Per chi ama il cinema sorprendente e rivoluzionario della New Hollywood, ma più in generale per chi nutre una passione per la settima arte, Robert Altman non è semplicemente il nome di un famoso cineasta. Il regista di Kansas City rappresenta piuttosto una sorta di nume tutelare dei cinefili; una figura della quale chiunque sia cresciuto guardando i suoi film non può non essersi innamorato alla follia, grazie a quelle straordinarie 'folgorazioni' che solo i più grandi artisti sono in grado di offrire. Ed Altman, di trovate folgoranti e di sequenze in grado di lasciare stupefatti ed in preda ad un'assoluta meraviglia, ce ne ha regalate a bizzeffe...
Perché nel corso di una carriera che, fra cinema e televisione, è durata all'incirca mezzo secolo, il buon vecchio Bob ha avuto il coraggio di sovvertire convenzioni rimaste inalterate fin dai tempi della nascita del sonoro, ripensando la forma stessa del cinema secondo un'ottica di spiazzante lucidità e di ammirevole acutezza, mutuata in parte dagli influssi del cinema d'autore europeo e dalle ambizioni di realismo delle prime forme di produzione indipendente (John Cassavetes etc), ma al contempo riconducibile ad una cifra stilistica e poetica personalissima, diventata un inconfondibile marchio di fabbrica. È a questo proposito che il documentarista canadese Ron Mann (Grass) ha scelto di aprire Altman, presentato alla 71° edizione del Festival di Venezia, con un quesito a cui alcuni fra i più prestigiosi nomi di Hollywood (fra gli altri Robin Williams, Julianne Moore, Bruce Willis, Elliott Gould, James Caan, Keith Carradine, Lily Tomlin e Paul Thomas Anderson) tentano di volta in volta di dare una risposta: che cosa significa Altmanesque? Ovvero, qual è il segreto alla radice di un cinema talmente peculiare ("altmaniano", per l'appunto) da aver riscritto i canoni della messa in scena filmica, determinando un'influenza imprescindibile su intere generazioni di cineasti?
Le differenti interpretazioni di Altmanesque fornite dai collaboratori del compianto Robert Altman forniscono il corredo ad una cronistoria dell'itinerario professionale e biografico del leggendario regista, che compare di persona in numerosi spezzoni di interviste, per commentare con la consueta ironia, con quel suo spirito caustico ma senza traccia di moralismi, le varie fasi di una carriera caratterizzata da difficoltà e trionfi, da prestigiosi riconoscimenti e da saltuari fiaschi, ma sempre fedelissima ai principi di originalità e di indipendenza di un autore scrutato con diffidenza dall'industria hollywoodiana: quello studio system che Altman stesso ha contribuito a demolire (o quantomeno a mutare in profondità), all'inizio degli anni Settanta, insieme ad altri talenti emergenti che avrebbero strappato ai produttori il controllo sui loro film, conquistandosi la possibilità di riscrivere le regole della narrazione cinematografica e, come Altman non ha mai cessato di fare, di sperimentare le infinite potenzialità del linguaggio di una forma d'arte in costante evoluzione. Basti pensare a tal proposito all'overlapping, ovvero la sovrapposizione delle voci di una pluralità di attori, una fra le più geniali innovazioni dell'arte altmaniana, o la registrazione sonora a otto piste utilizzata per la prima volta nel 1974 in California Poker.
L'omaggio a un maestro del cinema
Il documentario di Ron Mann ripercorre quindi la filmografia di Altman fin dal suo primo lungometraggio, The Delinquents, del lontano 1957, che ebbe il merito di suscitare l'ammirazione di Alfred Hitchcock, passando per la lunga gavetta in televisione (un medium ancora refrattario ad accogliere soluzioni anticonformiste) ed il ritorno al cinema, suggellato nel 1970 dallo spettacolare successo di MASH, farsa antimilitarista completamente diversa rispetto a qualunque altra commedia prodotta fino ad allora in America (e Mann ci mostra anche il video della premiazione al Festival di Cannes, dove Altman si aggiudicò la Palma d'Oro per il miglior film). Alle prese con un materiale vastissimo, Mann dimostra di saper selezionare con accuratezza cosa inserire nel suo documentario, alternando alcuni deliziosi filmati amatoriali legati alla vita familiare di Altman, affettuoso padre di famiglia che amava circondarsi di amici e parenti, con alcune scene indimenticabili dei suoi classici: il divertentissimo incipit de I protagonisti, la black comedy del 1992 aperta da un gustoso piano sequenza di otto minuti; le immagini di Philip Marlowe (Elliott Gould) in cerca di cibo per gatti al supermercato ne Il lungo addio, dissacrante noir del 1973; un esilarante dialogo sul cinema in Gosford Park, il pluripremiato murder mystery in costume del 2001; e ovviamente lo sconvolgente epilogo di Nashville, il suo capolavoro del 1975, nonché il punto più alto raggiunto dal cinema americano negli anni Setttanta e non solo.
In prossimità della chiusura viene riproposto inoltre il filmato della consegna del premio Oscar alla carriera, alla cerimonia degli Academy Award del 5 marzo 2006: quando un Altman ultraottantenne, ancora vitalissimo benché a pochi mesi dalla sua scomparsa, accettò con un sorriso la standing ovation dei suoi colleghi, prima di rendere omaggio alla moglie Kathryn Reed e di sciogliere il segreto sul proprio trapianto cardiaco di dieci anni prima, scherzando sul fatto che un cuore nuovo potesse fornirgli ancora altri quattro decenni di attività. E riguardando quelle immagini, per quanto già note, chi ha amato e continua ad amare Robert Altman e il suo cinema potrebbe perfino faticare a trattenere qualche lacrima di autentica commozione.
Conclusioni
Ron Mann rende omaggio a Robert Altman ed al suo cinema ripercorrendo la carriera e la filmografia di uno dei massimi autori nella storia della settima arte, in un documentario che mette in luce la spiazzante originalità e l'impatto rivoluzionario dell'opera di Altman rispetto alle convenzioni cinematografiche dell'epoca, ma che offre al contempo anche uno sguardo più intimo e privato, nonché decisamente affascinante, alla dimensione privata e familiare nella vita del magistrale regista di MASH, Nashville, America Oggi e Gosford Park.
Movieplayer.it
3.5/5