Cibo spazzatura nei fast food, diffidenza negli altri, egoismo dominante e sfiducia nell'umanità. Siamo sicuri che ci siano molte differenze tra la nostra realtà e uno scenario post-apocalittico messo in ginocchio da un'epidemia zombie? Parte da qui la saga di Zombieland, ovvero da una premessa mica tanto assurda, da un dilemma attorno al quale non ha alcuna voglia di spremersi le meningi, perché ha soltanto voglia di divertirsi a suon di crani spappolati.
Uscito nel 2009, Benvenuti a Zombieland ha studiato così bene gli zombie da adottare gli stessi tempi di un'epidemia. Lenta ma inesorabile, virale come un passaparola, l'opera prima di Ruben Fleischer è partita in sordina (tanto da meritarsi soltanto l'uscita in home video qui in Italia) ma poi ha sgomitato, ha sorpreso, e infine si è elevata a piccolo cult.
Nel corso di questi dieci anni la famiglia disfunzionale composta dal pavido Columbus, l'esaltato Tallahassee, la finta tenera Little Rock e l'imprevedibile Wichita è sopravvissuta alla grande al passare del tempo, sino a guadagnarsi un sequel nuovo di zecca. Mancano pochi giorni all'arrivo in sala di Zombieland: Doppio colpo, sequel che promette di allargare gli orizzonti di una saga ispirata allo spirito irriverente de L'alba dei morti dementi.
Se il film di Edgar Wright utilizza un graffiante umorismo british, Zombieland, invece, sfoggia una comicità orgogliosamente statunitense, fracassona, compiaciuta e molto cinefila. E allora, armati delle ormai sacre regole di sopravvivenza e di un immancabile fucile a canne mozze, avventuriamoci nelle 5 regole che hanno reso Zombieland una saga più dura a morire di un dannato zombie.
1. Spirito ludico
Dimenticate l'orrore, la tensione e la paura. E staccate un bel biglietto di sola andata per un parco divertimenti putrefatto e decadente. Il più evidente merito di Zombieland è stato quello di catapultare in pubblico in un immaginario goliardico, folle ed esagerato, ma non confusionario e caotico. L'idea di delineare un vero e proprio regolamento per quell'America infetta è stata tanto semplice quanto geniale, perché capace di calare lo spettatore all'interno di uno scenario simile a un gioco di società in carne e ossa. L'ottima intuizione di Zombieland è stata quella di richiamare sin dal titolo a un dimensione ludica, estremamente giocosa e disimpegnata, suggellata dalle sue ormai celebri regole. Il fatto di muoversi dentro un universo assurdo ma comunque coerente ha reso la saga avvincente e distante da tante altre produzioni simili che la hanno preceduta. In questo modo la sopravvivenza in Zombieland non viene mai sfiorata dalla cupezza e dalle ansie delle narrazioni post-apocalittiche. Anzi. La sua indole giocosa rende la saga un'avventura perenne, un hobby spassoso, quasi uno sport in cui vince chi ammazza più non morti di tutti.
2. A caccia di zombie
E adesso eccoci al secondo ingrediente della ricetta vincente di Zombieland. Un ingrediente strettamente legato a quello qui sopra: la figura dello zombie. Saggiamente Zombieland non si perde in chiacchiere, dà volutamente tante cose per scontate perché sa che il pubblico ormai sa tutto sui putridi erranti. E allora inutile soffermarsi su dettagli inutili, cercare di impegnarsi nella salvezza del pianeta e nella ricostruzione di una società civile. No. Zombieland parte da un'umanità sconfitta, già vinta, rassegnata davanti all'apocalisse, ma non per questo priva di speranza per quello che resta da vivere. E così lo zombie diventa quasi una valvola di sfogo verso cui riversare frustrazione, senza mai cadere nel dramma. Lo zombie diventa un fantoccio minaccioso ma mai davvero pericoloso, uno spaventapasseri da tartassare a suon di mazze da baseball, pale e proiettili. La figura dello zombie, ormai abusata da cinema, fumetti e serie tv, ormai ha invaso le nostre vite, sino a creare nausea e assuefazione nel pubblico. E allora, tanto vale scherzarci su senza inibizioni. Così Zombieland, cha fatto della spettacolarità la sua vera missione, ci mostra una miriade di sequenze splatter in cui gli zombie vengono abbattuti nei modi più folli e disparati. Attraverso un utilizzo enfatico del rallenty, Fleischer ha immaginato una serie di dinamiche esilaranti in cui gli zombie vengono ammazzati da ogni dove e in qualsiasi modo. Proprio come se fossimo su una montagna russa pronta a investire orde di putrefatti.
