Mia Bella Signorina che ascolti lassù...
Antonio Lumaconi, il protagonista di Totò le Mokò è uno Street Artist, o anche One Man Band, che si esibisce nelle piazze di Napoli cantando serenate e mazurke per poche lire, che non gli bastano nemmeno a coprire le spese del nolo degli strumenti. Ma un giorno la fortuna bussa alla sua porta, sotto forma di una lettera in cui gli si annuncia che dovrà dirigere la "banda" del suo defunto parente Pepè in quel di Algeri.
Entusiasta, si invola per la Perla del Mediterraneo, pronto a tuffarsi in questa nuova avventura. C'è un solo problema: lui crede si tratti di un'orchestra musicale, ma in realtà è una banda di gangster e rapinatori.
Prima, come un novello Genny Savastano, tenterà di fuggire dal destino che qualcun altro ha voluto cucirgli addosso, poi, inopinatamente, si trasformerà in un boss feroce e spietato, che stende gli uomini con un sol pugno e strapazza brutalmente giovani donne alla termine di una rovente danza Apache, alla faccia del #MeToo. Complice una misteriosa lozione, modello NZT di Limitless, che, versata sui capelli, gli infonde forza, energia e coraggio proprio come Sansiro... Sansone, pardon.
Ma quando la gelosia della "terrona" Suleima, musa criminale di Pepè prima e di Totò poi, lo priverà di quei superpoteri, il nostro Antieroe si ritroverà senza capelli e senza coraggio, solo contro tutti, costretto ad un duello rusticano con lo stesso Pepè, tornato dalla morte per "ripigliarsi tutto quello che è il suo", a suon di spade che si incrociano facendo "faville" - forse provenienti dal set di Highlander - e balzi prodigiosi che manco il Jackie Chan di Operazione Pirati. E al termine di un rocambolesco inseguimento, l'Uomo Orchestra si ritroverà ad indossare contemporaneamente tutte le armi di un deposito munizioni, futuro modello John Rambo e/o Terminator, sgominando tutti i banditi, in unica soluzione. Happy Ending assicurato con Lumaconi che, assurto ai fasti della cronaca, può finalmente dirigere una grande Orchestra. Proprio mentre gli arriva una nuova lettera, stavolta da Chicago, per dirigere una banda da un altro suo lontano parente... Un certo Al Capone.
Totò durante il Dopoguerra
Ho la Teglia sulla Tasta, ho la Taglia sulla Testa!
Una classica commedia degli equivoci? Sì e no. Totò le Mokò è una delle parodie che caratterizzano la prima produzione cinematografica del Principe della Risata nel Dopoguerra, allora già cinquantenne e affermato artista di avanspettacolo e rivista, ispirata al noto crime movie di Julien Duvivier, Il bandito della Casbah (Pépé le Moko) del 1933. In questa fase della sua carriera, che va dal 1947 al 1952, Totò girerà 21 pellicole, esplorando tutti i generi allora in voga sul grande schermo (l'avventuroso, il melò, l'esotico, il cappa e spada, l'horror, il poliziesco) sabotandoli dall'interno con le sue invenzioni linguistiche, debitrici del grande scrittore umoristico Achille Campanile, e le acrobazie slapstick a metà fra Chaplin e Buster Keaton.
La collaborazione con Bragaglia
Molti di questi film recano la firma esperta di Carlo Ludovico Bragaglia, regista, sceneggiatore e fotografo italiano che forse ha saputo rendere meglio di tutti lo stile iperbolico di Antonio De Curtis a teatro. Terzogenito di Francesco Bragaglia (direttore generale della Casa di produzione Cines) il giovane Carlo e suo fratello Arturo, iniziano una fortunata carriera come fotografo e ritrattista di dive del cinema come Lyda Borelli, Leda Gys, Francesca Bertini.
Nel 1918 con l'altro fratello Anton Giulio fonda prima la "Casa d'arte Bragaglia", punto d'incontro di artisti e cineasti, e poi il "Teatro degli indipendenti", dedicato all'avanguardia e alla sperimentazione, dove firmerà più di venti regie teatrali, tra il 1922 e il 1930. A partire dal 1930 si dedica al cinema, nel periodo del passaggio al sonoro, diventando un maestro del cosiddetto cinema dei "telefoni bianchi". Nel 1939 firmerà Animali Pazzi, prima collaborazione con Totò (e secondo film del comico), proprio da un soggetto di Campanile.
Totò diventa 'supermarionetta'
Non senti il tuo cadavere che già puzza? Ma no... Sarà stato il gatto!
Un lungo rapporto, quindi, quello fra Bragaglia e Totò, che travalicherà i limiti dell'amicizia e della collaborazione, quando Liliana De Curtis, figlia di Totò, sposerà nel 1951, in prime nozze, il produttore Gianni Buffardi, figliastro di Bragaglia. Ma questa è un'altra storia. Dietro la macchina da presa di Bragaglia, e parzialmente di altri, Totò si trasformerà nella 'supermarionetta' teorizzata dal teorico del teatro Edward Gordon Craig: "un essere il cui corpo è totalmente schiavo della mente", capace di muoversi in perizoma tra le scimmie e gli elefanti di Totòtarzan, di passeggiare sul baratro di un pozzo d'acido nel castello di Le sei mogli di Barbablu', di alternare il ruolo di barbiere, bandito e Pulcinella in Figaro qua... Figaro là o quello di un avaro che farebbe impallidire Ebenezer Scrooge (47 morto che parla). Ed è di questa Marionetta così lontana così vicina, e delle sue portentose esibizioni sullo schermo, che cercheremo di parlarvi sempre più diffusamente nelle prossime puntate di questa rubrica.
Articolo a cura di Giuseppe Cozzolino: Scrittore, saggista, produttore web, docente di Storia del Cinema e Storia delle Comunicazioni di Massa presso l'Università di Napoli.