È senz'altro impossibile dimenticare la scena finale de Gli uccelli: nel repertorio degli innumerevoli momenti memorabili del cinema di Alfred Hitchcock, l'epilogo del suo classico del 1963 resta senz'altro fra le pagine più belle e inquietanti mai scritte dal maestro del brivido. La scena, famosissima, è quella in cui Mitch e Lydia Brenner (Rod Taylor e Jessica Tandy), sorreggendo una Melanie Daniels (Tippi Hedren) ferita e terrorizzata, si incamminano verso l'automobile che li porterà in salvo, ma per riuscirci devono attraversare un cortile gremito dai minacciosi volatili.
Si tratta di tre minuti privi quasi del tutto di dialoghi, ad eccezione di un breve scambio di battute fra Mitch e la sorellina adolescente Cathy (Veronica Cartwright), e in cui a predominare è il sibilo del vento, a cui si aggiunge di tanto in tanto un sinistro battito d'ali. Un esempio magistrale, uno dei tanti, ma anche uno dei migliori, del modo in cui Hitchcock sa adoperare gli elementi del linguaggio cinematografico per costruire una tensione insostenibile... o, come in questo caso, sa quando 'annullare' uno di questi elementi, la voce umana, per rendere la visione ancora più angosciosa.
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Un tranquillo posto di campagna
E alla scuola di Hitchcock, pur senza scivolare in un mero citazionismo, sembra aver studiato con attenzione anche John Krasinski per la sua terza prova dietro la macchina da presa, dopo due pellicole di genere completamente diverso come Brief Interviews with Hideous Men del 2009 (trasposizione della raccolta di racconti di David Foster Wallace) e il dramedy corale The Hollars del 2016. A Quiet Place - Un posto tranquillo, di cui il trentottenne Krasinski è anche protagonista e co-sceneggiatore, è però l'opera in grado di confermare un innegabile talento registico: perché il film, approdato in Italia con un giorno d'anticipo sugli Stati Uniti, merita di essere ascritto nel novero dei più convincenti horror degli ultimi anni, e potrebbe perfino aggiudicarsi la palma come miglior horror del 2018 (in attesa di Hereditary, lodatissimo al Sundance, e di possibili sorprese autunnali).
La vera arma segreta di A Quiet Place, dichiarata dal titolo stesso, è per l'appunto il silenzio, come lo spettatore realizza fin dal prologo - già di per sé un bellissimo, elettrizzante mini-film che si chiude con una sequenza che vi farà gelare il sangue nelle vene. Lo scenario distopico del racconto è infatti una desolata area rurale dell'America odierna, in cui gli unici sopravvissuti sembrano essere Lee ed Evelyn Abbott (John Krasinski ed Emily Blunt) insieme ai loro tre figli. E mentre li osserviamo aggirarsi circospetti in un emporio deserto, facendo attenzione a non provocare il minimo rumore, veniamo subito indotti a sottoscrivere il "patto narrativo" alla radice della storia: nell'universo di A Quiet Place è proibito parlare o emettere suoni chiaramente udibili, perché un certo livello di decibel è sufficiente a trasformare un innominato pericolo in un devastante Leviatano. Il silenzio, in sostanza, non è più sinonimo di tranquillità (da qui l'ironica ambivalenza dell'aggettivo quiet nel titolo), ma lo strumento necessario per sopravvivere in questo incubo ad occhi aperti.
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L'assordante silenzio della paura
In A Quiet Place, però, il presupposto su cui è impostata la trama assume una valenza ancora maggiore in termini di capacità di coinvolgimento: perché se Lee, Evelyn e la loro prole sono costretti a vivere un'esistenza immersa in un silenzio innaturale per tutti, fuorché per la primogenita sordomuta Regan (a interpretarla è la quattordicenne Millicent Simmonds, al suo secondo ruolo dopo Wonderstruck - La stanza delle meraviglie di Todd Haynes), a nostra volta noi spettatori, condividendo quel medesimo silenzio, in qualche modo ci troviamo a 'partecipare' al gioco di vita e di morte su cui si regge l'intero film. Un film che, saggiamente, gioca proprio sulla dicotomia fra il silenzio e il sonoro: e il sonoro, dai bisbigli semi-incomprensibili fra i personaggi agli scricchiolii del pavimento, dal lievissimo tintinnio degli oggetti alle urla soffocate nella gola, si rivela il perfetto, implacabile veicolo di suspense che tiene inchiodati alla poltrona per novanta, logoranti minuti.
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Un veicolo che John Krasinski dimostra di gestire al meglio, rendendo questo sommesso tappeto sonoro il 'linguaggio' prevalente di una pellicola che trasfigura l'ordinarietà dei più semplici gesti quotidiani in operazioni delicatissime, guidate da un'estrema prudenza e da un timore ineludibile. È, in fondo, l'elemento che rende A Quiet Place un film così teso e disturbante; tanto più che Krasinski non si limita a far leva sul "non detto", ma sfrutta pure il "non visto". Perché l'orrore, in A Quiet Place, è confinato quanto più possibile fuori campo, lasciando che la nostra immaginazione venga prima stuzzicata da pochi, raggelanti indizi: il fulmineo fotogramma di un tentacolo, gli atroci versi di una creatura senza volto. Mentre il solo momento davvero liberatorio, con l'ausilio di un paio di cuffiette auricolari, rimane la danza fra Lee ed Evelyn accompagnata dal romanticismo bucolico di Harvest Moon e dalla dolcissima voce di Neil Young: un idillio racchiuso in una fugace parentesi prima di tornare a fronteggiare il pericolo, protetti da un silenzio che è al tempo stesso la più inviolabile delle armature e la più crudele delle prigioni.