Videodrome e il cinema di David Cronenberg: sporco, vischioso e bellissimo

Torna in sala il 19 settembre, grazie alla Cineteca di Bologna, la versione restaurata del cult Videodrome. Un'occasione per approfondire il capolavoro di David Cronenberg del 1983 e la filmografia del grande regista canadese.

Maps to the Stars: il regista David Cronenberg posa durante il photocall a Cannes 2014
Maps to the Stars: il regista David Cronenberg posa durante il photocall a Cannes 2014

Distribuito da Cineteca Bologna con il progetto Il Cinema Ritrovato, torna in sala un vero e proprio cult, Videodrome, il capolavoro del 1983 che consacrò definitivamente il talento sanguinario e filosofico di David Cronenberg: realizzato da Arrow Films al laboratorio Silver Salt, il film esce restaurato il 19 settembre dopo l'anteprima alla 36^ edizione del festival Il Cinema Ritrovato. Videodrome è una summa filmica della filosofia del geniale autore canadese, che ha attraversato varie fasi preconizzando molte evoluzioni etiche sul rapporto tra uomo e corpo, soprattutto mediato dalla tecnologia sempre più invasiva. Ancora oggi, Videodrome ha una carica sovversiva incredibilmente potente: e si ricollega all'ultimo film in sala, Crimes of the Future, contribuendo a fondare un'ideale trilogia (insieme ad eXistenZ) dallo sguardo sempre attuale. Al centro, la celebre Nuova Carne cronenberghiana. Vediamo come.

UN CINEMA SPORCO (DI SANGUE)

James Woods 'stregato' dalle labbra di Debbie Harry in Videodrome
James Woods 'stregato' dalle labbra di Debbie Harry in Videodrome

Una putrida sporcizia. Una delle cose che colpiscono di più chi guarda un film di David Cronenberg è la sensazione che quegli spazi, quei luoghi siano stati usati, abitati, consumati ancor prima che Cronenberg girasse. Luoghi che sono l'esatto contrario di quelli che siamo abituati a vedere nei serial televisivi o in tanto cinema attuale, luoghi pulsanti, vischiosi, vivi come in un ventre molle. Non è una questione di realismo, perché il motivo sta altrove: Cronenberg non imita il reale e non riproduce il mondo così com'è. Piuttosto, disegna spazi e mondi che ancora non sono ma saranno... o anzi meglio potrebbero essere. E negli strazianti procedimenti filmici che lo portano a contaminare gli opposti (l'uomo e la macchina, il reale e il virtuale, il sano e il malato, il maschile e il femminile, il simulacro e la copia) attua la prima e più sconvolgente reazione cine-alchemica: corporeizza i luoghi, rende gli spazi dei set corpi organici. Quando i cineasti saranno classificati anche in base al tono materico nelle loro visioni, avremo i poeti del fiammeggiante (David Lynch), del polveroso (Clint Eastwood), del "porcellanoso" (James Ivory). E a Cronenberg spetterà un posto in prima fila per il cinema del sudaticcio, dell'appiccicoso, dell'umido e del carnoso, del vischioso. La grandezza del regista canadese sta nell'aver tradotto filmicamente il verbo tecnologico in carne.

L'orrore arriva dallo schermo: da Videodrome a Friend Request

MATERIA VIVA

Videodrome, una scena del film di Cronenberg
Videodrome, una scena del film di Cronenberg

Lo schermo di Videodrome è molle; le capsule di telestrasporto de La mosca sembrano due ovaie metalliche; le macchine da scrivere di Il pasto nudo sono animali parlanti; il mousepad di eXistenZ è un organo sessuale asessuato; la sedia masticatoria di Crimes of the Future è un organismo molle e non definito dalle vaghe sembianze di una blatta gigantesca, così come il tavolo da lavoro (ex mortuario) è un guscio (vuoto?). Cronenberg ci fa vedere qualsiasi cosa come fosse un essere vivente, pulsante, vivo. Ripugnante, anche. Non decora, non mostra, non contempla e non illustra: entra dentro l'immagine, la penetra e sognando di raggiungerne la bellezza interiore ne insegue la mutazione, ne insegue il dolore, la decadenza, la malattia, la morte. Così sono le sue storie: straziantemente segnate dal senso organico della vita che scorre e si infetta, si sforma, si decompone e decade. E nel fare questo non ha paura di sporcarsi le mani e gli occhi di sangue infetto.

