È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino sui suoi genitori e la storia vera che ha ispirato il film

Paolo Sorrentino ha parlato di È stata la mano di Dio, del rapporto con i genitori e della storia vera e dei personaggi reali che hanno ispirato il film attualmente in sala e su Netflix.

Paolo Sorrentino ha parlato di È stata la mano di Dio, del rapporto con i suoi genitori e della storia vera che ha ispirato il film attualmente in sala e su Netflix nel corso di un'intervista con Teresa Ciabatti per Il corriere della sera.

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È stata la mano di Dio: Toni Servillo e Filippo Scotti in una scena del film

A proposito della sua infanzia e adolescenza - così centrali in È stata la mano di Dio -, Paolo Sorrentino ha dichiarato: "Sono nato che mio fratello aveva nove anni, e mia sorella tredici. Eravamo sei con mamma, papà, e nonna. Per un problema ai polmoni, lei aveva bisogno di ossigeno. Ricordo un gran via vai di bombole. Salumiera nei Quartiere Spagnoli, a quel punto, chiusa in casa, era depressa, astiosa. Per esempio: aveva perso una figlia piccola. Se le veniva annunciata la morte di qualcuno, fosse anche violenta, tra i peggiori stenti, lei rispondeva: 'E capirai, io ho perso mia figlia di tifo a undici anni'. Credeva che il suo lutto fosse sempre il migliore".

Relativamente al padre, invece, il regista de La grande bellezza ha raccontato: "Bancario, incuteva soggezione. Se le amiche di mia madre venivano in visita di cortesia, al tempo si usavano le visite di cortesia, cercavano di andare via prima che rientrasse lui. A volte litigavamo e io mi proponevo di non salutarlo col bacio, impossibile. Ero piccolo però, non so cosa sarebbe successo se fossi diventato adulto. Magari sarei riuscito a non baciarlo. All'epoca l'unica a tenergli testa era mia sorella, che gli diceva spesso: 'Te ne devi andare'".

"Per quale motivo?" chiede Teresa Ciabatti. E Sorrentino risponde: "A causa della Signora... Era una sorta di entità sovrannaturale. Con le parole si finiva per nobilitare la persona più odiata. L'ho conosciuta dal notaio dopo la morte dei miei, questioni di eredità. Con sensi di colpa enormi nei confronti di mia madre, mi è stata simpatica".

Al centro di È stata la mano di Dio c'è, ancora una volta come in tutti i film di Paolo Sorrentino, l'immaginazione. Come mai questo concetto è così centrale in tutti i lungometraggi del regista partenopeo? Il filmmaker ha risposto: "Un po' per cultura napoletana, un po' per indole dei componenti della mia famiglia, sono cresciuto tra gli aneddoti eccessivi, assurdi, inclusi quelli di guerra. Mia madre raccontava che, sfollata in campagna, un giorno arrivano i tedeschi per ammazzarli, il Generale vede la sua amica e ferma i soldati: 'Questa bambina è identica a mia figlia morta' dice. Così si salvarono. Reale? Non so, non credo sia importante".

Il regista ha proseguito a proposito della sua famiglia: "Mia madre studiava dalle suore, le quali, quando portavano le ragazze al cinema, le rifornivano di spilli per infilzare gli uomini che nel buio allungavano le mani. Poi gli scherzi telefonici, come quello del film, oppure il Guttalax nel bicchiere".

"In quegli anni, cosa accadeva se avevi una pelliccia?" lo incalza Teresa Ciabatti. "La esibivi. A Roccaraso, e a Napoli, sebbene non facesse così freddo. Nei mesi estivi invece si portava dal pellicciaio, da mantenere in frigo" risponde Sorrentino e prosegue: "Ricordo le continue richieste di mia madre a mio padre che rispondeva 'noi siamo comunisti'. Alla fine vinse lei, arrivò il visone".

