Recensione Pinocchio (2002)

C'era una volta... -Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori. -No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.

Una favola tutta italiana

C'era una volta...
-Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori.
-No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.

Così inizia Pinocchio, la favola più famosa del mondo, che ha incantato milioni tra grandi e piccini, e che, naturalmente, non ha mancato di ispirare il mondo della celluloide, con l'omonimo film targato Walt Disney, risalente al 1940. Sono passati esattamente 62 anni, nel corso dei quali il burattino ha preso forma in diversi sceneggiati televisivi, fino all'avvento di un kolossal, scritto, diretto e interpretato dal genio comico Roberto Benigni, che si è avvalso della collaborazione americana della Miramax.

A quattro anni di distanza da La vita è bella, Benigni ritorna con un buon film, strabiliante negli effetti speciali (di Rob Hodgson, La tigre e il dragone), ma soprattutto nelle magnifiche scenografie del compianto Danilo Donati, cui il film è dedicato. Sul piano visivo, decisamente ci siamo: è stata creata una bellissima città, i paesaggi sono suggestivi e incantevoli, insomma, Pinocchio è una vera e propria manna per gli occhi. D'altronde, gli ingenti finanziamenti non potevano che garantirlo. Nulla da eccepire per quanto riguarda la fotografia dell'esperto Dante Spinotti, mentre Nicola Piovani è l'autore di un gradevole accompagnamento musicale, ben lontano però dal magico tema del cartone animato.

Attori tutto sommato convincenti: su tutti, oltre al sempre bravo Benigni, Kim Rossi Stuart, che interpreta un Lucignolo che non viene raffigurato come antipatico e fannullone (lo ricordate nella versione Disney?), ma come un ragazzo dalla grande voglia di vivere e divertirsi. Tra gli altri, buona l'interpretazione di Carlo 'Geppetto' Giuffrè, dei Fichi d'India, nei panni del Gatto e della Volpe, di Franco Javarone, un mangiafuoco perfetto, terribile e buono allo stesso tempo. Avrebbe meritato più spazio il direttore del circo Alessandro Bergonzoni, mentre Nicoletta Braschi non è la fata turchina che tutti immaginavamo. Il Pinocchio di Benigni risulta fedele (troppo?) all'opera di Collodi, tranne che per alcuni punti, come l'inizio del film, nel quale viene abolita la figura di Mastro Ciliegia, per lasciare spazio alla vitalità di un tronco che, dopo aver creato scompiglio in città, giunge alla porta del futuro padre.

La vita è bella: è ancora questo lo slogan e il tema centrale di un film a tratti divertente (si tratta di una comicità infantile però), allegro, gioioso, ma che non ha né la magia né l'intensità emotiva del Pinocchio della Disney. Eppure i momenti non propriamente comici non mancano. Fallito dunque il tentativo da parte di Benigni di miscelare sapientemente drammaticità e comicità, come invece era riuscito a fare nel suo precedente capolavoro. Ma la scena finale, con quella piccola e allusiva sorpresa che non ci aspettavamo, è davvero geniale.