Michele Riondino a Courmayeur: il futuro non è una terra straniera

L'attore pugliese, scelto dal Noir In Festival come rappresentante del concorso letterario per giovani autori Zucca - Spirito Noir Collection, racconta la sua visione del cinema italiano.

Daniele Vicari lo ha voluto giocatore d'azzardo per il Il passato è una terra straniera, mentre Mario Martone gli ha offerto la possibilità di esprimere tutto il suo spirito rivoluzionario in Noi Credevamo. Così, Michele Riondino ha guadagnato l'attenzione di un pubblico dai gusti raffinati e di una critica attenta che lo ha eletto membro ufficiale di una generazione di interpreti particolarmente interessati al futuro di un ambiente culturale chiaramente in crisi. Ospite del Noir in Festival come membro della giuria del concorso letterario Zucca - Spirito Noir Collaction, l'attore pugliese ci regala un'interessante conversazione sul cinema italiano e sui molti problemi che lo affliggono, in attesa di vederlo nuovamente sul grande e piccolo schermo con Acciaio e Il giovane Montalbano.

Stephen Frears ha dichiarato che il noir è il racconto cinematografico votato per eccellenza all'intrattenimento. Visto la frequenza con cui hai affrontato il genere, come commenteresti questa dichiarazione? Michele Riondino: Il segreto del noir risiede nel non essere definibile, contenendo al suo interno gli elementi di più generi. La sua capacità d'intrattenere fa leva principalmente sulla nostra abitudine a gestire come spettatori gli atti più estremi, visto che i personaggi oscuri e gli avvenimenti tipici delle crime story sono incredibilmente simili a quelli che popolano la cronaca quotidiana. Inoltre, il noir riesce ad accattivarsi il pubblico perché, a differenza del giallo che ricompone perfettamente l'insieme, attraverso l'atto criminoso modifica definitivamente la realtà dei fatti.

Credi che all'interno del panorama produttivo italiano ci sia spazio per questo tipo di cinematografia?
Molto poco ed è un peccato. Interpretare un personaggio di questo genere è la sfida più stimolante che un attore possa cogliere, dovendo lavorare costantemente fuori dagli schemi del realismo. Solitamente il cinema italiano chiede ai sui interpreti di produrre una performance aderente alla realtà, saccheggiando le esperienze e le emozioni del proprio vissuto. Il noir, invece, offre all'attore la possibilità di scoprire attitudini e atteggiamenti che vanno a comporre la maschera.

Hai da poco terminato le riprese di Acciaio, tratto dal romanzo di Silvia Avallone e diretto da Stefano Mordini. Puoi rivelarci qualche particolare del tuo personaggio?
In Acciaio interpreto Alessio, un ragazzo coinvolto in un incidente sul lavoro. Considerate che io sono nato a Taranto accanto alla fabbrica Ilva ed ho delle opinioni molto chiare rispetto alle scelte discutibili sostenute dal gruppo dirigente, che sembra non curarsi minimamente del danno apportato alla salute degli abitanti e della feroce aggressione ambientale attuata in tutti questi anni. Una situazione che, invece, non ho riscontrato quando siamo andati a girare a Piombino nella Lucchini. In questo caso gli operai sembrano essere molto orgogliosi di produrre le migliori rotaie d'Europa e di essere gestiti direttamente da una dirigenza locale. Partendo da questo punto di vista per me è stato veramente difficile costruire un personaggio innamorato della fabbrica e del suo lavoro. Con Mordini abbiamo cercato di evitare qualsiasi punto di vista politico, però ci siamo chiesti per quale motivo Alessio sia devoto al suo lavoro a tal punto.

Il cinema sembra apprezzarti sempre più, ma il tuo cuore è spesso rivolto anche al teatro. In questo momento, ad esempio, stai lavorando ad un progetto particolare ancora in fase di scrittura. Di cosa si tratta esattamente?
L'idea di partenza è una favola nera con protagonista un ragazzino ritrovato misteriosamente sulla scena di un delitto. Da quel momento in poi il senso di colpa lo porterà a crescere e ad abbandonare la sua quotidianità rappresentata dal rapporto quasi simbiotico con una coetanea. Tutto la storia, su cui stiamo ancora lavorando in fase di scrittura, si propone di utilizzare l'argomento dell'abbandono e del senso di colpa come mezzi per aggiungere una crescita personale e definitiva. In questo modo, cercheremo di raccontare la fase di passaggio più complessa, quella in cui un adolescente si dirige verso l'età adulta.

