Da quando ha incontrato la moglie Giada Colagrande, Willem Dafoe divide la propria esistenza tra New York e Roma, dove possiede una casa a Piazza Vittorio, a poche centinaia di metri di distanza dall'amico Abel Ferrara. Pur essendo nato in Winscosin, Dafoe si sta esercitando a fare l'italiano e il palco del Lucca film Festival è il luogo adatto per fare le prove generali seminando qua e là commenti in italiano e autotraducendosi nelle espressioni più semplici. L'attore, che si è generosamente concesso in un lungo incontro col pubblico, chiede di accendere le luci del Teatro del Giglio per guardare in faccia gli spettatori e verificare che non si stiano annoiando. "Ho il passaporto italiano, sono uno di voi. Fatevene una ragione!" esclama.
Interprete onnivoro, Dafoe ha recitato in oltre novanta film e nei prossimi mesi ha in uscita l'atteso Justice League , in cui faremo la conoscenza del suo villain Vulko, che poi tornerà in Aquaman, ma anche il remake del raffinato Murder on the Orient Express, il commovente Quando un padre, presentato a Lucca in anteprima europea, e l'intrigante The Sleeping Shepherd che lo vedrà recitare a fianco di Isabelle Huppert, una delle attrici che ama di più. "Non ho modelli di riferimento, ma ci sono attori che mi affascinano. I film sono opere collettive e il talento del singolo non basta a far sì che un film sia buono. Non penso che sia possibile avere una bella performance in un brutto film, ma un attore può recitare male in un bel film, quello sì". Parlando delle sue numerose esperienze su set italiani, Dafoe confessa di avere solo ricordi positivi e definisce le nostre maestranze "le migliori in assoluto. Sarà merito dei geni".
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Il teatro si basa sul far rivivere, il cinema è catturare
Fondatore del Wooster Group, Willem Dafoe ha una solida esperienza teatrale. Calcando le scene, ha imparato tutto ciò che sa sul mestiere dell'attore e quando viene invitato a riflettere sulle differenze tra teatro e cinema spiega: "Quando vado in scena ogni sera do vita a un personaggio, lo faccio rivivere dalla morte. A teatro ripeti ogni giorno gli stessi gesti e le stesse parole, il cinema è più flessibile, tenti di catturare i momenti. Il teatro si basa sul far rivivere, il cinema è catturare". Attore istintivo e versatile, Dafoe ammette di non avere un metodo, ma di trasformarsi per ogni progetto: "Recitare è questione di fiducia, devi essere pronto a ricevere e dare. Negli anni il mio modo di recitare non è cambiato molto, so solo che quando sono in scena sento di esserci già stato. Quando sei più giovane hai ambizioni diverse, oggi tengo meno alla carriera, ma sto più attento a ciò che nutre il mio spirito".
Willem Dafoe ammette di amare le sfide e non di non volersi adagiare sui propri limiti. Gli stimoli attoriali li ha trovati lavorando con autori ostici, problematici, che terrorizzano i suoi colleghi. Nomi come Lars von Trier, Abel Ferrara, Paul Schrader, con cui Dafoe ha lavorato ripetutamente. Come spiega: "Gran parte delle mie scelte le baso sull'attrazione verso i registi. Io sono qui per servirli. Un ricordo di Michael Cimino? Mi ha licenziato perché durante una prova luci ho riso a una barzelletta, ma fino a quel punto mi ero divertito. Paul Schrader è molto formale nel suo approccio, ci ho lavorato spesso. Sul set de Lo spacciatore non mi parlava, io pensavo ce l'avesse con me e non fosse felice del mio lavoro. Alla fine mi ha spiegato 'Non ti dico niente perché stai lavorando bene'". Tra gli autori che figurano nel carnet dell'attore c'è anche Walter Hill che lo ha scelto per Strade di fuoco. "Hill voleva mettere nel film tutto ciò che amava dentro da adolescente, baci sotto la pioggia, moto, pistole. Ha fatto una lista e ha smarcato tutte le caselle. E' stato divertente".
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Recitare è come innamorarsi
Il coraggio artistico di Willem Dafoe non si ferma di fronte a niente. Nel 1988 l'attore ha risposto alla chiamata di Martin Scorsese che gli ha affidato il ruolo di Gesù ne L'ultima tentazione di Cristo. Dafoe ricorda: "Era un progetto imponente e io avevo un ruolo centrale. Interpretare un personaggio chiamato Gesù è una grande responsabilità, ma noi abbiamo raccontato il nostro Gesù nella nostra storia. Quando recito mi sento più un ballerino, un performer. Eseguo, non ho niente da dire di mio. Per questo mi piacciono gli attori che non si sentono tali e tengono a bada il loro ego". Tra i progetti impossibili interpretati da Willem Dafoe c'è anche il visionario Così lontano, così vicino! di Wim Wenders: "Wim sapeva cosa faceva, è stato bello stare a Berlino, ma non so se ha trovato ciò che cercava. Il muro era appena caduto e anche se questo film non è pulito come Il cielo sopra Berlino secondo me ha catturato lo spirito del momento, l'ottimismo per la riunificazione".
La voglia di spingersi oltre i limiti ha portato Willem Dafoe a esplorare un universo diverso da quello del cinema partecipando al videogame Beyond: Two Souls, ideato da David Cage: "Di videogame non ne so niente, ma lavorare a Beyond: Two Souls è stata una grande esperienza. David Cage è un pensatore indipendente, è un grande artista, rende tutto molto personale. Non ama definirsi regista, lavorare con lui è stato molto divertente, non mi sono mai sentito così libero, anche perché abbiamo realizzato un sacco di materiale che non sarà necessariamente visto". Ma cosa ne pensa l'attore dell'uso incontrollato della sua immagine digitale. Cosa accadrebbe se venisse fatto recitare "a sua insaputa"? "E' sempre un problema, ma bisogna essere disponibili a dare via ciò che si è generato, devi permettere a quello che hai creato di diventare qualcosa di diverso. L'importante è essere tutt'uno con il materiale, perdersi nella recitazione. E' come quando ti innamori, non pensi a te, ma faresti qualsiasi cosa per l'oggetto del tuo desiderio".