considerato uno dei talenti emergenti da tenere d'occhio: dopo essersi fatto apprezzare nel 1982 film corale A cena con gli amici di Barry Levinson, aveva recitato in Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola e Il Papa del Greenwich Village di Stuart Rosenberg, titoli passati però relativamente sottotraccia. L'anno del dragone segna la sua grande occasione, e Rourke si cala nei panni di questo ruvido poliziotto fornendone un ritratto vibrante e tormentato, in cui l'atteggiamento sardonico si intreccia a una furia trattenuta a stento e sempre in procinto di esplodere. Il suo Stanley White è un protagonista ossessivo, come nei noir classici, le cui inquietudini professionali si riflettono sull'esistenza privata, compromettendo il rapporto con la moglie Connie (Caroline Kava).

Michael Cimino e Oliver Stone sviluppano la trama del film attorno alla lotta interna alla malavita cinese per il controllo della Triade di New York, con Stanley che si tuffa a capofitto in questa spirale distruttiva con l'obiettivo di sgominare la criminalità di Chinatown. Il quartiere cinese, nel suo equivalente losangelino, aveva già assunto una tenebrosa dimensione allegorica nel capolavoro del 1974 di Roman Polanski, Chinatown, simboleggiando una "terra di nessuno" in cui la legge non aveva speranze di prevalere sul caos ("Lascia perdere, Jake... è Chinatown!", era la memorabile battuta di chiusura del film). Ne L'anno del dragone, la Chinatown newyorkese è la città nella città: un luogo di lingue sconosciute, tradizioni esotiche e poteri occulti, che Stanley oserà sfidare a dispetto della passività complice dei suoi colleghi e dei rischi assunti in prima persona.
Uno dei grandi polizieschi degli anni Ottanta

All'allontanamento dalla dimensione familiare corrisponde, di contro, l'appassionata love story con Tracy Tsu, una volitiva reporter televisiva, ruolo dell'esordio da attrice della modella Ariane Koizumi. Se Tracy è una partner che condivide con Stanley l'intento di smascherare la rete di corruzione da cui è avviluppata Chinatown, a costituire la sua nemesi è il giovane boss Joey Tai, intenzionato a scalare con ogni mezzo il vertice della Triade. Per la parte di Tai viene scritturato John Lone, nato a Hong Kong ma attivo da diversi anni come attore negli Stati Uniti, sebbene quasi sempre con piccole apparizioni. Una scelta di casting che si dimostrerà vincente: John Lone (futuro Pu Yi de L'ultimo Imperatore) disegna il suo antagonista come uno yuppie composto ed elegante, animato da una crudeltà fredda e senza scrupoli. Un villain sotto le righe, agli antipodi rispetto alla rabbiosa impulsività dello Stanley di Mickey Rourke.

Questa netta dicotomia tra le figure dell'eroe e del criminale è emblematica di una pellicola che vive di contrasti, innervato da una tensione costante e implacabile. Il ritmo narrativo e le apoteosi di violenza, dalla sparatoria nel ristorante cinese al finale mozzafiato sul ponte ferroviario (un epilogo maestoso, degno dei grandi duelli del western), richiamano lo stile del recentissimo Scarface di Brian De Palma, anch'esso sceneggiato non a caso da Oliver Stone. L'anno del dragone si inserisce appieno in quel filone cinematografico, mentre nella visione di Michael Cimino lo sguardo cinico e pessimista sull'inferno metropolitano riesce comunque a convivere con un intrinseco romanticismo, rimarcato anche da Stanley nella battuta conclusiva del film: "Io vorrei tanto essere una persona gentile... ma non so da che parte si comincia".