Fino ad ora la tua carriera cinematografica sembra caratterizzata da film ispirati soprattutto ad opere letterarie. Come gestisci le tue scelte? Sei solito leggere il romanzo prima di affrontare la sceneggiatura?
Si, solitamente preferisco confrontarmi con il libro prima di affrontare la sceneggiatura, ma a volte può capitare che il regista non sia d'accordo. Ad esempio Matteo Rovereto, con cui ho girato Gli sfiorati, che uscirà a gennaio, mi ha chiesto espressamente di non prendere in considerazione il romanzo prima di iniziare le riprese. Comunque leggere mi aiuta nella costruzione dei miei personaggi. Ad esempio, per quanto riguarda Il passato è una terra straniera non mi sono lasciato inquinare solamente da Gianrico Carofiglio, ma ho colto anche altre allusioni letterarie proposte nel testo, come Demian di Hermann Hesse..

Da Martone a Vicari hai avuto la possibilità di collaborare con registi sicuramente dotati di personalità e coraggio. Questo non ti ha acceso il desiderio di passare dietro la macchina da presa?
Mi piacerebbe molto dirigere per il teatro ma non per il cinema. Penso che gestire degli attori in un film sia veramente una grande responsabilità e non credo di avere il bagaglio di conoscenze necessarie per affrontare un racconto in celluloide. Totalmente diverso è il mio atteggiamento nei confronti del teatro. In questo caso conosco perfettamente la struttura drammaturgica, l'utilizzo del colpo di scena e lo stile recitativo, incredibilmente diverso da quello cinematografico. Fino ad ora le mie esperienze si limitano ad una regia collettiva, ma vorrei tentare anche uno spettacolo totalmente inedito.

Alcuni giovani attori stanno esprimendo, sempre più frequentemente, la loro insofferenza nei confronti di una struttura produttiva che non permette loro di esprimersi all'interno di una cinematografia multiforme. Qual è la tua opinione a riguardo, trovi difficoltà a rintracciare copioni adatti alle tue aspettative?
Attualmente le sceneggiature si piegano al vizio dello spettatore medio italiano. Inizialmente credevo che si trattasse di un problema imputabile agli scrittori, ma oggi non ne sono più così sicuro. In realtà sono le stesse produzioni a guidare questo tipo di scelte. E' normale che un autore alla sua opera prima si pieghi a determinate richieste, il problema nasce quando a queste logiche si sottomette anche chi dovrebbe gestisce l'operazione dall'alto. I fatto è che ci si dovrebbe assumere la responsabilità di raccontare una storia e chiedere al pubblico di elaborare finalmente un pensiero. Nel ruolo che mi compete cerco di mettere sempre un bastone tra questi ingranaggi, ma non risolveremo il problema fino a quando il pubblico continuerà ad andare a vedere la televisione al cinema. Piuttosto, si dovrebbe pensare ad una sorta di rieducazione proponendo durante ogni stagione cinematografica almeno cinque pellicole come Noi credevamo, ma a quel punto si dovrebbe affrontare anche un'inevitabile crisi del botteghino.

Secondo la tua opinione ci sono dei film realmente impossibili da realizzare nell'attuale panorama culturale italiano?
Ho notato che oggi si tende a raccontare periodi bui del nostro passato cercando di affascinare lo spettatore. Io non credo che questo sia necessario, anzi bisognerebbe urtare l'opinione pubblica e lavorare un po' più di pancia. Sto parlando di prodotti di qualità come Romanzo criminale e Vallanzasca - Gli angeli del male, in cui mi sarebbe piaciuto vedere un attore straordinario come Kim Rossi Stuart confrontarsi con un personaggio un po' più scomodo. Questa è esattamente l'operazione portata a termine da Martone che, con Noi credevamo, ci ha regalato il ritratto di personaggi storici privi dell'alone glorioso dell'eroismo, mostrandoli nella loro essenza umana. Da qui scopriamo che Mazzini fu essenzialmente un visionario pavido mal visto dall'ambiente rivoluzionario e Crispi, primo Presidente del Consiglio, rappresentò il germe stesso dell'autoritarismo.