Recensione I giorni dell'abbandono (2004)

Il film si prende troppo sul serio e dopo un inizio equilibrato sprofonda nella più triste comicità involontaria. Allo spettatore non resta che chiedersi il perché di una scelta registica tanto inspiegabile da sfiorare il suicidio artistico.

Un abbandono motivato

Tratto dal romanzo culto di Elena Ferrante, I giorni dell'abbandono narra la vicenda di Olga, giovane moglie e madre borghese, la cui serenità familiare si spezza improvvisamente a causa dell'abbandono del marito, che si è innamorato di un'altra donna. Dapprima Olga cerca di ricucire il rapporto, di comprendere e di perdonare, ma la scoperta che l'amante del marito è un'avvenente ragazzina figlia di un'amica di famiglia fa precipitare la donna in un abisso di disperazione, abisso da cui riuscirà a sollevarsi solo grazie al sostegno del misterioso vicino di casa musicista.

Roberto Faenza è un regista che punta ad un elevato standard intellettuale, ad una letterarietà pesudoelitaria che fin'ora gli ha precluso il grande successo di pubblico. Stavolta le chances per allargare la sua audience ci sarebbero tutte: una storia tratta da un romanzo dal respiro universale (tradimento, abbandono, crisi matrimoniale... chi ne è immune?), una protagonista come Margherita Buy, che è riconosciuta unanimemente come una delle più brave attrici italiane in circolazione, l'eroe nazional-popolare Luca "Montalbano" Zingaretti, e la presenza di Goran Bregovic nel ruolo dell'affascinante vicino di casa che dona un tocco di esotismo al tutto. Eppure la ricetta non funziona. Il film si prende troppo sul serio e dopo un inizio equilibrato sprofonda nella più triste comicità involontaria. Allo spettatore non resta che chiedersi il perché di una scelta registica tanto inspiegabile da sfiorare il suicidio artistico.

La povera Margherita Buy si affanna a dare spessore e credibilità alla sua Olga, e in alcuni momenti ne esce anche a testa alta, come nella scena in cui Olga aggredisce il marito e la giovane amante in mezzo alla strada gettandoli quasi sotto il metrò che sta passando in quel momento, ma quando il problema sta nella globalità dell'opera i pochi momenti riusciti non riescono a salvare l'insieme, che comprende dialoghi ai limiti del risibile, una voice over snervante e retorica quanto basta, immotivati cambi di stile registico e sprazzi di soprannaturale che cancellano ogni credibilità residua, culminando nel cane morto che attraversa la ribalta del palco sul quale Bregovic si esibisce. La coerenza dello script, peraltro, era già stata messa a dura prova precedentemente, basti pensare all'incontro di Olga con il suo editore che ha letto la traduzione in cui la donna ha "involontariamente" inserito la propria vicenda matrimoniale, o le sciagure che si abbattono sulla casa di Olga nella notte di Capodanno, fino al magico arrivo di Bregovic. Una scelta coerente del registro stilistico dominante avrebbe certamente giovato alla pellicola, anche se i problemi principali si concentrano proprio nello script e non aiutano certo né la recitazione sostenuta di Zingaretti, marito fedifrago e altezzoso, né quella stralunata dello spaesato Bregovic che non riesce a cancellarsi un'espressione disgustata dal volto per tutta la durata del film.

Movieplayer.it

2.0/5