Recensione Rango (2011)

Diverso dalla media dei film d'animazione in circolazione, l'opera di Verbinski piace per la caratterizzazione dei personaggi a partire da un protagonista che è tanto buffo e simpatico quanto profonde e pesanti sono le sue riflessioni sulla vita; forse non tutto tiene fino alla fine, ma vale la pena conoscerlo, questo mostriciattolo verde.

Lo spietato

E' stata tutta colpa di una brusca frenata se Rango, camaleonte domiciliato in spazioso terrario, attore con velleità teatrali da Off Broadway, è stato sbalzato fuori dalla macchina che lo stava trasportando. Fuori nelle lande desertiche del Mojave. Unica via d'uscita, una lunga passeggiata in mezzo a quei panorami polverosi. Evitando le buche più dure e gli uccelli rapaci. Solo e senza alcuna coscienza di sé, il rettile di rosso vestito approda nella città di Polvere, un rude avamposto in cui gli abitanti sono poco propensi a fare amicizia con gli stranieri. E Rango lo è. Tanto. Ma se Rango ha bisogno di capire chi sia, quella gente necessita di un eroe che sappia riportare giustizia e prosperità, facendo tornare l'acqua a scorrere. Il sindaco, infatti, sembra saperla lunga sulla crisi idrica che da tempo attanaglia il piccolo paese, gettandolo sull'orlo della rovina. Solo Rango può aiutarli, appoggiato dall'ardimentosa lucertola Borlotta, dalla topina Priscilla e da un manipolo di coraggiosi collaboratori. E se il coraggio viene meno, c'è sempre uno spirito guida pronto a dare i consigli giusti.


Camaleontico come il suo protagonista, Rango di Gore Verbinski piace perché è spiazzante, nettamente diverso dalla media dei film d'animazione in circolazione (dal calcolo escludiamo la Pixar, irraggiungibile per chiunque). Non è certo lo sviluppo narrativo a rappresentare il punto di forza di questo western sui generis, subito in vetta al box office americano dopo il primo fine settimana; Rango non è il primo e non sarà l'ultimo di una schiera di eroi in crisi d'identità che, loro malgrado, riescono a dimostrare di che pasta sono fatti in situazioni difficili. Quello che sorprende, semmai, è la follia delle elucubrazioni di questo rettile-attore, il cui è aspetto è tanto buffo e simpatico quanto profonde e pesanti sono le sue riflessioni sulla vita. Il mostriciattolo vaga nel deserto chiedendosi chi sia in realtà, ma allo stesso tempo fa ridere per la sua irriducibile diversità da tutti quelli che lo circondano (altro che capacità mimetica...)

Quando facciamo la sua conoscenza, il mondo di questo camaleonte sta letteralmente per esplodere. Per 'mondo' intendiamo un soffocante terrario popolato solo da una Barbie decapitata e da un pesciolino di plastica. Lo spettacolino che Rango stava allestendo per un pubblico immaginario (ma noi 'esterni' abbiamo apprezzato...) finisce nel giro di un secondo, senza la soddisfazione di vedere calato il sipario. Basterebbe questa sequenza, che Verbinski 'dirige' con toni 'psichedelici' per capire che, almeno nelle intenzioni degli autori, la convenzionalità non abita dalle parti di Polvere. Se in parte l'obiettivo è centrato il merito va alle caratterizzazione di tutti i personaggi, un gruppo eterogeneo di animali strampalati in cui la parte del leone la fa il coro di civette mariachi che dall'inizio alla fine del film tentano disperatamente con accento chicano di raccontare la morte del protagonista, senza tuttavia riuscirci (ma è questione di tempo, ribadisce piccata la solista).

L'encomiabile prodotto di Verbinski si contraddistingue per una maniacale attenzione al dettaglio, esaltata dalla notevole 'pulizia' grafica della confezione firmata dalla Industrial Light & Magic di George Lucas, già compagna di viaggio del regista in Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma e Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo. E direttamente dall'equipaggio della Perla Nera arriva anche il capitano del cast vocale americano, Johnny Depp che per 'interpretare' il camaleonte si è ispirato al comico Don Knotts; Depp e soci (non possiamo dimenticare Isla Fisher, Abigail Breslin, Ned Beatty, Alfred Molina e Bill Nighy) hanno registrato in gruppo il doppiaggio, mutuando i meccanismi dei vecchi radiodrammi. Più consueta, quindi poco sorprendente, l'evoluzione della storia, di impianto decisamente classico. In questo caso il tocco in più sono le differenti sfumature con cui sono tratteggiati i cattivi. Il sindaco tartaruga, vecchio padrone del vapore (e soprattutto dell'acqua) che rimanda direttamente al John Huston di Chinatown, è un malvagio col cappello, uno che non ha bisogno di prendere una pistola e sparare per dimostrare alla società l'intrinseca indifferenza alla giustizia. La sua violenza si manifesta attraverso i gesti, le parole, soppesate una ad una, la lentezza dei movimenti.
L'opposto di Jake Sonagli, il serpente a cui spetta il compito di incarnare la 'malvagità' di tutti i pistoleri persi per i 'sentieri selvaggi' del west; villani, certo, ma convinti che esista ancora una 'umanità' da qualche parte. E il western, con i suoi laconici cavalieri pallidi, non poteva che essere la principale fonte d'ispirazione visiva per l'appassionato Verbinski che si è divertito a citare tutto quello che poteva: dai primi piani alla Sergio Leone, ai cronometrici incastri visivi di Mezzogiorno di fuoco; dalla sporcizia dello spaghetti western (in fondo Rango fa rima con Django) a Guerre Stellari, che non è un western eppure tra i film di fantascienza è quello che deve di più ai miti della grande frontiera. E per finire, a fare da nume tutelare di questo universo perso in uno spazio tempo indefinito c'è anche lo spirito del west, un cowboy stropicciato e ironico che somiglia tanto a Clint Eastwood. Rango si è affidato alla persona giusta.

Movieplayer.it

4.0/5