Reduce dal successo di Tutto chiede salvezza, disponibile su Netflix, Francesco Bruni torna nella sua Livorno per raccontare la sua prima esperienza con la piattaforma streaming al pubblico del FIPILI Horror Festival2022. Bruni, che non si definisce esattamente un amante della serialità, ha imparato a usare con relativa disinvoltura termini come binge watching e rewatch pur mettendo le mani avanti: "Non amo le serie tv. Ho visto True Detective e Six Feet Under, ma in generale avevo delle resistenze su questo fenomeno. Da spettatore, non mi piace fidelizzarmi con un prodotto, non mi piace guardare per ore una sola cosa anche se è bella. Io amo la sala cinematografica e la gente che mi fa i complimenti dicendo che ha visto la mia serie sul telefonino mi fa soffrire".
Come rivela la nostra recensione di Tutto chiede salvezza, la serie ispirata al libro omonimo di Daniele Mencarelli accende i riflettori sul problema della malattia mentale raccontando l'esperienza del ventenne Daniele, costretto a un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) dopo una crisi di nervi. "Il processo di scrittura parte dall'incontro con Daniele Mencarelli e col suo libro autobiografico" spiega Bruni. "Ho deciso subito di voler lavorare su questo testo anche se la amia idea iniziale era farne un film, ma i diritti erano già stati acquisiti. Dopo qualche mese mi hanno ricontattato e mi hanno proposto di fare una serie tv. La mia idea è stata quella di raccontare i sette giorni del TSO in sette puntate".
Lavorare con Netflix
Netflix ha scommesso su Francesco Bruni perché il suo nome era una garanzia sul trattare un tema giovanile in maniera soddisfacente, ma il regista ha imposto le sue condizioni. Come spiega lui, "questa non era la mia prima volta da headwriter. Ne Il commissario Montalbano, Il commissario De Luca e anche ne Il giovane Montalbano ero caposcrittura, avevo scelto io gli altri collaboratori ed ero io a metterci la faccia nelle riunioni editoriali. Ma ho chiesto di poter dirigere tutti gli episodi o non avrei accettato. Per me non aveva senso stare sul set tre/quattro settimane e poi andarmene per fare intervenire un altro regista.
Naturalmente il lavoro di adattamento ha richiesto una serie di cambiamenti, spingendo Francesco Bruni a qualche compromesso. "Mi hanno chiesto di spingere su alcuni pedali, come la storia d'amore inventata di sana pianta" rivela. "E poi il libro era ambientato nel 1994, con i Mondiali di Calcio negli Usa a fare da cornice. Noi abbiamo scelto di trasporre la storia ai giorni nostri, perché penso che il problema del disagio mentale dei giovani sia più forte adesso. La mancanza di prospettive, l'inutilità della scuola, l'odio social, la scissione della personalità sono problemi dei giovani d'oggi".
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L'anima dei personaggi
Riflettendo su ciò che rende un film superiore a una serie tv ai suoi occhi, Francesco Bruni indica la compattezza narrativa e specifica: "Per me un film non dovrebbe durare più di 100 minuti. Ma devo ammettere che la serialità permette di dare profondità ai personaggi e di inserire storyline secondarie. Non mi ha disturbato l'uscita della mia serie su Netflix in un colpo solo. In diverse occasioni l'ho definita film, ma è così che la vedo, per me è un film di cinque ore". Il budget elevato ha permesso, inoltre, al regista di togliersi delle soddisfazioni scegliendo le musiche che preferiva e usandole a fine episodio. Tra i brani spiccano i Maneskin, "che hanno un grosso seguito, anche se non li ho scelti io", e Medicine, brano scritto dallo stesso figlio di Bruni, il rapper Side Baby.
Ma il cuore di Tutto chiede salvezza sono i personaggi, così umani e veri, e gli attori chiamati a interpretarli, sul cui casting Bruni rivela qualche retroscena chiarendo: "Il casting era molto aperto, non avevo nessun nome prestabilito. Federico Cesari è molto popolare, ma si è meritato il ruolo sul campo. Io ero sempre presente e facevo da spalla agli attori, quelli che mi convincevano di più li ho richiamati. Poi c'è stata la lettura del testo a tavolino tutti insieme e le prove di recitazione in macchina. Io do libertà agli attori, se mi fanno proposte li ascolto, accetto l'improvvisazione. Gli attori si sentono amati e considerati". La scelta di Nina ha messo a dura prova il regista e la stessa Fotinì Peluso, chiamata a un ruolo assai diverso dalle precedenti collaborazioni con Bruni. Per quanto riguarda il cast adulto: "A Ricky Memphis ho pensato subito, e anche Bianca Nappi. Pennacchi era un ruolo rischiosissimo, temevo che sembrasse sentenzioso, ma lui è riuscito a rendere i dialoghi così umani e naturali. La dottoressa Cimaroli l'ho fatta fare a mia moglie Raffaella, sapevo che aveva la gravità giusta e anche l'empatia necessaria al ruolo".
"La gente che mi fa i complimenti dicendo che ha visto la mia serie sul telefonino mi fa soffrire"
Al passo coi tempi
Mentre Tutto chiede salvezza continua a catturare l'interesse degli utenti Netflix, Francesco Bruni ammette di aver superato le sue idiosincrasie sulla serialità grazie agli input che gli arrivano dalla società e all'aiuto dei figli: "Se penso a Bellocchio o a Martone, i grandi registi riescono a stare in ascolto di ciò che accade nella società e non arroccarsi sulle loro posizione. Occorre rimanere aperti, essere flessibili. Io ho avuto la fortuna di ricevere una ventata d'aria fresca dai miei figli. Osservandoli mi tengo al passo con le novità culturali, sociali, comprendo il loro stile di vita, li osservo con attenzione, quasi con ammirazione. Questa cosa non molti registi riescono a farla. Ma io non voglio rimanere prigioniero del passato, voglio mettermi alla prova con qualcosa di nuovo".