Venezia 64 e 3/11

I primi tre giorni della 75° di Venezia sono già trascorsi, tra sorprese e delusioni, star e maestri.

E così, è cominciata finalmente la sessantaquattresima edizione della Mostra del cinema di Venezia (ma qui si festeggia il 75° anniversario e qualcuno, sull'ormai storico muro messo in piedi da Gianni Ippoliti, ha insinuato il sospetto che alcuni anni valgano in realtà doppio) che per l'occasione ha finalmente fatto sparire i metal detector e i suoi estenuanti controlli, anche se capita sistematicamente che al malcapitato di turno qualche addetto della security imponga, a sua discrezione, la solita pantomima della borsa aperta e della rapida occhiata per verificarne il contenuto. Nulla da fare, neanche quest'anno troveranno l'aspirante terrorista che vuole rovinare i piani al presidente Croff e compagnia, anche perché se qualcuno voleva attentare ai luoghi sacri del cinema celebrato in Italia c'è già stato e lo ha fatto in grande stile. Si tratta di Dante Ferretti, scenografo premio Oscar nel 2005 per le meraviglie di The Aviator, che rileggendo il maestro Fellini, ha fatto piombare sulla Sala Grande un enorme palla d'acciaio a distruggere la facciata del palazzo che da sulla passerella, facendo così scappare gli sventurati leoni delle precedenti edizioni, confinati in pensione un po' sulla spiaggia del Lido, un po' sparsi negli angoli più remoti dell'area Mostra. Meglio così, visto che qualcuno temeva che la loro fuga terminasse all'Auditorium di Roma. Invece la Festa della capitale dovrà ancora faticare per dare una reputazione al proprio premio (A proposito qual è? Ha un nome, un simbolo? E l'anno scorso c'è stato realmente un concorso o la memoria ci inganna?) mentre Venezia aspetta soltanto il nuovo ruggito del suo leone.

La città lagunare resta ancora la vera mecca del grande cinema in mostra nel nostro paese. In soli due giorni e mezzo di Mostra sono stati già presentati sei dei 20 film in concorso e si sono alternate ombre e luci, proprio come la pioggia battente si sta alternando al sole (in verità piuttosto tiepido quando decide di comparire sulle nostre teste) in questi primi giorni festivalieri.
Si è partiti con il tanto strombazzato Espiazione di Joe Wright, interpretato da Keira Knightley, presente però in meno della metà del film. Ci piacerebbe scrivere che il film ha diviso la critica, in realtà tutta concorde nel definirlo noioso, una sorte già toccata a The Black Dahlia di De Palma lo scorso anno. Ci sono volute le due ore e mezza di Ang Lee in tarda serata per tenere alta l'attenzione dei critici, non fosse altro che per le scene bollenti già censurate da una parte all'altra del mondo che hanno tenuto banco sui soliti giornaletti di casa nostra, pronti a gridare allo scandalo ad ogni incontro erotico che compare sugli schermi delle sale della Mostra. Il film di Lee ha convinto per la sua perfezione formale e per la capacità di non scadere mai nel prevedibile, ed è già un grande merito.
Ma la vera sorpresa finora è stata sicuramente Sleuth di Kenneth Branagh, eccellente remake de Gli insospettabili di Mankiewicz del 1972, che per una volta ha messo d'accordo proprio tutti. Esaltato da un'interpretazione magistrale dei suoi due protagonisti, l'opera da camera di Branagh è animata unicamente dalle schermaglie del duo Michael Caine vs Jude Law nel quale i due si scambiano continuamente i ruoli di vittima e carnefice, in una scoppiettante battaglia di nervi a colpi di battute fulminanti che hanno fatto breccia nei cuori dei cinefili veneziani.

E' arrivato quindi il primo bluff della Mostra, Michael Clayton di Tony Gilroy, anche se a nessuno pare interessare il nome del regista, impegnati tutti come sono a presentarlo come il nuovo film di George Clooney. Perché il passaggio in concorso del film può essere giustificato solo se visto nell'ottica di un buon pretesto per riportare a Venezia il divo americano e quindi tanto pubblico ai margini della passerella, un numero record, finora, di ragazzine e signore attempate che finalmente non hanno più dovuto chiedere ai propri vicini "Scusi chi è questo?", come succede solitamente all'arrivo dei protagonisti di film orientali o degli altri soliti ignoti. Il film ha riempito anche la sala riservata alla stampa, ma in tanti si sono ritrovati a schiacciare un meritato pisolino di fronte all'inconsistenza di questo thriller legale che racconta l'origine di una bomba pronta a far saltare in aria l'eroe Clooney, il quale, durante la conferenza stampa, si è rifiutato di rispondere ad una domanda ritenuta troppo impertinente su come si riesca a combinare l'impegno civile con i milioni intascati per la sua prestazione come testimonial di una marca legata all'infernale Nestlé, liquidata con un secco ed imbarazzante "Bisogna pur guadagnarsi da vivere".
Stamattina invece è stata la volta del primo film di guerra proiettato quest'anno a Venezia, ed inevitabile è scattata la lacrima e l'applauso di chi riesce sempre a farsi comprare dalla messa in scena del più tragico degli eventi con tutti gli orrori che questo comporta. Redacted di Brian De Palma s'è portato a casa un bell'applauso, sentito e commosso, da parte della stampa, ma a noi sembrano più potenti ed illuminanti i vari video provenienti dalle zone calde del conflitto iracheno che girano in rete, e puntualmente presi in prestito dal regista americano, che la povertà di idee del suo finto documentario. Ci si interroga sull'effettiva utilità di un simile lavoro quando foto e filmati reali di decapitazioni e abusi vari da parte dei soldati americani di certo non mancano. Infine, ecco proiettato anche il primo film dei tre italiani in concorso: è Nessuna qualità agli eroi, già ribattezzato da molti "Nessuna qualità al regista", un giudizio superficiale ed inopportuno per un film complesso che avrebbe meritato maggior rispetto. Magari il film sulla mafia di Andrea Porporati, in programma mercoledì 4 settembre, avrà maggior fortuna.

