Quando si parla di alcuni autori contemporanei, l'uscita di ogni loro lavoro è un evento. Uno di questi è Steven Spielberg e quindi non possiamo che considerare l'arrivo in sala di West Side Story tra i titoli di punta di questa finale di anno e in vista della stagione dei premi in corso. Questo a dispetto dell'accoglienza non esaltante al botteghino americano, perché inevitabilmente figlia del periodo in cui ci troviamo, consapevoli che il nuovo adattamento del musical firmato dal popolare regista resterà al di là del risultato nell'immediato, come per ognuna delle sue opere. Ci hanno parlato del nuovo film proprio il regista Steven Spielberg insieme all'interprete di Valentina, nonché produttrice, Rita Moreno e lo sceneggiatore Tony Kushner, iniziando dalla recente scomparsa di Stephen Sondheim, che ne scrisse i testi quando aveva solo 24 anni.
In nome di Stephen Sondheim
"È la prima persona che ho incontrato quando ho deciso di realizzare l'adattamento" ha spiegato Steven Spielberg ricordando gli incontri precedenti con lui in occasione della premiere di Sweeney Todd o della visita alla Casa Bianca per la medaglia d'onore, confessando la timidezza nel non riuscire a dirgli di voler fare questo film. "Alla fine mi sono fatto coraggio ed è stato molto coinvolto con Tony, fornendo commenti allo script e idee, ma soprattutto durante le pre-registrazioni con gli attori, seduto accanto a me in studio, per tre settimane, cinque giorni a settimana. È stato un onore condividere quei momenti."
Quello di Sondheim che ha forse reso più facile il compito gravoso di Tony Kurhner che ha ricordato come sia andato a casa e abbia detto al marito che "Spielberg mi ha appena proposto una cosa totalmente folle", una volta ricevuta la proposta di lavorare all'adattamento. "È una cosa impossibile da fare" ha ricordato di aver pensato, perché "amo il film del '61, è un capolavoro. È ovviamente amo West Side Story in modo incredibile. Anche se avessimo fatto un buon lavoro, saremmo stati comunque oscurati da uno dei musical più amati di sempre. E in modo giustificabile." Ma ha anche raccontato come il marito Mark Harris gli abbia detto di farlo e gli abbia dato i primi suggerimenti: "devi liberarti del personaggio di Doc, rendere il personaggio la vedova di Doc, farla diventare portoricana e farla interpretare a Rita Moreno." L'attrice che dava vita ad Anita si è trovata quindi a "passare la fiaccola" a una nuova generazione e ha ammesso che "direi di non essere invidiosa, ma sarebbe una bugia. Vorrei essere stata di nuovo giovane per rifarlo, ma ho un ruolo bellissimo e ben scritto e mi amo in questo film."
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Colpa di Mark
Si è quindi scherzato in conferenza su come sia stato tutta colpa di Mark la nascita del personaggio di Valentina, che è interpretato da Rita Moreno, chiamata solo dopo aver avuto l'intera sceneggiatura pronta e dopo averla rassicurata che non si sarebbe trattato solo di un cameo e che il terribile spagnolo presente nello script, fatto con un traduttore automatico, sarebbe stato sostituito da frasi compiute. Una scelta ragionata quella di dar spazio ai dialoghi in spagnolo: "volevo che gli spettatori di lingua spagnola e quelli di lingua inglese condividessero la sala" ha spiegato Steven Spielberg, "che i parlanti inglese sentissero risate provenire da parti della sala", perché, ha aggiunto Tony Kushner, "siamo in un paese bilingue e questo è un film per un paese che lo è."
Le riprese, tra gioie e difficoltà
Si è parlato della gioia di realizzare film e questo in particolare. Steven Spielberg ha ricordato il divertimento di realizzare E.T., l'ultima volta che è successo girando un film, e la sensazione di "essere padre di tutti quei ragazzi. Non avevo mai provato cosa volesse dire essere padre ma E.T. mi ha fatto venir voglia di esserlo. E il mio primo figlio è nato tre anni dopo." Ma c'è stata gioia anche nel girare West Side Story, la voglia di alzarsi in piedi e cantare con il cast, non durante le riprese vere e proprie, ma durante la lunga e difficile fase di prove. "Mi capitava di saltare dalla sedia, cantare e ballare col cast, cantare in modo stonato e ballare come se avessi tre piedi sinistri. Abbiamo fatto quattro mesi e messo di prove intense, sia in città al Lincoln Center che a Brooklyn, ed è quando ho avuto la possibilità di farlo." Ma non sul set, durante le riprese. "Ero il regista, non battevo neanche il tempo col piede, ero concentrato sul monitor e sulle immagini che stavamo catturando. Ma è stato il miglior momento familiare che è capitato dai tempi di E.T."
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Questo nonostante le difficoltà inevitabili, tra cui il caldo intenso. "Potevamo chiudere le strade di Harlem solo un sabato e una domenica, quindi ci siamo presi di pausa il giovedì e venerdì e abbiamo previsto di girare nel weekend. Il termometro segnava 38 gradi" ha spiegato il regista ricordando le riprese di America e dell'impegno dei ballerini: "c'è voluto molto tempo e molti ciak, i ragazzi hanno lavorato duro e il sudore bagnava i costumi di scena. Abbiamo rimosso il sudore con la magia della tecnologia digitale." A fine giornata ha invitato tutti nella tenda per rinfrescarsi e guardare quello che avevano girato, ma ha anche cancellato le riprese del giorno successivo nonostante i costi. "Quando siamo tornati su America i gradi erano 31 ed è andata molto meglio."
Ricreare la New York del passato
Ma le strade di New York sono un elemento fondamentale, quasi un personaggio di West Side Story. "La New York di settant'anni fa ancora esiste in alcune zone. Puoi trovare la New York anni '50 ancora viva a Brooklyn, nel Queens, nel Bronx, sicuramente a Brooklyn. Abbiamo girato solo dove ci sono edifici che non sono cambiato. Siamo andati a Paterson, nel New Jersey, che è diventato il nostro quartiere ghetto" ha spiegato il regista. Il motivo è legato all'architettura, a come San Juan Hill ricordi in qualche modo l'area tra la 59ma e la 72ma strada, tra Columbus e il fiume, ma il merito è anche dello scenografo Adam Stockhausen, al suo terzo film con Spielberg dopo Il ponte delle spie e Ready Player One, che ha realizzato gran parte del lavoro sul set: "l'unica cosa che abbiamo fatto al computer" ha infatti spiegato Spielberg, "riguarda alcune estensioni dei set nelle riprese più ampie, e la cancellazione di elementi moderni come condizionatori e parabole, ma abbiamo letteralmente costruito cinque isolati."
Si è considerata anche l'idea di rendere il contesto più moderno, ma l'idea è stata accantonata. "Quella musica è senza tempo" ha spiegato Spielberg e gli ha fatto eco Kushner: "ogni volta che la senti, è come se stesse accadendo ora. Inoltre Sondheim è un grandissimo autore e i suoi testi sono altrettanto universali, il suo modo di vedere nel cuore delle persone non è mai superato, ma il linguaggio è quello che parlerebbero persone di quegli anni e sarebbe suonato strano in bocca a personaggi di un'epoca successiva" e si sarebbe perso quel realismo, quel senso di autenticità che Spielberg gli aveva chiesto fin da subito.