Io ti amo; tu mi dai il pesce.
È un repentino cambiamento di scenario ad aprire il terzo e ultimo atto di Triangle of Sadness, intitolato L'isola. Dopo l'assalto dei pirati e il naufragio dello yacht, un piccolo gruppo di superstiti approda in un luogo circoscritto (l'isola del titolo, appunto); qui i naufraghi vengono raggiunti da una scialuppa contenente riserve di viveri e acqua e con a bordo un'inserviente dello yacht, Abigail, l'addetta alla pulizia dei bagni. Da lì in avanti, il film di Ruben Östlund prosegue su nuovi binari: all'affresco satirico sull'alta borghesia immersa nella pigra routine di una crociera di lusso si sostituisce una situazione sulla scia de Il signore delle mosche di William Golding, con otto comprimari costretti a fare fronte comune in attesa che qualcuno venga a salvarli. Ed è a questo punto che emerge la figura di Abigail, la cui presenza dominante muterà di colpo gli equilibri fra i personaggi.
Tema centrale di Triangle of Sadness, ricompensato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes 2022, è la natura di rapporti basati sul concetto di censo e sulle rigide gerarchie che contraddistinguono una società capitalista. I membri dell'equipaggio dello yacht vengono istruiti da Paula (Vicki Berlin), la manager dello staff, a rispondere sempre in maniera affermativa ai passeggeri; nessuno riesce ad arginare le bizze del capitano Thomas Smith (Woody Harrelson), sebbene questi sia un inetto in perenne stato di ubriachezza; e una fievole lamentela da parte del modello Carl (Harris Dickinson) costa il posto di lavoro a uno dei marinai. Se la lunga sezione centrale del film illustra appunto le assurdità e le storture di un sistema di 'caste', la terza parte ripropone dinamiche simili, ribaltando però i ruoli e mostrando in che modo tale concezione gerarchica sia stata introiettata da ciascuno dei naufraghi.
La rivincita di Abigail: lì inserviente, qui capitano
D'impulso, gli ex-passeggeri scampati al disastro continuano a comportarsi da ricchi clienti ai quali tutto è dovuto; è lo stesso impulso che spinge Paula, perfino sull'isola deserta, a voler esaudire ogni loro richiesta con la maggior solerzia possibile. È l'arrivo di Abigail, interpretata dall'attrice filippina Dolly de Leon, a ribaltare le suddette gerarchie: "Lì inserviente", dichiara Abigail, richiamata da Paula ai doveri a cui era sottoposta sullo yacht, "qui capitano". È una scena emblematica: Abigail, che è stata in grado di pescare un polpo e di accendere un fuoco, reclama un'inedita posizione di autorità in virtù del suo essere indispensabile alla sopravvivenza dell'intero gruppo. E i suoi compagni di sventura, già assuefatti al concetto di autorità, non esitano ad accettare il nuovo 'regime' in cambio di un pezzetto di polpo: "Tu capitano", è l'atto di obbedienza pronunciato da ciascuno di loro, ammaestrati da un frammento di cibo come si farebbe con un animale domestico.
Triangle of Sadness, la recensione: il naufragio della società
Del resto, la componente satirica di Triangle of Sadness è fin dall'inizio ben manifesta, nonché più esplicita e di facile lettura rispetto all'opera precedente di Ruben Östlund, The Square; in tal senso, nel terzo atto il regista svedese ci illustra il modo in cui le dinamiche esistenti fra le classi sociali tenderanno a riprodursi anche laddove le categorie legate al censo vengono meno. Nella sua prima apparizione, Abigail era una cameriera senza nome (come tante altre) che si affacciava alla cabina di Carl e della sua fidanzata Yaya (Charlbi Dean) per occuparsi delle pulizie, ma veniva respinta dalla coppia di modelli, ancora a letto. Quando ricompare sullo schermo, la donna si impone come la leader indiscussa dei naufraghi; ed è significativo che proprio una 'proletaria' come lei, Paula, sia la più refrattaria a riconoscere il nuovo status quo e la trasformazione dei rapporti di potere. Perché di potere, invariabilmente, si tratta: un potere che sull'isola non deriva più dal denaro, ma dall'acqua potabile, dal pesce e dai bastoncini di pretzel.
Pensavo fosse amore... invece era un pesce
L'affondo di Östlund, a questo punto, si dirige in direzione di Carl. Nell'incipit del film, il modello impersonato dal venticinquenne londinese Harris Dickinson viene mostrato come una sorta di automa seminudo che reagisce a comando (la gag Balenciaga/H&M) e avverte la propria inferiorità - nel reddito e nel prestigio - accanto alla partner. Anche sullo yacht, Carl è sostanzialmente l'ultimo fra i ricchi: colui che può permettersi la crociera solo perché essa è stata offerta gratuitamente alla sua fidanzata influencer. Carl, tutto sommato, ne è consapevole, così come è consapevole che il proprio 'valore' dipende interamente dallo statuto di cute boy, come lo apostrofa Abigail; e il cute boy non ha remore ad adeguarsi alle circostanze, di fatto prostituendosi ad Abigail al fine di ricevere cibo ("Io ti amo; tu mi dai il pesce") e avere il privilegio di dormire sulla barca. È l'ennesimo esempio di mercificazione, una delle infinite declinazioni di un capitalismo che non è più solo un sistema economico, ma un autentico modus vivendi.
Parasite: il fascino discreto della borghesia nel capolavoro di Bong Joon-ho
Nel finale, minacciosamente ambiguo, Ruben Östlund ci regala un altro "colpo di coda". Abigail e Yaya si allontanano dall'accampamento per esplorare l'isola e all'improvviso scoprono che essa è tutt'altro che deserta: il lato opposto ospita infatti un resort di lusso (in altre parole, una replica del contesto vacanziero dello yacht). Per i naufraghi, si tratterebbe del ritorno alla 'normalità'; ed è Yaya stessa a sottolinearlo quando, in preda all'entusiasmo, propone ad Abigail un lavoro come sua assistente. Ma per chi si è abbandonato all'ebrezza del potere, è difficile ridiscendere ai gradini più bassi della scala sociale: per Abigail, tale proposta equivale a un'umiliazione, al pari del famigerato commento sull'odore dei poveri in Parasite. Ecco dunque che il film si chiude sul suo sguardo assassino e sulla mano sollevata che stringe una pietra, pronta a colpire: perché forse, come Parasite, pure questa storia non troppo diversa è destinata a concludersi in un bagno di sangue.