Uno dei modi più intelligenti di parlare della politica e dell'attualità è guardare indietro nel tempo per trovare dei riferimenti all'oggi. Il cinema e la letteratura sono pieni di questi espedienti. L'ultimo caso a cui ci è capitato di assistere è Una giusta causa, il film di Mimi Leder in uscita il 28 febbraio. In questa recensione di Una giusta causa vogliamo ricordare, prima di tutto, il titolo originale del film, che ci dice molto di più sull'argomento: On The Basis Of Sex, e vuol dire, letteralmente "in base al sesso", una formula che si usa ogni volta che si parla di discriminazioni di genere, discriminazioni che avvengono, appunto, in base al sesso.
Ricoperta da una patina d'antan, quella di un film classico che più classico non si può, c'è allora un film attualissimo, interessante da vedere e pienamente inserito nel dibattito sulla rivendicazione dei diritti delle donne. A chi storce il naso sul fatto che debba parlare di parità di genere un film come Captain Marvel, un cinecomic, può godersi questo film. Secondo noi sono due film giusti entrambi - destinati a target diversissimi - perché, di queste cose, più se ne parla meglio è.
La trama: da Harvard alla Corte suprema
La trama di Una giusta causa inizia nei tardi anni Cinquanta, quando Ruth Ginsburg, detta Kiki, inizia con entusiasmo a studiare legge ad Harvard, come il marito che frequenta il secondo anno. Alla presentazione dei corsi vede pochissime donne, e un preside di facoltà che continua a parlare di "Harvard Men", uomini di Harvard. E alla cui cena Kiki dovrà spiegare il perché della sua scelta di diventare avvocato, come se il voler fare l'avvocato non fosse già un motivo. Una volta finiti gli studi, dopo la malattia del marito e trasferimento a New York per seguirlo nel nuovo lavoro, Kiki sperimenta, anche in una città grandissima, la difficoltà a trovare lavoro. Tutti considerano il mestiere di avvocato una cosa da uomini.
Quindi accetta di insegnare diritto, specializzandosi in discriminazioni di genere. L'idea di perorare una causa davanti a una corte, e soprattutto quel tipo di cause che le sta a cuore, non l'abbandona mai. E l'occasione (siamo più di dieci anni dopo, negli anni Settanta) arriva con una causa di diritto tributario: una legge secondo la quale un uomo (celibe e con una mamma anziana) non verrebbe riconosciuto come caregiver, cioè assistente. La legge è fatta solo per le donne. Da qui nasce l'idea di discutere la legge davanti alla Corte Suprema, per creare un precedente, perché si attui un'effettiva parità. Quella di Ruth Ginsburg è una storia vera, quella di una donna che, dagli studi in legge, è arrivata ad essere nominata giudice della Corte Suprema.
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Uno di quei film che fa brillare gli attori
Una giusta causa è uno di quei film che potrebbero benissimo essere una piece teatrale: girati in gran parte in interni, basati sul dialogo, su un dialogo fittissimo, in cui il testo ha una forza tale che la regia deve mettersi solamente al suo servizio. La muscolare Mimi Leder, regista nota per blockbuster come Deep Impact, qui si reinventa in funzione della storia. È uno di quei film che regalano prove attoriali notevoli. E qui a brillare è Felicity Jones, probabilmente alla sua prova più matura. Sembrava un volto da bambola, complice anche il ruolo, la prima volta che l'avevamo vista, in Hysteria. Poi abbiamo capito che poteva essere un'action figure (ha davvero detto che la cosa l'ha divertita molto), una volta entrata nel mondo di Star Wars in Rogue One: A Star Wars Story, e che poteva essere un'eroina d'azione tosta e sensibile allo stesso tempo.
Ora la ritroviamo in Una giusta causa, combattiva e tenace, una guerriera senza armi, con le armi più potenti che abbiamo, il cervello e il cuore. Accanto a lei Armie Hammer mostra che ha un lato sensibile (che avevamo già visto in Mine e Chiamami col tuo nome) e Justin Theroux, in baffi e capello pettinato con la riga, è una vera rivelazione (è il responsabile dell'associazione per i diritti civili che sostiene la causa). È un piacere anche rivedere Chris Mulkey, che abbiamo conosciuto tutti come Hank Jennings, il marito di Norma, ne I segreti di Twin Peaks (è il caregiver dal cui caso scaturisce la causa).
Non solo Captain Marvel
Torniamo al punto da dove siamo partiti, da Captain Marvel. In uno dei momenti del film, nell'America degli anni Novanta, Carol Danvers ci spiega che, nonostante abbia fatto un corso e abbia imparato a volare, non può pilotare un aereo in missione. Se ne parla anche qui, perché dal caso della discriminazione in quella legge tributaria si passa ovviamente a un discorso più ampio, perché tutte le parti in causa, i giudicanti compresi, capiscono bene la posta in palio. E si parla di donne che non possono andare in guerra, fare i pompieri, e che in ogni caso non potrebbero farlo appieno perché gravate dalla famiglia. Dicono che è per preservarle, per difenderle. E invece l'effetto è di rinchiuderle. Una giusta causa è un film da vedere, e da inserire nel dibattito sulla condizione femminile che si sta tenendo da un paio d'anni.
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Conclusioni
Dalla recensione di Una giusta causa avrete capito di essere di fronte a un film classico fuori e attualissimo dentro, pienamente inserito nel dibattito sulla rivendicazione dei diritti delle donne. I dialoghi sono intensi e Felicity Jones offre la sua miglior interpretazione in carriera.
Perché ci piace
- È un film attualissimo, pienamente inserito nel dibattito sulla rivendicazione dei diritti delle donne.
- È uno di quei film che regalano prove attoriali notevoli: a brillare è Felicity Jones, alla sua prova più matura.
- Potrebbero essere una pièce teatrale: il testo ha una forza tale che la regia deve mettersi solamente al suo servizio.
Cosa non va
- Il rovescio della medaglia è che la regia è piuttosto statica.
- Alcuni passaggi dei dialoghi, legati al diritto tributario, non sono facili da seguire.