A 17 anni, poi, arriva l'evento che cambia tutto: la morte dei suoi genitori. "Un'immagine di Paolo Sorrentino prima?". Il regista ha risposto: "A sette anni mamma mi lasciava al cinema da solo per andare a vedere che combinava papà. Diceva torno subito. E io mi giravo continuamente per vedere se fosse tornata. In genere arrivava con la luce, a film finito".

"Paolo Sorrentino dopo, invece?". "Imbambolato. Sa quando ti scippano per strada e tu rimani per dieci minuti così? Ecco, quei dieci minuti per me sono durati anni. Non ho mai usato la parola orfano perché mi sembrava l'emblema della cattiva sorte".

Sorrentino, poi, ha commentato le frequenti figure di animali nel suo cinema raccontando: "Molti tendono a vederci dei simboli, la cosa è meno nobile: contagiato da Umberto Contarello, il rapporto uomo-animale mi fa ridere. Nel parco della mia infanzia c'era un veterinario, uno dei pochi a Napoli a trattare animali esotici. Una sera io e mio fratello rientrando a casa vediamo un pavone. Per settimane tra le macchine parcheggiate del condominio compariva il pavone, coi condomini che pretendevano di dargli da mangiare. Ecco, siccome il pavone è in Amarcord, ho avuto la tentazione di trasformarlo in gorilla. Sarà il mio punto d'arrivo. Metto in scena il gorilla, e mi ritiro".

Per quanto riguarda gli animali domestici, invece, le avventure sono degne proprio di un film di Paolo Sorrentino. Il regista ha raccontato: "Prima che io nascessi so che loro avevano due pesci rossi buttati da mia madre nello scarico. Mio fratello e mia sorella disperati, lei allora disse: 'Non avete capito, quelli tornano al mare'. In seguito abbiamo avuto due pappagallini. Morti i miei, uno si è mangiato l'altro. Il superstite era un genio, riusciva a aprire la gabbietta nonostante noi la chiudessimo con il laccio del panettone. Usciva e volava per le stanze".

"Perché realizzare È stata la mano di Dio proprio in questo momento?" chiede Teresa Ciabatti. Il regista ha risposto: "C'era la giusta distanza, citando Mazzacurati. Avendo compiuto cinquant'anni, potevo affrontare certi temi con misura, con un atteggiamento sentimentale e non sentimentalista. Prima temevo lo sfoggio: guardate come sono bello nella mia sofferenza. Eppure ho già portato in vita i miei genitori. Ne L'uomo in più ho trasformato mio padre in un cantante di night. Quello era il suo modo di stare al mondo, il suo amore per la musica e per le donne, si riteneva un conquistatore. Io, invece, mi sono portato in scena con Lenny Belardo, l'orfano".

A proposito della paternità, Paolo Sorrentino ha raccontato: "L'anno in cui mi sono fidanzato con Daniela, Anna era piccola. Avevamo paura della presentazione ufficiale. Invece sono andato a cena da loro, lei mi ha preso per mano, e mi ha portato in camera sua dove mi ha offerto il tè nel servizio di Minnie. Il primo regalo fatto ad Anna è stata una cucina giocattolo. Secondo: una bambola nera, battezzata Fatima. E ricordo pure il terzo, il quarto, il quinto. Quando erano piccoli giocavo con loro, io gioco benissimo a pallone, nascondino, pupazzetti, con le bambole. Finché Carlo me lo ha permesso ogni mattina l'ho accompagnato a scuola".

Sorrentino ha proseguito: "Oggi che sono grandi, però, li scoccio. Entro nelle loro camere e chiedo: 'Abbracciatemi'. E loro mi abbracciano". Infine, l'intervistatrice ha chiesto: "Va sulla tomba dei suoi genitori?". E il regista ha risposto: "All'inizio di frequente. Poi ho smesso. Tanto che per girare la scena del cimitero, nel cimitero di Napoli dove ci sono anche loro, li ho cercati senza trovarli. Avrei dovuto chiedere a mia sorella ma non ho mai chiesto".