Tra i film presentati fuori concorso, molto atteso era Glory to the Filmaker! di Takeshi Kitano, ma il nuovo film del maestro giapponese (che ha inaugurato la nuova sezione Venezia Maestri) ha parzialmente deluso le aspettative risultando nient'altro che una collezione di gag più o meno riuscite, ma soprattutto una nuova (dopo il Takeshis' di due anni fa a cui è stata addirittura negata una sua uscita nelle nostre sale) follia autocelebrativa di un Kitano, destinata più alla pur nutrita cerchia di soli affezionati, capaci di cogliere le numerose auto-citazioni e godere così ampiamente della pellicola, che ad un pubblico più vasto. E finalmente lo spagnolo Jaume Balaguerò, al terzo anno consecutivo al Lido con un film nella sezione Notte, ha sorpreso con un horror realizzato a quattro mani con Paco Plaza, apprezzato per la sua capacità di far tremare gli spettatori, evento sempre agognato ma raramente raggiunto da film di questo genere. Tra gli altri film visti nelle sezioni parallele in questi primi giorni di mostra il più convincente è stato sicuramente l'agghiacciante Cargo 200 che racconta da un punto di vista decisamente originale e con una serie di assurdi personaggi, tutti in viaggio all'inferno, la fine di un'epoca infame dell'Unione Sovietica poco prima della Perestroika. Domani si attende il via della Settimana della critica, sezione parallela della Mostra che ha spesso offerto opere pregevoli, e ci si aspetta anche quest'anno un'offerta di alta qualità.

Ma per molti, in particolare per gli scalmanati cacciatori d'autografi, la Mostra di Venezia altro non è che un'occasione unica per vedere dal vivo i grandi divi del cinema contemporaneo. La prima star a calcare il tappeto rosso della Sala Grande è stata Keira Knightley e alla fine si è riusciti a vederla: si temeva il vuoto vista la sua impressionante magrezza, ma alla fine il suo vestito rosa con fiocco l'ha resa un adorabile confetto che il pubblico ha sembrato apprezzare. Qualcuno poi ha addirittura creduto di veder passare un'altra stella, ma era soltanto Ambra Angiolini che in un batter di ciglia è diventata la nuova speranza del nostro cinema.
E altri divi si sono avvicendati sulla passerella veneziana, ma i momenti più divertenti si riconfermano quelli relativi al passaggio di registi e attori sconosciuti incitati da pochi fan e seccamente ignorati dalla maggioranza degli avventori del lungomare del Lido. Volendo unire cinema e musica poi qualcuno ha pensato bene di invitare i Negramaro che sono passati ieri come un fulmine (o meglio prima che i fulmini cominciassero ad illuminare in maniera inquietante il cielo sulla laguna) e per fortuna se ne sono subito andati. Il preannunciato concerto della band salentina di fronte al Palazzo del Casinò si è rivelato alla fine una breve apparizione piano e voce da parte del solo leader Giuliano Sangiorgi che ha dato un saggio flash delle sue doti vocali. Risultato: alla fine il piazzale si è svuotato in un lampo e il documentario sulla band diretto da Davide Marengo e proiettato gratuitamente sul maxivideo è stato visto da una mezza dozzina di persone sedute per terra e da Caterina Caselli fatta accomodare su una sedia rossa da regista. Ma adesso è già ora di vedere il settimo film in concorso, il temibile In the valley of Elah di quel Paul Haggis che due anni fa aveva scippato l'Oscar per il miglior film ai cowboy di Ang Lee con il suo dimenticabile Crash - Contatto fisico.

Oh Venezia, speriamo di vederti tornare a brillare presto, tu e i tuoi film, soffiando via quelle nuvole minacciose che oscurano il tuo cielo e rendono questa Mostra un po' più malinconica e un briciolo più noiosa del solito, avara di film particolarmente entusiasmanti. Dopo l'esaltante Sleuth si aspetta il secondo acuto che dia la svolta a questo concorso che tarda a mettersi in moto. Intanto è forte l'attesa per Woody Allen e il suo sogno di Cassandra, sperando che non sia proprio quello a condurci tra le braccia di Morfeo.