Recensione Persona non grata (2003)

Il viaggio tra Gerusalemme e Tel Aviv muta quindi nel tentativo, il più possibile oggettivo, di tastare il polso a un paese dilaniato da due opposte visioni.

Viaggio nella polveriera mediorientale

Con Persona non grata, presentato nel 2003 come evento speciale nella sezione Territori alla 60° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, Oliver Stone aveva in un certo senso preconizzato l'importanza che avrebbe ricoperto il documentario, assurto nell'arco di un paio di stagioni a modalità privilegiata di rappresentazione del mondo, di analisi del complesso ed eterogeneo quadro storico e sociale.

D'altronde, Oliver Stone, la cui vocazione di attivista politico ha segnato la sua intera filmografia, si era già cimentato in questo genere filmico con Comandante, ritratto di Fidel Castro che il cineasta ha realizzato selezionando materiale da più di sette ore di registrazione a Cuba.

Persona non grata, pur riferendosi in modo esplicito a Yasser Arafat, non è una biografia, ma un vero e proprio work in progress, girato dal regista e dalla sua troupe direttamente nei luoghi del conflitto israelo-palestinese quando, nel marzo del 2002, lo scontro viveva un ulteriore apice di violenza e destabilizzazione dall'inizio della Seconda Intifada.

Partito per Ramallah con l'obiettivo di intervistare il leader palestinese, Oliver Stone viene ricevuto da Arafat in un incontro esclusivamente formale e ufficiale, al quale non segue alcun tipo di intervista o incontro privato, a causa della progressiva degenerazione della situazione generale: Arafat è, infatti, isolato nel suo bunker, mentre i tank israeliani lo assediano e il processo di pace si fa sempre più una chimera di fronte alla minaccia degli attacchi kamikaze e di fronte all'eventualità - sempre più concreta, come dimostra la stretta attualità - di un muro armato e sorvegliato, che separerebbe la Cisgiordania da Israele.

Il viaggio tra Gerusalemme e Tel Aviv muta quindi nel tentativo, il più possibile oggettivo, di tastare il polso a un paese dilaniato da due opposte visioni: montato con inserti ricavati dai telegiornali e punteggiato da immagini contrastanti - i carri armati israeliani, i kamikaze palestinesi - Persona non grata è l'occasione per intervistare cittadini, personalità di spicco della scena medio orientale, come gli ex primi ministri israeliani Shimon Peres, Barak e Netanyahu, e protagonisti diretti come Hasan Yosef, portavoce di Hamas, e un gruppo di combattenti della brigata dei martiri di Al Aqsa.

Leggendo il documentario da un punto di vista attuale e aggiornato, ciò che emerge con maggior vigore è il segno tangibile di un fenomeno che dal 2001 ha mostrato una drammatica estensione: la telecamera si sofferma, infatti, sui volantini che tappezzano le strade, inneggiando ai giovani kamikaze, spesso anche donne e bambini, morti in attacchi suicidi contro obiettivi israeliani.
Di forte impatto anche l'incontro di Stone con i membri, ovviamente in incognito, di Al Aqsa che, in un ottimo inglese, spiegano come molti dei loro armamenti siano stati procacciati direttamente da un funzionario israeliano, un tempo vicino al governo Sharon.
Stone ricorre al linguaggio dei videoclip e ad un montaggio frenetico e accelerato per registrare questo specifico stato di cose, lasciando che sia un'ipotesi di verità a riaffiorare autonomamente dal differente coro di voci raccolto. Persona non grata non offre, quindi, prospettive d'innata originalità, ma si incarica piuttosto di testimoniare e riflettere una situazione cristallizzata, ancorata a due posizioni che erano e restano inconciliabili: mentre infatti i vertici israeliani condannano apertamente la figura di Arafat, considerato un leader inaffidabile e bugiardo, i palestinesi rifiutano in toto l'occupazione israeliana e sono pronti a combatterla con ogni mezzo a loro disposizione.

Si respira un'aria di precarietà per tutta la durata del documentario, esasperata dalla partenza improvvisa dai territori della troupe, sulla cui sorte l'esercito israeliano non era più in grado di garantire. A riprova della contraddizione e del caos che incombono, ineluttabili, sul Medioriente con una spirale di guerra e di incomprensione reciproca che non sembra poter raggiungere una soluzione definitiva e pacifica.