È il film che ha parzialmente contribuito al ritorno in massa del pubblico nelle sale francesi, complice il Festival di Cannes dove è stato oggetto della cosiddetta Dernière Séance (nuovo appellativo dello slot destinato alla pellicola di chiusura). Uscito al cinema qualche settimana dopo, ha attirato nel corso di due mesi un milione e mezzo di spettatori, cifra più che rispettabile dati i tempi pandemici e l'arco di tempo passato dai due capitoli precedenti (che avevano chiuso con poco più di due milioni di spettatori a testa sul territorio nazionale). Il che dimostra, come proviamo anche a dire in questa recensione di Agente Speciale 117 Al servizio della Repubblica - Allerta rossa in Africa nera, che il fascino del buon Hubert Bonisseur de la Bath, alias OSS 117, al netto dei tempi che cambiano (non sempre in bene, per quanto riguarda la formula della serie), non è tanto facile da scalfire, e conferma la vitalità in sala - per lo meno in patria - di titoli che non sono per forza legati a grandi franchise statunitensi.
Da 117 a 1001
Con Agente Speciale 117 Al servizio della Repubblica - Allerta rossa in Africa nera ci spostiamo negli anni Ottanta. Hubert Bonisseur de la Bath (Jean Dujardin) continua a lavorare per il governo francese, e il successo non di discute, o quasi: OSS 117 sta cominciando a perdere colpi, non essendo più giovanissimo (la sua età non è specificata, ma durante le riprese Dujardin aveva 49 anni, avvicinandosi al Daniel Craig cinquantenne sul set di No Time to Die). Per questo motivo, e con grande dispiacere del diretto interessato, una volta rientrato dall'Afghanistan viene riassegnato al reparto informatico, in un ufficio, senza più lavorare sul campo. O almeno così doveva essere fino al momento in cui si verifica il fattaccio: Serge, alias Bob Nightingale, alias OSS 1001 (Pierre Niney), il nuovo agente più giovane e al passo coi tempi, è sparito senza lasciare traccia durante una missione in Africa, e spetta a Hubert andarlo a trovare, assicurandosi anche che l'incarico originale vada in porto. Cosa non facile, dato che, oltre ai suoi consueti atteggiamenti razzisti e sessisti, l'agente 117 in questo caso si porta appresso anche una viscerale antipatia nei confronti delle nuove generazioni e di ciò che Serge rappresenta per il futuro della professione.
Nuove forze comiche
Inizialmente era previsto che il regista Michel Hazanavicius, già dietro la macchina da presa per i due episodi precedenti, tornasse per questo terzo capitolo delle avventure di Hubert Bonisseur de la Bath, salvo poi rinunciare per divergenze creative con lo sceneggiatore, che voleva un approccio più classico mentre Hazanavicius voleva pigiare più forte sul tasto parodistico, con un OSS 117 invecchiato, con segni di calvizie, fuori tempo massimo. Al suo posto è subentrato Nicolas Bedos, noto per La belle époque, e il passaggio di consegne è abbastanza evidente: anche tenendo conto del cambio di decennio, la filologia visiva è meno presente, e c'è una certa timidezza a livello comico, con gag che, per quanto efficaci, non si susseguono al ritmo feroce che avevano quindici anni fa. Si percepisce anche una minore fiducia nei confronti della capacità analitica dello spettatore: se nel 2006 e nel 2009 bastava far interagire Bonisseur de la Bath con l'ambiente circostante per sottolinearne la mentalità da cavernicolo, in questa sede, sulla falsariga del discorso che M fa a James Bond in Goldeneye, il ci tiene a ribadire esplicitamente quanto il protagonista sia bigotto, facendolo rimproverare sullo schermo. Solo che nel caso di 007 una scena simile era necessaria dato l'intento serio del franchise di appartenenza e il cambio di sensibilità dal 1962 al 1995, mentre OSS 117, in questa incarnazione, è sempre stato un idiota pieno di sé che non andava preso sul serio.
Agente Speciale 117 Al servizio della Repubblica - Missione Rio, recensione: dal Brasile con amore
Rimane la performance di Dujardin, che a dieci anni dalla prestazione che lo portò all'Oscar (The Artist, sempre di Hazanavicius) dimostra di avere ancora intatte le sue doti da interprete puramente fisico, con una maschera facciale ineccepibile messa a confronto con l'approccio più verbale di Niney, talentuoso esponente della nuova generazione francese (è stato il più giovane attore di sempre a essere accettato tra le fila della Comédie Française, all'età di 21 anni), che qui ha l'occasione di sfogarsi in ambiti più leggeri di quelli in cui siamo abituati a vederlo (basti pensare al suo ruolo in Frantz ). Insieme formano un duo comico delizioso, inibito solo da una scrittura che, temendo forse reazioni avverse da parte del pubblico, ha scelto di mettere le mani avanti sul protagonista, senza che fossimo noi a renderci conto che non è da prendere a modello per il suo comportamento razzista, sessista e omofobo. Ma ha anche dei difetti, eh...
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Agente speciale 117 Al servizio della Repubblica - Allerta rossa in Africa nera, raccontando ancora una volta come in questo film l'agente segreto interpretato da Jean Dujardin debba fare i conti con i tempi che cambiano, dentro e fuori dallo schermo, con una nuova sequela di gag simpatiche ma a volte prive di mordente.
Perché ci piace
- Jean Dujardin rimane spassosissimo.
- Pierre Niney è un'ottima aggiunta al cast.
- Alcune gag, come quella ricorrente sul tedesco, sono esilaranti.
Cosa non va
- Si percepisce una timidezza generale, a livello di scrittura e regia, legata ai comportamenti scorretti di OSS 117.