Il tempo per le lacrime da versare non è un lusso concesso a tutti. Un privilegio per nessuno nel mondo al collasso di The Walking Dead. Così, subito dopo aver detto addio al lungimirante Carl, Rick e Michonne sono costretti a impugnare subito pistole, asce e spade per farsi strada lungo i detriti di quel sogno, quel miraggio, quell'utopia fallita di nome Alexandria. Però, questo decimo episodio dell'ottava stagione, intitolato Hai già perso, si apre con un'immagine assai significativa. Rick appende la sua pistola sulla croce della tomba di suo figlio, quasi a volerne sposare la causa postuma e il consiglio "pacifista", salvo poi impugnarla di nuovo con decisione, con quell'atteggiamento da cowboy post-apocalittico di cui sembra ormai più vittima che padrone. Il titolo dell'episodio viene quasi sussurrato con voce beffarda nelle orecchie dell'ex vice-sceriffo, per scalfirne le certezze ormai vacillanti e destabilizzarne lo spirito troppo battagliero e obnubilato dalla rabbia. Peccato che The Walking Dead, in onda su Fox a 24 ore dalla messa in onda negli States, giri attorno al nucleo drammatico della vicenda tergiversando troppo a lungo, e portandosi dietro problemi ormai ricorrenti da almeno un paio di stagioni.
Su tutti la difficoltà di gestire al meglio la coralità della narrazione (ormai la sorte di molti personaggi è avvolta nel totale disinteresse) e le scene di tensione. Basti pensare ad almeno due sequenze di questa puntata in cui Rick e Michonne sembrano quasi volersi mettere nei guai da soli, sfogando su una marea di infetti (ormai semplice sfondo dell'azione e non più reale minaccia) tutta la loro frustrazione. Una scelta che priva lo spettatore di empatia e di trasporto, creando invece totale distacco (se non amaro sarcasmo) davanti allo schermo. Per fortuna, a reggere la baracca, ci pensa sempre un signore ghignante, vestito in pelle, innamorato della sua lignea Lucille.
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Coro stonato
Partiamo dai problemi. E non sono pochi. La struttura segmentata di Hai già perso è resa attraverso una fastidiosa ed elementare suddivisione in capitoli con tanto di cartelli indicanti il nome dei personaggi a cui sono dedicati. Una trovata didascalica e piuttosto ingenua (o sarebbe il caso di dire rozza?) per una serie tv del calibro di The Walking Dead, ma soprattutto una visione d'insieme assai zoppicante. Se il capitolo rivolto a Michonne non è poi così rilevante e quello su Enid ci conferma il totale distacco dal suo destino (ci è mai importato davvero di lei?), il frammento dedicato a Jadis tenta di legarsi con coerenza all'avventura di Rick e Michonne, ma si rivela solo un pretesto per inserire qualche sequenza particolarmente splatter con gli erranti e tentare di dare un po' di spessore umano (attraverso la sua vocazione artistica) ad un personaggio mai davvero uscito dal suo ruolo di semplice espediente narrativo. Infatti la comunità degli Scavengers, ovvero il gruppo che abita tra i rottami di una discarica, è spesso utilizzata dagli sceneggiatori come causa scatenate per patti, ricatti e baratti, ago della bilancia per l'eterno scontro tra Rick e Negan. Anche questo episodio non fa eccezione, ed è proprio tra le pieghe (e tra le piaghe) dei due leader che la serie ritrova finalmente un po' di mordente.
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Due manifesti ad Atlanta, Virginia
Sottomettere o ribellarsi? Dittatura o rivoluzione? I dilemmi morali e i modelli politici di cui Negan e Rick si fanno portatori sono tra gli aspetti più interessanti di una serie fortemente votata ad una visione antropologica e sociale, troppo spesso messa in disparte nonostante le grandi potenzialità. Da una parte abbiamo l'indomito Rick Grimes, ormai incapace di sposare qualsiasi forma di compromesso. Chiunque si anteponga a lui, chiunque si metta sulla sua strada (sua e della sua comunità) merita la morte. Dall'altra abbiamo, invece, un abile tessitore di compromessi di accordi, un maestro dell'arte dialettica che in maniera melliflua impone se stesso attraverso la minaccia e uccisioni "calcolate", utili, mai banali e fini a se stesse. In questo senso Negan si impone come un leader molto più raffinato e sagace di un Rick ormai monodimensionale nella sua ira funesta.
Il che non risparmia il capo dei Salvatori da un inedito dissidio intestino, causato da un Simon restio ad ascoltare gli ordini del suo capo. Resta forte l'eco della morte di Carl, il suo monito rivolto ad un padre da "educare" al perdono e alla diplomazia, e soprattutto le sue lettere che certamente ci verranno rivelate nei prossimi episodi (quella scritta per Negan non può non incuriosire). Rimane, come accennato nella recensione della scorsa settimana, l'amaro in bocca per un complesso rapporto tra il figlio di Rick e Negan, pieno di una strana stima reciproca, ma ormai impossibile da sviluppare. Inedito, poi, lo sguardo compassionevole e sinceramente provato di un Jeffrey Dean Morgan che dà al suo personaggio nuove luci e nuove sfumature, ma fermo nel demolire con piacere sadico un uomo fallito e un padre che si trascina come errante tra gli erranti.
Movieplayer.it
2.5/5