Recensione Signora (2004)

Terminata la visione di questo "Signora", la prima cosa che ci si chiede è cosa possa aver spinto un regista comunque esperto come Francesco Laudadio a girare una pellicola così sciatta, ridicola, imbarazzante ai limiti del trash involontario.

Vacanze a Ventotene

Terminata la visione di questo Signora, la prima cosa che ci si chiede è cosa possa aver spinto un regista comunque esperto come Francesco Laudadio a girare una pellicola così sciatta, ridicola, imbarazzante ai limiti del trash involontario. Alla presentazione del film a Roma, il regista ha dichiarato di aver voluto appositamente calcare la mano sul grottesco, di aver fin dall'inizio concepito il film come una commedia che dovesse provocare, contemporaneamente, risate e spunti di riflessione (scomodando, tra l'altro, illustri "parentele" - virgolette d'obbligo - quali Ernst Lubitsh e Mario Monicelli). Il film, comunque, fallisce clamorosamente anche sotto questo punto di vista (o, forse, soprattutto sotto questo punto di vista), e a questo punto le ipotesi che ci viene da fare sono due: o Laudadio mente sapendo di mentire, perché si è reso conto del pessimo risultato da lui raggiunto con questo film, oppure il suo scopo era veramente quello di far divertire e riflettere allo stesso tempo, ed è sinceramente convinto di averlo raggiunto. Non sappiamo, onestamente, quale delle due ipotesi sia la peggiore; ma adesso facciamo per un attimo un passo indietro e proviamo ad analizzare il film.

Un'avvertenza per il lettore prima di continuare: stiamo per rivelare particolari fondamentali della trama del film, ivi compreso il finale. In questo caso, la rivelazione di quest'ultimo, in particolare, è assolutamente fondamentale ai fini del discorso che si vuole impostare: chi fosse infastidito dagli "spoiler", quindi, e fosse nel contempo intenzionato a imbarcarsi comunque nella visione di questo film, si fermi pure qui ed eviti di leggere il resto.

La storia è ambientata tra Roma e Sabaudia nel 1933, e narra di Sarah, giovane americana sposata a un ricco imprenditore edile, che si innamora perdutamente di Guido, ingegnere delle acque segretamente impegnato nella lotta antifascista. La donna, abbandonata improvvisamente e inspiegabilmente dall'ingegnere, vede quest'ultimo in compagnia di un'altra donna, si ingelosisce e lo fa seguire da un investigatore privato: questi, scoperta l'attività segreta dell'uomo, lo denuncia alla polizia, che lo arresta. Guido verrà così condannato al confino per colpa di Sarah, che da allora farà di tutto per subire la stessa sorte: alla fine vi riuscirà, sfruttando le sue amicizie potenti, e potrà così ricongiungersi all'amato sull'isola di Ventotene.

La prima cosa che colpisce, dopo pochi minuti di visione, è la pessima qualità della sceneggiatura. I dialoghi sono a dir poco ridicoli, le situazioni totalmente inverosimili: tanto per fare un esempio, la protagonista cade nelle braccia dell'ingegnere appena conosciuto con una facilità sconcertante, da film soft-core (come ha fatto argutamente notare qualcuno alla conferenza stampa, nei primi minuti sembra di vedere un Tinto Brass appena più edulcorato). Le risate strappate dai dialoghi (alcuni dei quali possono gareggiare con quelli degli ultimi film di Dario Argento in un'ideale classifica del trash nostrano) non sono il risultato di un consapevole stimolo dettato dal film, ma semplicemente la risposta disperata e un po' isterica dello spettatore alla completa inconsistenza, inverosimiglianza e macchiettistica demenzialità dei personaggi proposti. Un triste baratro che accomuna tutti, ampliato a dismisura da interpretazioni da codice penale: dalla protagonista Sonia Aquino, che sembra tristemente e perfettamente a suo agio in uno dei personaggi più insopportabili proposti di recente dal cinema italiano, alla sua amica Angela Finocchiaro (che propone un insostenibile eloquio da donna aristocratica) fino ad arrivare al marito della protagonista, un Urbano Barberini fortunatamente poco presente, che comunque ha anch'egli il suo "momento di gloria" quando pensa bene di offirire un brodino alla moglie depressa per l'abbandono del suo amante. L'unico personaggio a non avere questa coloritura da film stracult è proprio quello dell'amante della donna, interpretato da Paolo Seganti: non sappiamo sinceramente se questo sia un bene o un male, visto che almeno gli altri riescono in qualche modo a far ridere (il tipo di risate spiegate sopra, sia chiaro), mentre il personaggio interpretato da Seganti (non per colpa dell'attore, stavolta) è solo piatto, monodimensionale.

Della qualità della scrittura si è detto, quindi. Sulla piattezza della regia, invece, c'è veramente poco da dire: checché ne pensi il regista, sembra di vedere una fiction televisiva di basso livello (interessante, a questo proposito, la risposta di Laudadio a una giornalista che, durante l'incontro stampa, aveva fatto una considerazione analoga: il regista ha affermato che in questo film non è possibile alzarsi e andare a fare pipì senza perdere il filo della trama, come invece si dovrebbe poter fare in qualsiasi fiction si rispetti. La sua affermazione, caro Laudadio, è semplicemente offensiva nei confronti di chi fa fiction, termine che non sempre equivale ad immondizia: cerchiamo di non dimenticarcelo).

In aggiunta a tutti questi elementi (che già basterebbero per rendere il film uno dei più brutti prodotti italiani degli ultimi anni), c'è il carattere profondamente antistorico del soggetto, addirittura offensivo nei confronti di chi ha dovuto subire una pena come quella del confino. La bellezza "da cartolina" dell'ultima sequenza, la rappresentazione del viaggio verso l'agognata isola come se fosse una crociera, l'idillio del ricongiungimento: tutto si rivela, disgraziatamente, in perfetta sintonia con le dichiarazioni del presidente del consiglio Berlusconi, secondo il quale il fascismo non faceva altro che mandare gli oppositori "in vacanza". Volendo pure sospendere il giudizio sulle reali intenzioni del regista, sulla sua buona fede o meno, quello che il film sembra "dire" si traduce proprio nel concetto appena espresso: una misura repressiva si trasforma di fatto in una vacanza, con tanto di sole, mare e amore ritrovato (e la casetta da ristrutturare, rassicurante nuovo "nido"). Quella di Laudadio, quindi, è stata nella migliore delle ipotesi colpevole superficialità nel trattare un tema tanto importante e tuttora delicato.

Una pellicola che rappresenta un fallimento totale, quindi, il più brutto film italiano della stagione e probabilmente uno dei più brutti in assoluto degli ultimi anni. E anche la prova, "rassicurante" sotto un certo punto di vista, che il nostro cinema non è affatto in buona salute, o almeno non lo è come lo vorremmo: per qualche pellicola positiva (le ultime prove di Gabriele Salvatores, Marco Bellocchio, Sergio Castellitto) arrivano puntualmente film come questi ad abbassare sia il nostro umore che il livello medio della nostra produzione. Speriamo che, almeno in questo caso, il pubblico non premi.

Movieplayer.it

1.0/5