Recensione Il passato è una terra straniera (2008)

Cosa succede se la vita di uno studente qualsiasi, che punta a fare il magistrato, affonda tra alcol, droga, stupri e violenza? E' quello che prova a raccontare Il passato è una terra straniera, pellicola di Daniele Vicari.

Un passato da dimenticare

Qualunque cosa se ne possa pensare, Daniele Vicari è oggettivamente uno dei registi italiani contemporanei più interessanti per intensità di sguardo, originalità di pensiero e organizzazione della narrazione.
I suoi ultimi film hanno mietuto consensi, e i dissensi che hanno suscitato sono stati i dissensi tipici di opere che hanno un contenuto dal quale partire per poter confrontarsi.
Velocità Massima è stato in concorso a Venezia, L'orizzonte degli eventipresentato a Cannes. Poi ancora a Venezia con il documentario Il mio paese ed adesso, per la prima volta con questo Il passato è una terra straniera, al Festival internazionale del film di Roma, ancora una volta nella sezione competitiva.
La storia è allo stesso tempo profondamente connotata geograficamente, ma anche universalmente trasponibile in qualsiasi contesto. E' quella di Giorgio, uno studente figlio della borghesia intellettuale del sud Italia, di Bari nella fattispecie, che incontra Francesco, la persona sbagliata nel momento giusto.
Il nuovo amico affascina infatti Giorgio con la sua aura da bello e dannato. Il salto in un vortice apparentemente senza fine, tra gioco d'azzardo, microcriminalità, donne e droga, è breve.
Vicari non vuole portare però in scena, come molti hanno provato invece a spiegare, un romanzo di formazione. Quella di Giorgio è semplicemente l'istantanea di un momento della vita di un uomo, che trova nelle pulsioni più basse, più stomacali, una momentanea ed effimera soddisfazione di una propria, inspiegabile, insoddisfazione.

Non è dunque importante la risoluzione finale, che per questo viene suggerita, anzi, mostrata, nella prima sequenza. Anzi, alla luce di tutto quel che avviene nel flashback che costituisce il corpus principale della pellicola, il momento di redenzione finale diventa tanto più inquietante quanto più ci si immerge in quello che è il passato del giovane magistrato che scorgiamo nella prima scena.
Elio Germano offre il suo corpo scarno e nervoso ad un personaggio molto simile a tanti altri che gli è capitato, per caso o per scelta, di interpretare. Perfettamente a suo agio in una parte che sembra conoscere, duetta in modo interessante con Michele Riondino, suo ottimo sparring partner, pur non essendo immune da difetti. Su tutti un certo manierismo espressivo, segnato anche dalla scelta di non calare la sua figura fino nel fondo dell'ambiente in cui vive. La sua è una parlata pulita, televisiva. Bari potrebbe essere tranquillamente una qualsiasi altra città, non si sentirebbe epidermicamente nessuna differenza.

Vicari in questo è contraddittorio. Le scelte di indirizzo delle performances sono quelle alle quali si è accennato, la descrizione e la contestualizzazione, invece, vanno in tutt'altra direzione.
Pur non utilizzando la banale scorciatoia dei piani ambientazione, il film si cala a piene mani nel tessuto urbano nel quale si muove, pescando scorci e visuali che, pur non apertamente ostentate, fanno respirare il clima di claustrofobia tipico dei vicoli baresi. Il sottobosco delle bische clandestine, il continuo saltare tra ambienti sociali e culturali diversi: tutto viene affrontato con lucidità e pertinenza, in una geometria la cui solidità si rafforza con il proseguire della storia.
Peccato che la storia che si dipana nel libro, che il Times ha definito come "indimenticabile, di amara redenzione", si riduca sullo schermo all'assemblarsi di alcune idee cinematografiche cardine, che peccano di originalità e di forza narrativa.
Nonostante ciò, la mano di Vicari riesce a conferire al film quella coerenza e quella sistematicità di sguardo che contribuiscono a fare de Il passato è una terra straniera un film di notevole interesse.