Una storia di sport e di vita, di crisi e rinascita, ma anche di figli e padri (mancati). In Tigers, Maurizio Lombardi interpreta Galli, un dirigente delle giovanili dell'Inter che, nella sua apparente freddezza, è il primo a intuire il malessere della giovane promessa del calcio Martin Bengtsson. Quella di Bengtsson è una storia vera narrata nell'autobiografia Nell'ombra di San Siro. Acquistato dall'Inter, nel 2004, a soli 18 anni il calciatore ha lasciato la Svezia per trasferirsi in Italia, ma le difficoltà di integrazione e la pressione lo hanno condotto alla depressione e a un tentativo di suicidio. A 19 anni Martin Bengtsson ha lasciato il calcio per tornare in Svezia, diventando scrittore e musicista. A raccontare la sua storia ci ha pensato il connazionale Ronnie Sandahl che ha messo in piedi un cast internazionale di cui fa parte anche il fiorentino Maurizio Lombardi.
"Galli sembra il cattivo di turno, ma non lo è" ci spiega l'attore che, in qualche misura, è chiamato a interpretare una sorta di figura paterna per Martin, segnato dall'assenza del vero padre. "Fa il duro per testare i nuovi talenti, ma dietro la corazza si pone anche come figura paterna per Martin, cresciuto solo con la madre. Per gli sportivi il sostegno delle famiglie è essenziale, anche se ce ne sono alcune che li spingono in maniera ossessiva. Questa è la funzione di Galli che prova a dare dei consigli al calciatore cercando di fargli capire che si trova in una situazione di privilegio e non deve sprecarla".
Set internazionali ed eccellenze italiane
Con Tigers, Maurizio Lombardi si è trovato su un set composto da attori italiani, svedesi e inglesi. Ordinaria amministrazione per un veterano di produzioni internazionali che ha recitato nelle serie Il nome della rosa, I Medici e The Young Pope: "Mi sono trovato a mio agio perché mi capita spesso. Ormai il mercato è totalmente aperto, quindi dire 'Sono un attore solo italiano' è un errore di termini. Ci sono ottimi attori italiani protagonisti di serie su Netflix, Amazon e Sky che hanno un respiro internazionale e questo è molto importante. I nostri grandi attori di una volta si rifiutavano di andare a lavorare negli Stati Uniti o in Inghilterra perché a Roma si stava bene, il cinema era all'apice. Ma oggi, col mercato così aperto precludersi una strada del genere non mi sembra una scelta intelligente soprattutto perché queste grandi produzioni internazionali ti insegnano tanto, hanno un approccio molto pratico e diretto col lavoro dell'attore".
Nonostante la dimensione cosmopolita a cui lo ha spinto il suo lavoro, Maurizio Lombardi non trova le produzioni italiane qualitativamente inferiori a quelle internazionali, come spiega: "A Roma e in Italia la tradizione cinematografica è di altissimo livello. Con la riapertura effettiva di Cinecittà abbiamo le strutture più importanti in Europa, le crew italiane sono di altissimo profilo. La differenza più marcata è nelle manie, chiamiamole così, delle varie produzioni. Ogni paese ha approcci contrattuali e nella gestione del set diversi da quello italiano".
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Nella bolla del regista
Lo scorso anno Tigers è stato presentato alla Mostra del Cinema di Roma. Ad accompagnare il film c'era anche il vero Martin Bengtsson, presenza costante sul set come ricorda Maurizio Lombardi: "Martin ci ha affiancato durante le riprese, ci teneva molto a essere su set. Ci ha raccontato la sua storia, oggi fa lo scrittore e il drammaturgo in Scandinavia, è un personaggio fantastico". Lombardi dà merito ai metodi del regista e sceneggiatore di Tigers, Ronnie Sandahl, per la tensione e l'emotività che sprigionano nelle sue scene con la versione fictional di Martin, interpretata dal giovane Erik Enge: "Ronnie ha una sensibilità molto accentuata. Diceva poche cose, ma le diceva con grande esattezza e prima di dare il ciak riusciva a creare una situazione di calma e silenzio in cui la tensione tra i due personaggi affiora più facilmente. Quando sono messo in queste condizioni, riesco a sintonizzarmi più agevolmente con la situazione e le intenzioni dell'autore. I registi che riescono a creare questa bolla, però, sono rari".
I metodi pacati di Ronnie Sandahl esulano dalle esperienze precedenti di Maurizio Lombardi con Paolo Sorrentino, che lo ha diretto in The Young Pope e The New Pope, e col vulcanico Roan Johnson, per cui sta girando la serie Amazon Le avventure di Carlo Monterossi: "La scuola napoletana versus la scuola Pisana. Paolo, come Roan, è autore di se stesso. Hanno due approcci completamente diversi. Roan sa essere molto coinvolgente, è molto vivace e confusionario. Avvolge il set della sua meccanica dell'amore. Paolo aveva alle spalle una produzione enorme da gestire, si parla di HBO. E poi come carattere è più taciturno e riflessivo, ma entrambi danno indicazioni molto precise e importanti".
Oltre a sfruttare al meglio le indicazioni di regia, Maurizio Lombardi ha preparato il personaggio di Galli anche attraverso le ricerche personali: "Ho chiamato personalmente allenatori e direttori sportivi di alcune società per capire a grandi linee quali sono i compiti del direttore sportivo. E poi mi sono visto delle interviste di allenatori e dirigenti su YouTube". Ma quale è il rapporto di Lombardi col calcio lontano dal set? "Essendo fiorentino, sono un tifoso della Fiorentina, ma non sono sfegatato come mio padre. Quando vince sono felice soprattutto per lui. Invece sono molto tifoso dell'Italia. Ecco, quando gioca la nazionale mi vengono le palpitazioni".
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