L'altro lato del coming-of-age, che si apriva con una tentata masturbazione di un protagonista che, a suo modo, è entrato nella storia del cinema. Una sequenza comica da manuale, sporcacciona nella sua ingenuità, nella sua innocente irriverenza. Con un pensiero, che si rafforza scena dopo scena, anche se l'abbiamo visto e rivisto mille volte, consumando fino alla nostalgia quella voglia di tornare adolescenti. Anzi, di tonare teen-ager. Un pensiero che sbatte contro la modernità attuale di un cinema troppo perbene, anche quando non dovrebbe. In fondo è chiaro, American Pie di Paul Weitz e Chris Weitz, oggi, sarebbe tutta un'altra storia.
O meglio, oggi, non potrebbe mai essere concepito un film di "verginelli", di "strafighe", di scurrilità infantili che, però, nascondono il disagio generazionale di un gruppo d'amici impauriti dal mondo circostante. Impauriti dall'amore e dal sesso, ma vogliosi di scoprire cosa si nasconde sotto il vestito della ragazza più bella della scuola. La maturazione e l'immaturità (e la centralità delle ragazze, sempre più intelligenti dei ragazzi) in un film che ha fatto accademia, ispirato dall'esperienza dello sceneggiatore, Adam Herz, durante il periodo della High School. Dentro c'è tutto: gli amici, il bar, le prime cotte.
Un film che ha tracciato l'ideale proseguo di un discorso iniziato con Animal House, e purtroppo storto dal pessimo Porky's di Bob Clark (troppo volgare), cogliendo il meglio dagli Anni Novanta e, inconsapevolmente, anticipando alcuni temi dei Duemila, strutturati poi nei sequel (per assurdo migliori dell'originale, pur nella loro esagerazione): il senso d'appartenenza, la difficoltà di affrontare la crescita, l'incomunicabilità tra sessi opposti. Addirittura, l'uso e l'abuso di internet, con la scena della webcam aperta a spiare Nadia (Shannon Elizabeth), che nel film era l'allegoria dei sogni proibiti dei ragazzi scombussolati dagli ormoni.
American Pie, 25 anni dopo: eravamo quattro amici al bar
Con un titolo emblematico, che riassume il senso doppio degli Stati Uniti d'America. Da una parte una torta di mele, al centro di una scena leggendaria, dall'altra la ricerca costante della sostanza, della vittoria, paragonabile alla perdita della verginità che assilla gli studenti liceali. Ma cos'è davvero American Pie? quattro amici e la loro sfida impossibile: "arrivare in terza base" prima della fine dell'anno scolastico. Jim (Jason Biggs), Chris (Chris Klein), Paul (Eddie Kaye Thomas), Kevin (Thomas Ian Nicholas), a cui aggiungiamo necessariamente quello che poi diventerà il punto di riferimento della saga, Steve Stifler (Sean William Scott), con annessa "mamma" (Jennfier Cooldige), per un tormentone che, ammettiamolo, è invecchiato decisamente male.
In fondo ogni film della nostra memoria, rivisto con il distacco degli anni (e American Pie ha appena compiuto 25 anni), suscita diverse emozioni, che si adattano a prescindere alla personalità acquisita. Innegabilmente, vedere adesso la pellicola di Paul Weitz e Chris Weitz (due autori che hanno poi preso strade lontane dai toni di American Pie, pur producendo i sequel), riporta in superficie situazioni ingenue e termini desueti, ma sfodera una dolcezza che, a diciassette anni, non avevamo notato. La tenerezza spregiudicata di Michelle (Alyson Hannigan), il rapporto delicato tra Victoria (Tara Reid) e il timido Kevin, i consigli non richiesti di papà Noah (reso iconico da Eugene Levy).
Quando il ricordo diventa nostalgia
Una "sdolcinatezza" che fa il paro con un carico di battute e battutace che oggi sarebbero tagliate con l'accetta, e poi con un'indole sguaiata che altera i tratti tipici del romanzo di formazione. L'iniziazione di American Pie, del resto, passa attraverso una realtà sovresposta, e tipica di un'adolescenza vissuta nella piena incertezza. A riguardarlo, quello dei Weitz è un percorso che porta i protagonisti verso la liberazione e verso la consapevolezza, tenendo ben impresso il valore dell'amicizia come punto d'incontro.
È chiaro che, a sbirciare indietro, ci ritroviamo (più o meno) nell'esasperazione e nelle voglie di Jim e gli altri, osservando nei personaggi una famigliarità che si è mantenuta nel tempo. Come ogni film che ci riguarda, American Pie è lo specchio di una certa età, straordinaria e complicatissima, che tutti abbiamo dovuto affrontare, tentando di essere all'altezza di una situazione che sembrava insormontabile. Ad aiutarci, all'epoca, un film sboccacciato ma rivelatorio, in grado di ritagliarsi uno spazio importante all'interno di un bagaglio emotivo, prima che cinematografico. Perché anche grazie ad America Pie, abbiamo capito quali sono "i tasti giusti". E no, non sono quelli che avete in mente voi, figli dello Stifmeister!