Turn Up Charlie, la recensione: dischi e bambini nella nuova serie Netflix

La recensione di Turn Up Charlie, serie comica su Netflix creata e interpretata da Idris Elba.

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Turn Up Charlie: una foto della serie

Con questa recensione di Turn Up Charlie, nuova serie tv comica di Netflix composta da otto episodi appena sotto i trenta minuti ciascuno, arriviamo a una nuova fase per quanto riguarda la carriera del suo protagonista: questa infatti non è una solo una nuova produzione con Idris Elba, ma anche e soprattutto di Idris Elba. L'attore inglese è infatti il co-creatore del progetto insieme a Gary Reich, e i due fungono da produttori esecutivi al fianco di Tristram Shapeero, regista delle prime quattro puntate (le altre sono a cura di Matt Lipsey). Si tratta quindi di un progetto molto personale per Elba, che già con la sua prima regia cinematografica, Yardie, aveva voluto esplorare una fetta di mondo così come lui l'aveva conosciuta. Solo che lì si trattava dell'adattamento di un testo letterario in cui il neoregista si era ritrovato, mentre in questa sede siamo abbastanza palesemente in territorio autobiografico.

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Idris Elba, una vita all'insegna della musica

Per chi non lo sapesse, infatti, Idris Elba ha mosso i suoi primi passi nell'ambiente dell'entertainment come DJ, prima aiutando uno zio che svolgeva tale attività in occasione di matrimoni, e poi mettendosi in proprio con l'appellativo Big Driis. Pur essendo poi passato alla televisione (The Wire, Luther) e al cinema (Star Trek Beyond e diverse apparizioni nel Marvel Cinematic Universe), non ha mai perso la passione per la musica e continua ancora oggi a lavorare anche come DJ, mescolando i due percorsi proprio con Turn Up Charlie, dove il confine tra realtà e finzione è molto labile: mentre nel serial il povero Charlie è messo talmente male a livello lavorativo che è costretto a mentire ai genitori rimasti in Africa, Elba ha indossato i panni di Big Driis anche durante le riprese, intrattenendo gli avventori di alcuni locali tra un ciak e l'altro. A questo si aggiunge poi quella che è la più grande licenza poetica rispetto al vero vissuto dell'attore-produttore: la premessa dello show che vede Charlie trasformato in babysitter a tempo (quasi) pieno, alle prese con la figlia di due amici di vecchia data.

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Una serie con due anime

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Turn Up Charlie: un'immagine della serie

Paradossalmente, data la spinta personale che c'è dietro la serie, è proprio la parte inventata, quella che aderisce agli stilemi della buddy comedy, a convincere maggiormente, unendo al carisma inscalfibile di Elba quello non meno stupefacente della giovanissima Frankie Hervey nel ruolo di Gabrielle. Insieme i due creano un duo brillante e verosimile, permettendo a Elba di fare quello che presumibilmente era il principale motore creativo dello show: dare a un attore noto per ruoli seri, stoici, talvolta tragici (John Luther su tutti) la possibilità di esibire il suo lato più leggero, lontano da omicidi, narcotraffico e conflitti intergalattici o interdimensionali, un lato che molti spettatori non hanno visto o sentito al di fuori di alcuni ruoli minori in film d'animazione targati Disney o Pixar. E da quel punto di vista è una sorta di ventata d'aria fresca, una ventata che accompagna i due simpatici protagonisti in mezzo alle strade di Londra, restituendo uno spaccato di vita più aderente al reale di quell'altra metà dello show, quella teoricamente basata sulle vere esperienze del suo co-creatore.

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Turn Up Charlie: Idris Elba nel suo ruolo di DJ

Quando invece si passa al lato musicale, quello a base di ambizione, frustrazione e note accattivanti (la colonna sonora, com'era prevedibile, è molto ben curata), la scrittura cede sotto il peso della formula, percorrendo strade riconoscibili senza mai deviare alla ricerca di soluzioni meno scontate. Si parla di accordi strani, sogni irrealizzati, promesse non mantenute e rapporti umani compromessi in nome dell'arte. Il tutto condito da performance solide, con un gradito ritorno di Piper Perabo in un progetto di un certo peso, ma in un certo senso la presenza dei personaggi secondari è l'opposto di come loro vedono Charlie: così come loro sfruttano lui ma in realtà lo trascurano nel mondo della serie, gli autori ed Elba si servono di loro per poi sacrificarli in nome di una riflessione molto superficiale su un argomento che, data la sua importanza nella vita dell'interprete principale divenuto produttore, è inspiegabilmente ridotto a sfondo privo di sostanza. Si ride abbastanza quando ci si allontana dalla storyline industriale, ma in caso Charlie e i suoi amici tornino con una seconda stagione sarà auspicabile tutt'altra musica.

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3.0/5