E' l'ora de Il grande sogno di Michele Placido, forse il film italiano più atteso in competizione in questa 66. edizione della Mostra del cinema di Venezia; certamente la sala conferenze del Casinò si è riempita di più soltanto per George Clooney o Michael Moore. Placido, arrivato in conferenza accompagnato dai produttori di Medusa e Taodue, nonché dai suoi giovani interpreti Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio (Luca Argentero, impegnato sul set con Julia Roberts, non può essere della partita), risponde con grande passione e sincerità alla domande sulla pellicola, un quadro autobiografico delle sue esperienze del '68 romano, e perde le staffe solo alla fine, quando una giornalista spagnola mette in dubbio la sua integrità chiedendogli come può un uomo di sinistra fare un film con Medusa. Per dovere di cronaca, la replica è stata sostanzialmente "con la RAI non va bene, con Medusa non va bene, mi dica lei con chi dovrei fare film?".
Ma passiamo a qualche stralcio della conferenza più interessante e meno animoso.
C'è una scena del film che fa chiaro riferimento alla vicenda di Valle Giulia; in quella occasione vi fu anche un famoso intervento di Pier Paolo Pasolini riguardo al comportamento dei poliziotti. Lei, che allora era un giovane poliziotto, in che modo visse quella situazione?
Michele Placido: Io ho raccontato una storia, anzi diverse storie, quella mia, ovvero quella di un giovane poliziotto arrivato a Roma dal Meridione con il sogno di diventare attore, quella di una ragazza che faceva parte della memoria del mio co-sceneggiatore Angelo Pasquini, mentre il personaggio di Argentero arriva dai ricordi di un mio amico di Torino. Pasolini scrisse una lettera in difesa dei poliziotti, ma devo dire di non essere del tutto d'accordo con lui, perché quei borghesi che lui attacca, quelli che secondo lui avrebbero dimenticato presto il '68, sono stati i miei primi veri insegnanti. Mi hanno insegnato a vedere il mondo diversamente, hanno influito sulle mie scelte successive come quella di rinunciare a un film come L'anatra all'arancia per andare invece a fare teatro a Siracusa. Mi hanno insegnato a fare le cose con passione e per passione, e questo, in fin dai conti, è ciò che vuole dire Il grande sogno.
In molti sensi, però, la lettera di Pasolini fu profetica. Per quanto mi riguarda, io credo di stare ancora facendo il '68 attraverso il mio lavoro.
Il cinema rivolge spesso il suo sguardo verso quegli anni; il suo è uno sguardo nostalgico o la sua intenzione è quella di fare da filtro per una riflessione sulla nostra contemporaneità?
Michele Placido: Il film sta già funzionando in questo senso. Sto ricevendo innumerevoli richieste di proiezioni da università e associazioni anche di destra. Viste quelle che sono le mie idee, tendo ad andare in un'altra direzione ma dialogherò volentieri anche con la destra, perché indurre a pensare, creare dibattito è per me una cosa fondamentale.La scena finale allude al fatto che il '68 uccise i sogni che aveva generato?
Michele Placido: Non direi, il finale del film rappresenta la chiusura del percorso di diverse esistenze durante quell'annata. Il mio alter ego realizza il suo sogno, diventa attore, ma so che le strade di molti miei amici di allora hanno preso una piega molto diversa, alcuni hanno partecipato alle attività violente degli anni successivi.
Ancora a proposito del lungo filone di film italiani sul '68. Per noi che facciamo parte di un'altra generazione non c'è interesse nei cineasti? Volete lasciare i trentenni solo a Muccino?
Michele Placido: Mi sembra che ci sia interesse anche per le storie contemporanee. Il film di Francesca Comencini, Lo spazio bianco, racconta benissimo una storia molto attuale. Ma in fondo sono d'accordo, è giusto che si facciano film sulle generazioni più giovani, ma dovrebbero farle i cineasti della sua età, noi tendiamo sempre a guardarci indietro!
Lei parla de Il grande sogno come di un film personale e non ideologico. Poco tempo fa, però, ha dichiarato che le piacerebbe fare un film su Craxi. Qual è il suo rapporto con la politica?
Michele Placido: Non posso fare a meno di essere immerso nella politica. Sono spesso tentato di occuparmene anche nella sfera privata, ma poi mi dico che è meglio che continui a limitarmi al mio lavoro. Certo, se dovessi dedicare questo film a qualcuno, lo dedicherei al direttore de L'Avvenire, una persona che davvero incarna lo spirito del '68.Quali sono le conclusioni politiche del suo film? Alla fine c'è o no un'allusione alla nascita delle Brigate Rosse?
Michele Placido: No, il film non è sulle BR. Dovete capire che il '68 non ha ucciso nessuno, c'era un'atmosfera gioiosa e pacifica, si ballava e ci si divertiva. C'era un'aria di festa quando si andò a Piazzale Belle Arti con uova e pomodori da tirare ai poliziotti: ma fu la reazione violenta di questi ultimi a innescare un atteggiamento diverso nei ragazzi.
Come vede Il grande sogno in rapporto a un film come The Dreamers di Bernardo Bertolucci?
Michele Placido: Io e Pasquini avevamo da poco iniziato a buttare giù le prime pagine di questo progetto quando venimmo a sapere del film a cui stava lavorando Bertolucci. Accantonammo il nostro, e solo anni dopo Angelo è riuscito a convincermi a riprenderlo in mano. Abbiamo però fatto alcune modifiche, perché il progetto era incentrato su un ragazzo che arriva a Roma dal Meridione e scopre il cinema, e forse le analogie erano troppe con cotanto predecessore.
Una domanda per gli interpreti. Come si sono preparati Jasmine e Riccardo per i loro ruoli?
Jasmine Trinca: C'è stata una preparazione comune, abbiamo tutti visto film, letto libri, esaminato documenti; io sono una ragazza interessata a ciò che la circonda, quindi sapevo già molto del '68, ma Michele, in particolare, mi chiese di leggere, per preparare il personaggio di Laura, la Lettera a una professoressa di Don Milani, per il background cattolico di Laura, e Memorie di una ragazza perbene di Simone De Beavoir, che invece prefigura quello che il personaggio diventerà, una sorta di protofemminista per cui anche la liberazione sessuale fa parte di un percorso molto preciso di liberazione del sé.Riccardo Scamarcio: Nel mio caso la preparazione forse era meno importante, dato che il mio personaggio doveva avere un candore e una curiosità che erano quelli dell'ispiratore, Michele Placido. Avendo lui vicino, non mi serviva molto di più per conoscere il personaggio di Nicola. C'è però una scena in particolare che mi ha fatto capire qualcosa in più di quello che è stato il '68, ed è quella in cui Nicola cerca di rubare un bacio a Laura. Michele mi ha spiegato come erano diverse le cose allora, non era facile baciare una ragazza, e ho capito l'impaccio di Nicola, l'imbarazzo anche nel cercare di metterle un braccio intorno al collo al cinema. E ho capito quanto il '68 abbia influito sulle libertà di cui godiamo noi oggi.