Recensione Flightplan - Mistero in volo (2005)

Un peccato constatare che l'ansia di normalizzazione e le necessità di political correctness siano riuscite ad appiattire alcuni spunti potenzialmente interessanti, come le ansie relative al terrorismo ed il generale senso di paranoia che riguarda l'altro nel mondo di oggi.

Un thriller che vola basso

Non è per noi un caso che, a poche settimane l'uno dall'altro, siano giunti sugli schermi americani prima e italiani poi due film che - pur con molte differenze - abbiano in comune dei tratti fondamentali. Il primo è il Red Eye di Craven, di cui si è già parlato abbondantemente su queste pagine, il secondo è questo Flightplan - Mistero in volo, reduce da un ottimo riscontro al box office americano. Entrambi i film sono ambientati a bordo di aeroplani di linea per la maggior parte della loro durata, entrambi si concentrano sui sentimenti di ansia, fobia e paranoia e sul fatto che la protagonista e vittima delle rispettive macchinazioni è in tutti e due i casi una donna.
Messo momentaneamente da parte quest'ultimo elemento, non ci vuole eccessivo acume nel notare che gli altri due sono direttamente figli del clima venutosi e creare negli Usa e nel mondo dopo l'undici settembre.
Se in Red Eye questi temi venivano trattati con una certa sottigliezza ed ibridati con altri elementi cari al cinema di Wes Craven, in Flightplan il tutto è fin troppo smaccato e persino banalizzato.

Nel film diretto da Robert Schwentke la donna interpretata da Jodie Foster - in volo da Berlino a New York su un nuovissimo, enorme velivolo di cui conosce tutti i segreti di progettazione - deve svelare il mistero relativo alla scomparsa della figlia di sei anni, che si era imbarcata con lei e che nessuno sembra aver mai visto. La bambina non risulta nemmeno sulla lista dei passeggeri, e mentre tutti si convincono che la donna sia preda di un esaurimento nervoso, causato dalla recente perdita del marito, lei scivola progressivamente nella paranoia. E quindi - nell'ottica di quanto si è accennato precedentemente - non trova di meglio da fare che sfogare gran parte delle sue frustrazioni e delle sue paranoie su due passeggeri arabi, fatto questo che scatena le invettive dell'immancabile passeggero redneck e xenofobo. Inutile poi dire che i due arabi sono del tutto estranei al complotto alla base del film, e che la minaccia abbia invece origine da personaggi e istituzioni insospettabili o peggio.
Se quindi da un lato la trama thriller non risulta particolarmente coinvolgente né sorprendente, dall'altro è un peccato constatare che l'ansia di normalizzazione e le necessità di political correctness siano riusciti ad appiattire alcuni spunti potenzialmente interessanti, come le ansie relative al terrorismo ed il generale senso di paranoia che riguarda l'altro (non necessariamente lo straniero) nel mondo di oggi.

Concludendo, torniamo all'elemento comune tra Red Eye e Flightplan che avevamo messo da parte in apertura di queste note, ovvero la presenza di una protagonista femminile. Se Craven voleva fortemente una protagonista donna per un ragionamento più ampio del rapporto tra sessi, Flightplan era stato inizialmente scritto con protagonista un uomo, e la cosa si nota. Fatte salve le scontate retoriche sull'attaccamento di una madre alla propria figlia, il tono e il significato del film non sarebbero cambiati di una virgola con un padre al posto di una madre, ad ulteriore conferma di come il genere espresso dal film sia di quella tipologia che poco ha da dire oltre all'evidenza che offre allo spettatore. E duole dire che anche limitandosi a quella il giudizio sul film non è propriamente lusinghiero.