Il treno va a Mosca stasera in anteprima a Firenze

Arriva in città il film del regista fiorentino Federico Ferrone presentato al Torino Film Festival. Il documentario, interamente realizzato con filmati d'epoca, dal 13 maggio anche allo Stensen.

Lunedì 12 maggio un grande evento speciale a Odeon Firenze con l'anteprima del film Il treno va a Mosca, alla presenza dei registi Federico Ferrone e Michele Manzolini. Un film fatto quasi per intero di altri film, quelli in 8mm che Sauro Ravaglia - barbiere comunista del paesino romagnolo di Alfonsine - girò insieme ai suoi compagni Enzo Pasi e Luigi Pattuelli durante il viaggio più importante della loro vita: quello nella Mosca sovietica del 1957, capitale di un paese che allora in molti consideravano "perfetto". Il film sarà in programmazione da martedì 13 maggio al cinema Stensen.

È il 1957, e Alfonsine è uno dei tanti paesini della Romagna "rossa" distrutti dalla guerra. Sauro e i suoi amici sognano la Russia. Arriva l'occasione di una vita: visitare Mosca durante il Festival mondiale della gioventù socialista. Sauro e compagni si armano di cinepresa per filmare il grande viaggio. Ma cosa succede quando si parte per filmare l'utopia e ci si trova di fronte la realtà? Presentato in concorso all'ultimo Torino Film Festival, il film è il sapiente risultato di un lavoro di montaggio e rielaborazione - durato oltre tre anni - di film d'epoca conservati presso Home Movies, l'archivio che da 10 anni raccoglie pellicole amatoriali e materiale filmico privato su tutto il territorio nazionale. Piccoli, preziosi Super 8 che ricreano uno sguardo unico su un'epoca: quella del sogno post-bellico di un mondo di pace, fratellanza e uguaglianza incarnato dal modello dell'Unione Sovietica socialista.

"L'idea è stata quella di raccontare la nascita e la morte del grande sogno comunista in Italia affidandosi molto di più allo sguardo di un tempo che alle parole di oggi" spiegano i registi. "La traiettoria di Sauro è una parabola della militanza, dall'utopia alla sua fine, oltre che un racconto di formazione. Perché la disillusione, per lui, non è stata un motivo di ritrattare gli ideali con cui è cresciuto bensì un momento di passaggio e di maturazione, trasformatosi poi in uno stimolo a continuare a viaggiare, cosa che ha fatto per tutta la vita". E continuano: "Per Sauro, come per molti della sua generazione, l'utopia non era solo un'idea politica ma una prospettiva che quasi si poteva toccare con mano. Per noi che siamo cresciuti in un'epoca in cui non si sogna più una società ideale, fare un film come questo è un tentativo di far riaffiorare quel desiderio di utopia che, anche solo per motivi anagrafici, non abbiamo mai sentito come nostro".