3. Un cast affiatato
B-movie di serie A. Potremmo definire così la saga di Zombieland. Perché se la scrittura può sembrare elementare in apparenza (su questo ci torneremo tra poco), alcune ingenuità nel montaggio e nel ritmo sono volontariamente grezze, mentre il cast arruolato da Fleischer è di prim'ordine. Un cast in cui, nel lontano 2009, soltanto Woody Harrelson era già una superstar dal carisma ormai assodato. Se l'affiatamento quasi familiare tra Columbus, Tallahassee, Wichita e Little Rock ci è subito sembrato credibile e non forzato, il merito è sia di una scrittura tanto semplice quanto incisiva che di un gruppo di attori talentuosi. Dieci anni fa le enormi doti di Emma Stone non erano ancora state consacrate da Easy Girl, Jesse Eisenberg era agli inizi della sua grande carriera e Abigail Breslin era soltanto "la bravissima bambina di Little Miss Sunshine". Insomma il cast di Zombieland ci sembra una garanzia oggi, ma nel 2009 non era affatto la stessa cosa. Per cui un applauso alla lungimiranza di Fleischer e soci, che adesso si trovano tra le mani un quartetto di interpreti duttili, capaci di passare dal cinema commerciale a quello d'autore con estrema disinvoltura.
4. Contagiati dal cinema
C'è un vecchio trucco che funziona sempre. Far parlare i personaggi di canzoni, film, serie o fumetti reali significa avvicinarli immediatamente al pubblico. Il fatto di condividere lo stesso immaginario azzera le distanze tra grande schermo e platea, il che rende quei personaggi subito familiari, vicini a noi. Avete presente l'inizio de Le iene con i protagonisti che parlano di Like a Virgin di Madonna? Vi ricordate la scena di Donnie Darko in cui i ragazzi parlano del ruolo di Puffetta nella comunità dei Puffi? Ecco, quella roba lì. Un trucchetto che Zombieland ha rubato con grande furbizia, infarcendo la sua saga di tantissimi riferimenti alla cultura pop americana. Se in Zombieland: Doppio colpo c'è un'irresistibile frecciatina al fumetto The Walking Dead, Benvenuti a Zombieland trasuda cinefilia da tutte le parti. L'apice, ovviamente, è l'ultimo atto del film, in cui i nostri si avventurano in California per appropriarsi della lussuosa villa del vero Bill Murray (che appare in un gustoso cameo). Tra citazioni lampanti dei Ghostbuster e diverse parodie del genere western e post-apocalittico, Zombieland ha capito che la cinefilia è sempre un'ottima via per entrare nel cuore delle persone.
5. Stati (dis)uniti d'America
Va bene. Abbiamo riso e scherzato. Abbiamo lodato la passione di Zombieland per il cazzeggio, per la violenza divertita e divertente, per la sua natura fieramente disimpegnata. E nulla vieta di fermarsi qui, ovvero sulla superficie di una saga di puro e semplice intrattenimento spensierato. Però, volendo andare oltre quella patina di leggerezza, Zombieland abbozza anche una forte critica sociale ben indirizzata nei confronti degli Stati Uniti d'America. Columbus incarna in tutto e per tutto il tipico atteggiamento del ragazzo contemporaneo americano: sociopatico, predisposto alla solitudine, lontano dagli affetti, abituato a bastare a se stesso.
Attraverso la sua voce narrante, capiamo subito che la sua vita non è stata poi così tanto stravolta dall'epidemia: lui era solo e diffidente anche prima che quell'hamburger avariato iniziasse a infettare il mondo. Il fatto che Zombieland non sia un parco divertimenti circoscritto, ma il nuovo nome dato all'America stessa, sottolinea il piglio satirico di una saga che si prende gioco dell'abuso delle armi, del consumismo e dell'alienazione di una nazione fondata sulla diffidenza reciproca. Ma, forse, è meglio non pensarci. Meglio lasciar stare le persone e prendersela con gli zombi. Ammesso che ci siano differenze.