Una scena de Il demone sotto la pelle
Una scena de Il demone sotto la pelle

Tutti i film di Cronenberg finiscono con una morte violenta: perché l'unico modo di amare, di ricongiungersi all'altro, è la sublimazione della propria passione concretizzata nell'annullamento, nella morte. Il sesso e il corpo sono il luogo del letale incontro fra il principio del piacere e il principio di realtà, e la messinscena del conflitto non può che avere esiti letali. La fantascienza del presente sonda l'influenza che la tecnologia (o la medicina, in ogni caso il progresso) ha nel risvegliare la radice non sessuale della sessualità, ponendo in questo modo nuove sfide adattive all'uomo; e gli effetti che hanno sulla psiche i sistemi normativi eccessivamente algidi e repressivi, quando la repressione razionale si ribalta e salta fuori come epidemia erotica. Attraverso la falsa credenza che l'evoluzione umana (attraverso la tecnologia o la scienza) superi la propria natura biologica, ne viene alla fine travolta. Per tutto questo, è un vero e proprio manifesto programmatico il teorema dietro Il demone sotto la pelle (1970) il primo film non autoprodotto dopo gli esperimenti di Stereo (1969) e Crimes of the Future (1970, niente a che vedere con il suo omonimo del 2022, se non una vaghissima ispirazione) che inaugura quella prima stagione cronenberghiana che andrà avanti fino al punto di non ritorno che è Videodrome, stagione identificabile con un periodo dai contorni sanguinolenti in cui l'autore elabora la sua concezione filosofica dell'esistenza travestendola da film dell'orrore.

David Cronenberg: quando il cinema è un'oscura meraviglia

CINEMA CHE INFETTA

Videodrome
Videodrome: una foto di Debbie Harry

Intriso di una macabra ironia, con Il demone sotto la pelle Cronenberg entra trionfalmente sul mercato in un'orgia di tutti contro tutti, un incubo psicosessuale che diventa un antesignano del body horror e che assume le sembianze di un B movie sudicio ed essenziale, dando al giovane regista l'opportunità di dare sfogo alla sua visionarietà anarchica e affascinata dalle mutazioni fisiche. Che dimostra in questo modo di saper perfettamente piegare il genere e la storia alle sue ossessioni e al suo universo concettuale che è già uno specchio scuro della contemporaneità. Materiale e immateriale, psiche e corpo: immancabili mutazioni di stati d'animo che si riversano in fenomeni di consistenza fisica. Il racconto cronenberghiano è sempre filosofico con fattezze orrorifiche, e proietta la messa in crisi delle prerogative umane e l'integrità mente-corpo, mentre all'orizzonte si staglia il declino dell'uomo in ambito pre-digitale.

Un ritratto del regista canadese David Cronenberg.
Un ritratto del regista canadese David Cronenberg.

Ma è Videodrome il suo primo e più compiuto manifesto: scioccante, pluristratificato, lucido, allucinato. Per come riflette sull'intossicazione iconica che deriva dal consumo delle immagini televisive e sulle modificazioni fisiche e antropologiche che la TV sta(va?) portando sul piano percettivo umano. Videodrome ha la forma inquietante di un'interrogazione problematica sulla natura riproduttiva dell'immagine e sul rapporto di ambivalente fascinazione e repulsione che l'occhio umano prova di fronte ai propri sogni e ai propri incubi incessantemente riprodotti sul piccolo schermo. Videodrome è una straziante e complessa radiografia di un mondo che sembra condannato a vivere nella forma dell'allucinazione e in cui gli individui sono programmabili (letteralmente, nel film!) come un videoregistratore. La fatale attrazione di Max per Nikki passa attraverso il suicidio e la trasformazione del corpo di lui per trasformarsi in un simulacro televisivo per potersi realizzare ed appagare. E in questo è seminale la fascinazione di Cronenberg per la temperatura emotiva del melodramma, che sarà centrale per il periodo immediatamente successivo.

Crimes Of The Future: Perché dentro c'è tutto il cinema di David Cronenberg

LA TRAGEDIA DEL SANGUE

Locandina de La Mosca
Locandina de La Mosca

Il cinema di Cronenberg evidenzia così la malinconia che viene dalla presa di coscienza della tragedia della morte e del virus, e in questo sta la sua grandezza. Tutti i luoghi dove si svolge questo amor fou si assomigliano, hanno tutti la stessa forma circolare, circense; il teatro, il tribunale, il carcere, i videogame. Ambienti dove si rappresenta lo stesso dramma. Considerato in passato un dozzinale manipolatore di trucchi sanguinolenti e truci, Cronenberg è oggi uno dei pochi registi contemporanei capaci di reinventare la tragedia in forma moderna. È La mosca (1986) che rende esplicita la centralità della componente melò che serpeggia e affiora qua e là, innestandola nella poetica della Nuova Carne: una tensione amorosa portata agli estremi, mentre coniuga il tema canonico e classico dell'inibizione all'amore con la solita ossessione della mutazione del corpo, esasperata e resa visivamente raccapricciante quanto inevitabile. Come si fa a continuare ad amare un io che diventa altro? Come amare quell'io anche nella sua alterità? Il film gira attorno a questi interrogativi, con le sue scene madri, con le scenografie costruite in modo da gravare sui personaggi fin quasi a soffocarli, con quelle luci cupe e sporche che offuscano la vista e tolgono il respiro. La mosca è un'amara meditazione sul destino che obbliga i corpi all'immobilità per non perdere la reciproca attrazione che li univa, ma non solo questo. Si riprendono e si sviluppano le riflessioni sulla nuova carne, perché anche qua il corpo è un organismo esposto alla contaminazione, all'infezione, alla penetrazione di un qualcosa che viene da fuori. Se quindi in Videodrome il corpo di Max si apriva come una fessura sessuale all'ingresso delle videocassette, ne La mosca il corpo sperimenta una totale fusione genetica che porta l'essere umano a diventare un insetto. Il riferimento alla Metamorfosi di Kafka è immediato ed esplicito, anche se qui non c'è una mente umana imprigionata in un corpo da insetto, ma un uomo che vive fino in fondo, fino alla morte, il brivido e l'orrore di un'identità ibrida.

