Recensione Revolutionary Road (2008)

Se è vero che senza una guida sapiente il film avrebbe potuto molto facilmente scivolare nel clichè trasformandosi in un verboso e faticoso period drama senz'anima, bisogna anche riconoscere la misura in cui Revolutionary Road è Kate e Leo.

Anatomia di un matrimonio

Sam Mendes, lo dimostra Revolutionary Road, è il maestro della desolazione interiore e della mancanza di speranza - che non è disperazione, perché è più silenziosa, più ineffabile, più prostrante. Sa ben rivestire questo vuoto di petali di rosa, dei colori del deserto, di scenografie sontuose che lo rendono soltanto più evidente, ma mai prima d'ora aveva investito tanto nei personaggi, mai come in Revolutionary Road i suoi eroi si erano aperti allo sguardo indagatore del regista e dello spettatore tanto da contenere tutto il tragico peso della storia. Questa è l'impresa di Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, talenti sbocciati su un celebre transatlantico e diventati, in dieci anni, interpreti straordinari; nessuno dei due ha bisogno di ulteriori consacrazioni, nondimeno questo film lo è, prodotto della volontà di Kate che ha chiamato i suoi due uomini, suo marito e il suo migliore amico, a raccontare con lei una storia - quella narrata nel superbo romanzo di Richard Yates - che sentiva profondamente sua.

Una storia che, in realtà, è estremamente scarna e semplice, e ha il suo fulcro in un istituto con cui abbiamo tutti familiarità: il matrimonio. April e Frank vivono in una villetta in una verde e soleggiata area suburbana del Connenticut, hanno due splendidi bambini e tutto quello che l'esperienza e la società ci insegnano a desiderare. Ma non sono felici. Lei ha assistito con immensa frustrazione allo spegnersi delle sue aspirazioni teatrali; lui è deluso e annoiato dal suo lavoro in una compagnia che si occupa di marketing per macchinari per ufficio, la stessa in cui suo padre ha speso un'anonima e insignificante esistenza. Mentre lui sfugge alle tensioni domestiche andando a letto con una giovane segretaria, sua moglie si accontenta di constatare e incoraggiare l'effetto della sua bellezza e della sua raffinatezza sulle frequentazioni della coppia. Ma il giorno del trentesimo compleanno di Frank, April gli regala un'idea: lasciare tutto e partire per Parigi, il sogno del loro primo incontro. In Europa sarà lei a trovare un impiego, così che Frank possa occuparsi di sé stesso, capire come incanalare le sue energie per concretizzare finalmente tante potenzialità inespresse.
Purtroppo sull' "infantile", "avventato", "irrealistico" piano dei due sposi si riverserà una serie di pressioni sociali e professionali, che farà dell'interludio di felicità seguito alla decisione una breve, indimenticabile, bruciante illusione.

In Revolutionary Road lo sguardo di Mendes è decisamente meno spietato rispetto al satirico American Beauty, in cui il regista britannico esplorava analoghi inferni coniugali, ed è anche ben più umano e innamorato di quello di Yates nel romanzo ispiratore: l'amore per la sua donna non gli fa però perdonare le debolezze, le nevrosi e gli egoismi dei due protagonisti, che per incapacità di vivere l'idilliaca normalità che gli è toccata in sorte finiscono per distruggersi reciprocamente. Ma se è vero che senza una guida sapiente il film avrebbe potuto molto facilmente scivolare nel clichè trasformandosi in un verboso e faticoso period drama senz'anima, bisogna anche riconoscere la misura in cui Revolutionary Road è Kate e Leo: vive della loro alchimia unica, della complessità emotiva che scaturisce dalle linee armoniose dei loro volti, dall'intensità con cui riempiono una stanza e danno risonanza e tensione al più banale scambio di battute. E accanto a loro, in un piccolo, magnifico ruolo, un prezioso Michael Shannon, straziato Tiresia che legge il loro destino.
La maestria dei dettagli, se vogliamo chiamare "dettagli" l'evocativa e ricca fotografia di Roger Deakins o il portentoso e ossessivo score di Thomas Newman, ammanta di perfezione formale questa dolente rappresentazione a cui le performance conferiscono una credibilità quasi insostenibile.

Movieplayer.it

4.0/5