A soli 24 anni ma con tre apprezzati film da regista alle spalle, Xavier Dolan decide di rimettersi subito in gioco allontanandosi dai temi e dallo stile che aveva caratterizzato la precedente ed ottima trilogia degli "amori impossibili" (J'ai tué ma mère, Les amours imaginaires e Laurence Anyways) e adottando per la prima volta un soggetto non suo, la pièce teatrale di Michel Marc Bouchard Tom à la ferme.
Dolan realizza così quello che è un thriller (sui generis) prima di tutto dal punto di vista formale così come nelle imponenti musiche di Gabriel Yared, e solo in seconda battuta nel crescere della tensione narrativa di questo incontro tra il protagonista Tom e la famiglia del suo compagno tragicamente scomparso.
Il film parte con Tom che arriva alla fattoria che fino a quel momento aveva conosciuto solo attraverso i racconti dell'amato per partecipare al funerale, e scopre che la madre di lui vive nell'ignoranza più assoluta: non è a conoscenza dell'omosessualità del figlio né tantomeno dell'esistenza di Tom, e non capisce come mai non si siano fatti vivi amici o la (fittizia) fidanzata. Anche Tom da parte sua deve fare i conti con qualcosa di inaspettato, un irascibile fratello maggiore di cui il fidanzato non aveva stranamente nemmeno fatto cenno. Lo scontro tra i due sarà violento e sensuale al tempo stesso, un rapporto morboso che sconfina nella Sindrome di Stoccolma e che finirà col riaprire vecchie ferite che nascondono omosessualità repressa, gelosia ed una fitta ragnatela di menzogne.
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Nella sceneggiatura scritta a quattro mani con lo stesso Bouchard, Dolan scava a fondo nella psicologia del suo protagonista (che peraltro torna nuovamente ad interpretare dopo la pausa forzata del precedente film) andando a cercare emozioni "nuove" rispetto ai lavori precedenti: l'estenuante ricerca di un amore corrisposto lascia il posto all'elaborazione del lutto, l'ostentazione della diversità si trasforma nella necessità di una ipocrisia che sfocia in paura e rabbia. Anestetizzato dall'improvviso vuoto causato, desideroso di trovare un modo per rimpiazzare il dolore con qualcosa di diverso, Tom si lascia trascinare in un vortice di violenza, psicologica prima ancora che fisica, che non riesce nemmeno a riconoscere, fino a che non arriva il racconto di uno sconosciuto a fargli capire davvero la situazione in cui si trova e rendergli finalmente possibile una fuga che in realtà non era mai stata cercata, e che potrebbe anche non portare avanti fino in fondo.
Con Tom at the Farm Dolan smette di essere un giovanissimo prodigio e si conferma come vera e propria certezza del cinema internazionale, un regista in grado di confezionare una pellicola dalle scelte stilistiche eleganti ed intriganti (come i cambi di formato inseriti nell'ultima parte) e che non ha alcuna paura di rischiare o sbagliare. Piuttosto è proprio nel rovesciare completamente le aspettative di quanti già conoscono e apprezzano il suo cinema e rinunciando ad alcuni vezzi quali l'utilizzo, a volte anche eccessivo, della musica pop, che ancora una volta dimostra una maturità ed un autocontrollo davvero invidiabile: è molto bravo, ad esempio nel mantenere alta la tensione per tutta la pellicola nonostante diversi cambi di registro ed alcuni funzionali siparietti divertenti, è bravo nella direzione dei pochi ma convincenti colleghi di set e nel regalare la sua migliore prova d'attore, ma è bravo sopratutto a immergere l'intero film in un'atmosfera quasi magica che non abbandona lo spettatore nemmeno al termine dei bei titoli di coda, ma anzi li incoraggia a riflettere, a discutere, ad analizzare quanto appena visto.
Xavier Dolan ha ventiquattro anni e sembra già un autore completo sotto ogni aspetto, con davanti a sé infinite possibilità di continuare a stupire, sperimentare e sfruttare il suo enorme talento: se c'è un giovane regista oggi sul cui radioso futuro c'è da scommettere, noi puntiamo tutto su di lui.
Movieplayer.it
4.0/5