La Mosca, il film di David Cronenberg tra mito ed incubo

Cosmopolis: il regista David Cronenberg insieme a Robert Pattinson sul set del film
Cosmopolis: il regista David Cronenberg insieme a Robert Pattinson sul set del film
La Mosca 1
La mosca: una scena del film

Sfondo dominante nel cinema cronenberghiano è appunto il visualizzare una nuova identità, la possibilità di creare un essere che non esiste in realtà se non all'infuori del film. Questo è il film che più impietosamente mette in luce il ruolo che Cronenberg si assume: produttore di immagini d'orrore e di incubi. Non è un caso se è proprio qui che il regista sceglie di ritagliarsi un cammeo: è infatti il ginecologo che estrae dalle cosce della terrorizzata puerpera Geena Davis una larva biancastra e sanguinante dalla forma fallico-escrementizia. Metaforicamente, Cronenberg diventa il ginecologo dell'orrido che nasce, si ibrida, muta nelle viscere del nostro essere più profondo. Scendendo ad un livello più tecnico, La mosca è una "geniale metafora della potenza e dell'impotenza del cinema", come ha fatto notare Charles Tesson: la sua teorica capacità di vedere tutto e la sua pratica incapacità di vedere veramente, la sua cecità nei momenti cruciali. Seth Brundle, lo scienziato protagonista, teletrasporta i corpi da una capsula all'altra, così come il cinema prende l'immagine e la porta altrove. Ma nel teletrasportare una bistecca, l'esperimento di Brundle fallisce: perché nel passaggio si perde comunque qualcosa. Così il cinema non riesce ad afferrare quel quid in più che si dissolve nel passaggio dalla realtà alla finzione: un film dunque che si concentra massimamente sul meccanismo generativo delle immagini e sull'orrore che la perdita (la "mutazione" sottrattiva) implicita nel procedimento non può non generare. Tanto per chiarificare questa sua posizione, Cronenberg fa mettere a Veronica una telecamera fissa davanti le capsule durante il teletrasporto. Ma noi vedremo sempre e solo il prima e il dopo, e mai il durante.

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eXistenZ: una scena del film

Nei film successivi, questa ossessione viene analizzata fino allo sfinimento, al suo letterale prosciugamento. Nel 1993, M. Butterfly consacra il melò e la mutazione interviene a fondere i due sessi per crearne uno solo. Nel 1988, Inseparabili prosciuga l'immaginario in vista delle mutazioni filmiche successive, mentre nel 1991 Il pasto nudo filma l'infilmabile, trasformando in immagini la prosa impossibile di William S. Burroughs, ragionando sul concetto di dipendenza, sulla costruzione mentale di una realtà fittizia, tutta oggettiva. Una spirale allucinata che mostra il collasso del realismo dell'umanità chiusa in soggettività monadiche (eXistenZ, 1992).

eXistenZ: perché il cult di David Cronenberg è da riscoprire

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Locandina di Crimes of the Future

Da qui in poi, lo studio di Cronenberg si sposta lentamente alle contorsioni psichiche e ai loro riflessi sulla realtà: partendo da Crash (1996), che riprende nuove forme di desiderio e la volontà di entrare nei pensieri dei personaggi in una continua soggettiva che non è visiva ma sensoriale; fino ai film che fanno parte di un periodo concentrato su una sorta di detection della mente, da Spider (2002) a A History of Violence (2005), da La promessa dell'assassino (2007) ad A Dangerous Method, che rilegge tutte le concettualizzazioni celebrate lungo la filmografia precedente attraverso la triangolazione amorosa tra Freud, Jung e Spielrein. Ma è forse proprio per la forza teoretica assoluta di queste opere che Cosmopolis e Maps to the Stars risultano con il fiato corto. E conseguentemente proprio per questo era necessario ripartire tornando indietro per andare avanti, riprendendo il discorso interrotto con eXistenZ per ributtarsi una volta ancora nelle fluorescenze e nelle escrescenze vischiose della Nuova Carne, paradigma di un futuro che oggi è diventato oscenamente presente, in Crimes of the Future. Il futuro, per Cronenberg, è davvero, purtroppo, oggi.