All the Beauty and the Bloodshed, la recensione: l'arte della giustizia

La recensione di All the beauty and the bloodshed: Fresco vincitore del Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia, il documentario parte dalla storia personale dell'artista Nan Goldin per elevarsi a manifesto d'arte e di giustizia contro le dipendenze e la sete di potere della famiglia Sackler.

A volte la richiesta di giustizia brucia più di una dipendenza. Ti entra dentro, scivola tra le vene, alimenta le tue giornate e si ripropone costantemente, giorno dopo giorno, ora dopo ora. E non c'è nulla a calmare la sua astinenza; l'unica cosa che conta è adesso vedere i colpevoli pagare, i loro nomi eliminati dalle insegne dei musei, le loro azioni sentenziate con un solo perfetto: colpevoli.

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All the Beauty and the Bloodshed: Nan Golding in un'immagine del film

Come sottolineeremo in questa recensione di All the beauty and the bloodshed, il documentario di Laura Poitras sull'attivista e artista Nan Goldin vive e si alimenta di arte e giustizia. Una giustizia urlata, o richiesta silenziosamente da corpi distesi per terra e manifesti alzati in aria. Nan Goldin si fa paladina degli inascoltati, degli ignorati, delle vittime che hanno ricercato nella forma di una pasticca come quella di ossicodone un sollievo di dolore per trovare la dipendenza e la morte. Foto personali e filmati di archivio diventano pertanto una galleria non solo mnemonica, ma anche un'arringa visiva attraverso cui chiedere giustizia e alleviare un dolore impossibile da calmare, se non vedendo la famiglia Sackler cadere, sotto il peso delle proprie colpe, sotto il peso della propria avarizia.

ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED: LA TRAMA

All the Beauty and the Bloodshed, unico documentario in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2022, esplora la lotta dell'artista Nan Goldin contro la famiglia Sackler, arricchitasi dalla vendita di oppiodi e che ha riciclato la propria immagine pubblica vendendosi come mecenati d'arte. Questo progetto, diretto da Laura Poitras, ha come protagonista proprio Goldin, che ha condotto una dura campagna contro la Purdue Pharma, l'azienda farmaceutica di proprietà della famiglia Sackler, produttrice dell'antidolorifico Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel mentre, alla facoltosa famiglia sono state intitolate fino a sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo del Louvre di Parigi. Un privilegio che la Goldin vuole abbattere, manifestazione dopo manifestazione, opera d'arte dopo opera d'arte.

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SANGUE DI GIUSTIZIA, BELLEZZA D'ARTE

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All the Beauty and the Bloodshed: una scena del film

Non ha bisogno di oratori esterni, avvocati o narratori fuori campo, All the beauty and the bloodshed. A farsi guida privilegiata di questa discesa e risalita dal proprio inferno personale basta la stessa Nan Goldin. Certo, come ricorda la stessa protagonista, "è facile raccontare la propria storia; più difficile mantenere i ricordi". Dopotutto si pensa alla forma documentaristica come all'opera più semplice da realizzare, perché non vi sono esistenze da inventare, storie da sviluppare, ma basta recuperare i ricordi, mettere insieme i materiali mnemonici, e unirli armoniosamente da un commento impattante ed emotivamente coinvolgente. Nulla di più errato, perché non c'è cosa più complessa che farsi autore alla seconda di una vita già precedentemente scritta dal suo stesso protagonista, attraverso cadute e vendette, errori e richieste di giustizia. E la vita di Nan Goldin è un romanzo complesso, intessuto di arte e livellato dalla morte. Suddiviso in sei atti, tocca ed entra senza edulcorazioni o falsa retorica nei meandri dell'incubo e della malattia, tra AIDS, depressione e dipendenza. Un valzer della morte ballato stretto con un senso di bellezza e di arte in tutte le sue forme. Dalla fotografia, a mostre da allestire, ogni momento è scandito con chiarezza e unito agli altri con armonia, senza salti improvvisi che rischino altrimenti di disorientare lo spettatore in questo cammino tortuoso nella selva oscura della giustizia e della rivendicazione personale. Senza lasciare mai la mano del proprio pubblico, il documentario lo guida con fare attento tra ricordi personali e manifestazioni di protesta, tra stanze mnemoniche e gallerie di musei, in un continuo alternarsi tra giustizia personale ora pronta a farsi urlo universale.

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UNA GIUSTIZIA PERSONALE CHE SI FA UNIVERSALE

La base biografica che unisce vite distrutte e pillole di ossicodone torna dopo in Dopesick - Dichiarazione di dipendenza, rivestendo ogni frammento di All the beauty and the bloodshed. Ma qui non c'è spazio per esistenze romanzate e stilemi drammaturgici. Tutto parla di verità, quella dolorosa, quella testimoniata da parole che rimembrano e si fanno ponti con i demoni del passato, e da un'archivio fotografico in cui i sorrisi lasciano spazio ad assenze e addii. Ciononostante All the beauty and the bloodshed parla anche di speranza, quella per una giustizia che dopo tanti sforzi arriva, concretizzandosi in un abbraccio liberatorio tra uomini e testimoni di una crociata contro una famiglia che alle vite altrui ha preferito il potere dei soldi, alla promessa di un sollievo, ha elargito dipendenze e bugie. Tutto nella vita della Goldin era segnato dalla paura, dalla morte e della bellezza di una sessualità da vivere a pieno. Il suo cammino era già stato battuto dalla sorella Barbara, la cui morte è stata per l'artista un colpo da interiorizzare e sublimare traducendolo in arte. Arte sofferta, come quella mostrata in opere altamente personali come La ballata della dipendenza sessuale, Sorelle e sibille e La memoria perduta, tutti frammenti biografici attraverso cui la Goldin cerca di catturare tutta la bellezza e crudo dolore di amicizie e relazioni costruite e perse negli anni.

Una galleria che si fa adesso ricordo alla seconda, vessillo biografico, insieme di pagine tinte di passione e rosso sangue, pronte a investire un documentario intenso, imperdibile, toccante, come All the Beauty and the Bloodshed. Un'opera in cui il coraggio di raccontare la verità, perché basato sul dolore e ricordo personale, si fa monito di giustizia, baluardo contro la sete di guadagno della famiglia Sackler e contro un mostro come la dipendenza ancora tutto da combattere, da fare a pezzi, anche attraverso la bellezza dell'arte.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di All the beaty and the bloodshed sottolineando come il documentario elevi la storia personale dell'artista e attivista Nan Goldin a monito di giustizia e vessillo contro la sete di potere di famiglie facoltose e dipendenze da combattere. Il tutto con un'eleganza di racconto mai banale, ma dolorosa e cruda.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Il dolore mai edulcorato ma sempre mostrato.
  • L'armonia con cui vengono uniti gli atti che lo compongono.
  • La narrazione sofferta della protagonista.
  • L'uso del materiale audio-visivo come supporto e non come semplice allegato.

Cosa non va

  • La durata.