Non sappiamo ancora quando verrà trasmesso in Italia, ma True Detective, uno dei nuovi show più chiacchierati e acclamati del momento, è già entrato nella storia del piccolo schermo. Le ragioni di questo successo sono principalmente la qualità della scrittura e il pregio della interpretazioni, oltre a una regia proteiforme e innovativa, che spazia tra registri, ritmi e generi (abbiamo ancora negli occhi il formidabile piano sequenza dell'episodio Who Goes There?, pura azione forsennata, ma lo show abbraccia anche le atmosfere dilatate del noir e i parossismi di terrore dell'horror), ma ad appassionare è stato anche il dolente mystery che, pur non raggiungendo i livelli di fascinazione/ossessione di quelli alla base di classici come I segreti di Twin Peaks o Lost, ha comunque prodotto infinite discussioni e articolate teorie.
Nelle ultime settimane, Nic Pizzolatto ha cercato di fare quanto in suo potere per "abbassare" le aspettative sulla sua sulla conclusione della vicenda, anticipando un finale che non avrebbe cambiato le carte in tavola ma sarebbe stato in linea con le premesse. Nel consegnarci esattamente questo, Pizzolatto è riuscito a stupire in una maniera più inconsueta e più profondamente commovente.
Il twist che non c'era
Ciononostante, buona parte degli spettatori di True Detective si aspettavano rivelazioni eclatanti, magari legate a uno tra i tanti spunti offerti nel corso della narrazione, o a uno dei riferimenti letterari di Pizzolatto, da Un abitante di Carcosa di Ambrose Bierce al King in Yellow di Robert Chambers. Noi stessi eravamo in un primo momento convinti che sarebbe riemersa la storyline relativa alla figlia maggiore di Hart, tanto era sembrata inquietante e impossibile da ignorare la scena dello stupro sceneggiato con le bambole in The Locked Room.
In realtà, il mistero si era già dischiuso con la conclusione del settimo episodio After You've Gone, e l'entrata in scena di Erroll Childress aveva trasformato il whodunit in una tesissima caccia finale che inizia portandoci da subito nella tana del mostro. Ma era anche evidente che lo show, nella sua pagina conclusiva, avrebbe dovuto rivolgersi al suo fulcro più autentico, il percorso di due uomini molto diversi e delle loro diverse solitudini. Perché la loro alleanza, che nasce nel cliché della coppia di investigatori antitetici, è il frutto di un lavoro di caratterizzazione di notevole coraggio, spessore e originalità.
The Yellow King
Ci sta, dunque, che a Rust e a Marty sia dedicata la conclusione soddisfacente di una parabola credibile; come suggerito dalla bellissima sigla, gli eventi, i paesaggi, gli orrori e i tormenti sono tutti contenuti nei personaggi: tutto il resto è, come è stato sin dall'inizio, soltanto suggestione, indizi che sta alla fantasia dello spettatore cogliere ed elaborare, come la vera "identità" del re in giallo, il macabro idolo che appare nel cuore della fortezza di Carcosa al momento dello showdown, ma può sfuggire allo spettatore disattento. Allo stesso modo, anche se il mostro affrontato nell'ansiogena, spaventosa sezione centrale dell'episodio, è alla fine sconfitto, non c'è un epilogo risolutivo per l'indagine, i Tuttle sono riusciti ad affrancarsi da Childress e Cohle e Hart sanno bene che alcuni degli assassini sono ancora in libertà, protetti anche e soprattutto dalla corruzione delle forze dell'ordine. D'altronde, quando ancora indossava il distintivo, Rust ammetteva di essere pericoloso ("i poliziotti possono fare cose terribile alla gente, restando impuniti"), e sia lui che Hart hanno dovuto lasciare il dipartimento per poter andare a fondo con il caso più importante della loro carriera.
E quindi uscimmo a riveder le stelle
Per quanti spunti lasci per sempre in sospeso (come i nostri lettori sapranno, infatti, la seconda stagione di True Detective sarà completamente rifondata nel soggetto e del cast di personaggi) , dunque, lo show è profondamente coerente, anche quando ritrova i suoi eroi alla fine della battaglia, alla fine di un percorso lungo diciassette anni che li ha cambiati radicalmente. Un cambiamento lungo e laborioso, eppure fulmineo e miracoloso come quello che dall'oscurità produsse la luce - Form and Void, il titolo di questo episodio finale, è uno scoperto riferimento al secondo verso della Genesi: "the earth was without form and void, and darkness was over the face of the deep". Eppure Hart perdona sé stesso perdonando all'ex collega l'indiscrezione con sua moglie, ed è finalmente capace di essere sincero e trasparente con la sua famiglia; a Cohle non riesce il sacrificio a cui sembrava destinato in nome della sua quest, e la sua sopravvivenza è tragica e lieta allo stesso tempo, perché dovrà tornare a convivere con i sentimenti che aveva allontanato da sé per tanti anni dopo la morte della figlioletta.
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Selenicereus Grandiflorus
Intricato, alieno, aspro, Cohle è come il cactus che ispira la canzone degli opening credits di True Detective (Far From Any Road degli Handsome Family), quel Selenicereus Grandiflorus che fiorisce magnificamente solo per poche ore, ogni due o tre anni. Circondato da insidie, predatori e veleni, Rust ha respinto gli altri e cancellato in sé stesso ogni affetto, proiettando allo stesso tempo l'intensità della sua intelligenza, la luce della sua integrità, il calore della sua umanità su un'unica causa, quella di decine e decine di piccole vittime innocenti e dimenticate. Avevamo visto quegli squarci di fragilità e bellezza, nell'arco della storia, ma solo alla fine, nel glorioso, spiazzante finale, ne abbiamo afferrata la pienezza, anche grazie alla prova stratosferica di un Matthew McConaughey che ormai è diventato difficile esaltare senza scadere nell'ovvio. La leggenda vuole che la vista della fioritura del selenicereus possa indurre la pazzia, ma per questa volta siamo tornati indietro, con una tragica e lieta, preziosa e irrilevante lucidità, di cui, in ogni caso, siamo grati.
If you ask me, the light is winning.