Fino ad ora, l'abbiamo già detto in altre occasioni, questa seconda stagione di True Detective ci ha convinto solo parzialmente. In un oceano di nomi, intrighi e parole ogni tanto c'è qualche fiammata che ci fa ricordare come mai avevamo così tanto atteso questo nuovo lavoro di Nic Pizzolatto.
E a proposito di fiammate, cosa dire della sparatoria che concludeva il quarto episodio, La fine è vicina? Da un punto di vista registico quei dieci minuti, pur impressionanti e di grande effetto, non saranno forse al livello di quelli, ormai cult e in piano sequenza, del quarto episodio della prima stagione, ma rappresentano certamente un momento di svolta importante non solo per i protagonisti di questo True Detective 2 ma per la serie stessa.
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"Never too late to start all over again."
Quella sparatoria è appunto fondamentale per il prosieguo della stagione ma non nel modo in cui ci saremmo aspettati, perché con questo quinto episodio, Other Lives, Pizzolatto opera una sorta di reboot (tanto che la sigla cambia, e non in maniera quasi impercettibile come nei precedenti episodi), ovvero la timeline avanza di 66 giorni e noi reincontriamo i protagonisti non dove li avevamo lasciati ma alle prese con nuovi impegni e nuovi problemi. In seguito al Vinci Massacre il caso Caspere viene ufficialmente chiuso e i nostri investigatori, in un modo o nell'altro, trasferiti ad altre mansioni.
Sono stati quindi i messicani a fare fuori Ben Caspere? Nessuno sembra esserne particolarmente convinto, ma soprattutto a nessuno sembra importare granché. Una sensazione che noi spettatori in primis ci sentiamo di condividere visto che uno dei problemi principali di questa seconda stagione è proprio la mancanza di un'indagine forte, che riesca ad incuriosire ed avvincere.
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Yellow King, sei proprio tu?
Paradossalmente proprio con la "chiusura" del caso, e questo restart compiuto al giro di boa, il nuovo True Detective diventa finalmente avvincente. Magari non ai livelli della prima stagione, ma finalmente possiamo dire di essere curiosi dei prossimi sviluppi e non soltanto per capire se un protagonista è vivo o morto. Abbiamo ora la curiosità di vedere il confronto (tanto atteso e anche un po' telefonato a dirla tutta) tra Vince Vaughn e Colin Farrell, di scoprire cosa succede in queste famigerate feste private ad alto tasso erotico (e non abbiamo dimenticato la "promessa" di un'orgia in stile Eyes wide shut, sarà nel prossimo episodio?) e per conto di chi lavora Dixon nella sua ricerca dei diamanti blu e soprattutto di sapere cosa è successo in quella cabina nel bosco, nuovo inquietante luogo di delitto e/o tortura.
A proposito della cabina, non pensiamo di essere stati gli unici a notare una certa somiglianza, in queste scene, con le atmosfere della prima stagione: lo stormo di uccelli, l'ambientazione bucolica, l'impressione di avere a che fare nuovamente con riti e culti (non dimentichiamo che Ani è cresciuta proprio in una di queste comuni). Siamo nuovamente dalle parti di Carcosa? La nostra risposta è no, ma è evidente che Pizzolatto abbia nuovamente voluto giocare con gli spettatori. La cosa buffa è che sembra averlo fatto anche la settimana precedente: alcuni giornalisti USA hanno infatti notato che il nome di Ledo Amarilla, il capo dei messicani ucciso al termine della sparatoria, abbia un duplice riferimento alla prima stagione: Ledo è il diminutivo di Ledoux (ricordate Reggie "time is a flat circle" Ledoux vero?) e Amarilla in spagnolo vuol dire ovviamente gialla, Yellow.
"Tre cose mi sono riuscite nella vita, perché devo ricominciare da zero?"
In ogni caso ci sentiamo di dire che, a soli tre episodi dal termine, questa seconda stagione di True Detective ha finalmente trovato la giusta via e adesso che conosciamo bene i suoi protagonisti siamo pronti a ripartire e a concludere definitivamente questo nostro viaggio. Tutto funziona adesso? Assolutamente no, anzi proprio perché abbiamo superato metà della stagione non possiamo che ammettere che per esempio il personaggio di Frank Seymour ci ha deluso in tutto e per tutto: l'ambiguità, il non sentirsi un gangster, il rapporto con la moglie, l'impossibilità di avere figli e la difficoltà di accettare l'adozione... sono tutte cose che alla lunga hanno stancato e che semplicemente non funzionano. Forse a causa della scrittura di Pizzolatto, forse a causa dei suoi interpreti (e sia Vince Vaughn che Kelly Reilly dal punto di vista recitativo, ma soprattutto del carisma, non sono all'altezza del resto del cast) ma ciò non toglie che - a meno di cambiamenti inaspettati (e saremmo ben felici di essere smentiti) negli ultimi episodi - siano il vero tallone d'Achille di questa stagione.
Quello che invece funziona sono i tre detective, soprattutto quando sono insieme e sono alle prese con il caso e il lavoro e non con le loro vicende personali. Il Paul Woodrugh di Taylor Kitsch continua ad essere il più acerbo del gruppetto (ma anche con più potenzialità) e non sempre le sue scene in solitaria funzionano come dovrebbero o come avrebbe sperato Pizzolatto (su tutti lo scontro con la madre interpreta da Lolita Davidovich), molto meglio invece quando è in azione (la solita sparatoria dell'episodio precedente) o sta investigando o fa da spalla ai due colleghi. Continua a crescere la Ani Bezzerides di Rachel McAdams: ci conquista con la sua ironia ("Non è una questione di lunghezza ma di circonferenza") e con una interpretazione fatta di piccoli dettagli, come il ritorno alle sigarette, il tremore della mano e degli sguardi che, questa volta, valgono quanto interi monologhi del buon Rust Cohle.
E poi c'è il Ray Velcoro di Colin Farrell, vero mattatore fin dal primissimo episodio, che mai come in questo Other Lives conferma di aver meritato la fiducia risposta da Pizzolatto a dispetto dei tanti che avrebbero voluto un nome ancora più prestigioso come protagonista di questa seconda stagione. Farrell è bravissimo dalla prima all'ultima scena: è fantastico quando riceve la peggiore notizia della sua vita, ovvero che l'uomo che aveva stuprato sua moglie è stato arrestato e che quindi non era quello che aveva ucciso anni prima, ma anche quando sfoga tutta la sua rabbia sul Dr. Pitlor.
Ma il momento più bello, il momento chiave del suo personaggio e di questa interpretazione che meriterebbe certamente di essere considerata per i prossimi premi Emmy, è quando parla con l'ex moglie e le chiede conferma dell'arresto dello stupratore e in tutta riposta viene accusato di aver mentito, di non essere stato in grado di proteggerla e di fare quello che andava fatto. L'impossibilità di dire la verità, di ammettere alla moglie e a sé stesso di aver ucciso un innocente, è un momento di grande televisione. Un momento che ci conferma che, nonostante tutto, HBO, True Detective e Nic Pizzolatto hanno ancora tanto da dire.
Movieplayer.it
4.0/5