Giunto ormai a oltre metà programmazione, il Festival di Venezia al suo settimo giorno si fa largo per dare spazio a un'ospite "ingombrante", lo straripante film di Mario Martone, che dopo anni torna al Lido con un fluviale affresco sul risorgimento italiano di oltre duecento minuti, monopolizzando letteralmente il concorso. Il film è uno sterminato mosaico che incrocia in quattro diversi episodi il destino di tre ragazzi dell'Italia del Sud unitisi alla Giovine Italia mazziniana. Attingendo al romanzo di Anna Banti Martone attraversa oltre quarant'anni di storia pre-unitaria con uno sguardo cinico e disilluso che destruttura la retorica del Risorgimento e smitizza alcuni personaggi come Giuseppe Mazzini (Toni Servillo) e Francesco Crispi (Luca Zingaretti), presentando una lettura inedita, decisamente in chiave "sudista", dell'unificazione e rileggendo la Storia attraverso una prospettiva di lotta di classe. Una corposa opera corale, che si avvale della fotografia pittorica di Renato Berta e delle interpretazioni, tra gli altri di Luigi Lo Cascio, Francesca Inaudi, Anna Bonaiuto e Michele Riondino.
Altro vero e proprio evento del concorso è rappresentato da Promises Written in Water, il lungometraggio di Vincent Gallo, che in questa edizione della Mostra si fa uno e trino, essendo anche autore del corto The Agent (presentato della sezione Orizzonti) e l'inquietante protagonista di Essential Killing diretto da Jerzy Skolimowski. Avvolto da un fitto mistero prima della proiezione - come sempre accade con le opere dell'enigmatico autore che rifiuta anche di partecipare alle conferenze stampa - il film è stato accolto con disorientamento dalla platea dei giornalisti. Si tratta di una delle opere più sperimentali e difficilmente categorizzabili viste sinora, in cui il regista si rifà più alle soluzioni della video-arte o del cinema astratto piuttosto che a quelle della narrazione tradizionale. Al punto che si riesce perfino a comprendere ben poco della bizzarra trama, incentrata su una ragazza ossessionata dal desiderio di essere cremata e da un uomo che per assecondarla decide di lavorare in un'impresa di pompe funebri.
Conclude la terna dei titoli in competizione della giornata un'altra opera dal tono eccentrico espiazzante, Balada triste de trompeta di Álex De la Iglesia, autore che ormai da tempo ci ha abituato a uno stile sovraccarico e sopra le righe. Se Quentin Tarantino ha deciso di applicare il suo stile postmoderno alla Seconda Guerra Mondiale, il regista spagnolo decide invece di ambientare il film durante il periodo del regime franchista. De la Iglesia si ispira a una delle iconografie più sfruttate nella storia della Settima arte, ovvero quella del circo, per raccontare la storia di un "Pagliaccio triste" che, impazzito per amore di un'acrobata, finirà per compiere gesti estremi ed efferati. Di certo il regista spagnolo non possiede la profondità concettuale tarantiniana, ma Balada triste de trompeta risulta ugualmente godibile per i fan dello stile pulp, splatter e avant-pop e si segnala per l'istrionica interpretazione del protagonista Carlos Areces. Tra i titoli italiani in programma nelle sezioni collaterali della mostra è almeno da segnalare Into Paradiso, esordio al lungometraggio della videomaker Paola Randi presentato nella rassegna "Controcampo italiano". L'opera declina il tema della multiculturalità nella città di Napoli, raccontando l'insolito rapporto che si instaura tra un ricercatore precario partenopeo e un ex campione di cricket proveniente dallo Sri Lanka. Tra gli interpreti anche Gianfelice Imparato e il cantante-attore Peppe Servillo, già visto alla Mostra in Passione di Turturro.
Ma oggi è anche il giorno di Sergio Corbucci, cui il Festival dedica a vent'anni dalla scomparsa un focus di due titoli (questa notte tocca al classico I crudeli) e un panel pomeridiano moderato da Peter Cowie. I "tarantinofili" alla Mostra sono avvertiti: chissà che il buon Quentin non faccia capolino per omaggiare quello che considera uno dei suoi maestri ispiratori...