Dopo da Avengers: Endgame è cambiato tutto. I Marvel Studios, che nel giro di dieci anni hanno riscritto la narrativa cinematografica declinandola ad una serialità che appare infinita (e molto remunerativa), da quell'atteso doppio appuntamento annuale che segnò la Fase 1, è passata a tre titoli annui, per prometterne ben quattro dal 2023 quando inizierà la Fase 5. Praticamente, un film a quadrimestre. Se consideriamo che parallelamente ai film la Marvel si è naturalmente espansa sul piccolo schermo, con ben cinque show originali lanciati nel 2021 (li trovate su Disney+), e con altre cinque serie in arrivo nel 2023 (tra cui la seconda stagione di Loki), capiamo subito che l'esclusività della Fase 1 (esclusività, quindi stupore) ha lasciato il passo ad una normalità (quindi certezza) che, comunque, vuole (e deve) essere all'insegna della novità. Allora ecco che sono stati introdotti nuovi personaggi, e gli eroi con l'armatura ora indossano una giacca di jeans (America Chavez) o un tailleur da ufficio. Come nel casto di Jennifer Walters alias She-Hulk, che nell'omonima serie creata da Jessica Gao fa l'avvocato ancora prima che la supereroina. Insomma, l'emblema della normalità prestata all'estro imprevedibile del Marvel Cinematic Universe. Dunque, se di normalità si tratta (e si tratterà), è arrivato il momento di rivalutare il personaggio più (a)normale dell'intera saga. Chi? Ovvio: Frank Castle alias The Punisher, splendidamente interpretato da Jon Bernthal nelle due (sottovalutate) serie stand-alone e nella seconda stagione di Daredevil, show targati Netflix e ora approdati su Disney+.
MCU, la normalità come superpotere
Un personaggio complesso, profondo, certamente controverso. Ma anche marcatamente umano e inaspettatamente vulnerabile. Le nuove Fasi dell'MCU sembrano fatte per lui, e quindi il rumor lanciato da Rosario Dawson (che vorrebbe Jon Bernthal in procinto di firmare un nuovo contratto) poi però prontamente smentito dalla stessa attrice, cade al momento giusto. Niente di certo, quindi, ma la sensazione è che The Punisher potrebbe (speriamo) davvero tornare protagonista, in scia agli altri grandi ritorni, come quelli di Daredevil e Kingpin. Il punto è che il personaggio di Frank Castle ha ancora molto da dire, e si inserirebbe in modo alquanto perfetto nel (nuovo) racconto dei Marvel Studios. Frank, segnato da una terribile tragedia, è l'emblema dell'uomo diviso a metà, personaggio borderline che insegue una vendetta tanto rabbiosa quanto effimera. Anti-eroe per eccellenza, spesso tacciato di essere ultra-violento e dedito alle armi da fuoco, Frank è stato rivisto in modo eccellente da Steve Lightfoot nell'ex serie Netflix, che ha - appunto - spinto l'acceleratore sul fattore "normalità": nessun potere speciale, bensì muscoli, intelligenza, perseveranza e (in)sana follia. E c'è di più, Frank Castle, nella sua lunga storia editoriale, tra il 2013 e il 2014 ha fatto parte della "restaurazione" Marvel NOW! diventando protagonista della testata dedicata ai Thunderbolts. Gli stessi Thunderbolts che chiuderanno al cinema (luglio 2024) la Fase 5. Il tempo sembra maturo per Frank Castle, e l'umanizzazione narrativa degli uomini e delle donne straordinarie potrebbe sancirne (speriamo) la sua definitiva consacrazione.
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Il talento di Jon Bernthal e la rabbia (umana) di un personaggio unico
Già perché oltre i quattro supereroi introdotti da Netflix (Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist) e successivamente approdati su Disney+, Frank Castle è il character meno ricordato. Un peccato, dato che le due stagioni sono pervase da un'aurea cruda, estrema e violenta, dando allo show una caratteristica ben definita. In linea con il background originale di Castle, apparso per la prima volta nel 1974, su The Amazing Spider-Man #129, e creato da Gerry Conway, Ross Andru e John Romita Sr.. Essenzialmente, le due stagioni di The Punisher si concentrano sull'inarrestabile tormento di Frank - ex militare pluridecorato della U.S. Marine Corps - che, dopo aver visto uccidere la propria famiglia, si mette sulle tracce dei criminali di New York, con l'intenzione di ripulire la città. Tra loro, scoprirà, c'è anche Billy Russo, amico di Frank e colpevole dell'omicidio di sua moglie e sua figlia. Il bello della serie, e che potrebbe in futuro fare la differenza, è l'incredibile enfatizzazione che viene fatta attorno ai demoni di Frank Castle, rendendolo - al netto di alcune incrinature morali, comunque opinabili - un personaggio con cui è facile empatizzare, scendendo a patti con la sua esplosiva e violenta rabbia dalle sfumature, ancora una volta, umane. E poi perché Jon Bernthal ha fatto un lavoro fisico e mentale semplicemente pazzesco sul Punitore del Queens, tanto che - intuizione folgorante - non ha quasi mai bisogno di esibire il (discusso) teschio bianco (un totenkopf, ridisegnato), emblema del personaggio.
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La sete di vendetta e una società al collasso
Ecco, perché non possiamo parlare di Frank Castle alias The Punisher senza soffermarsi sulle diverse sfumature che gli sono state affibbiate nel corso degli anni. Prima di tutto, Castle è un guerriero, cerca la guerra ed è mosso da obbiettivi personali prima che comuni. Un male? No, anche Achille, nell'Iliade, lo faceva, e non è era meno valoroso di Ettore. Nelle serie tv questo è stato (a ragion veduta) in parte smussato, ma è innegabile quanto Castle ragioni come un soldato. In fondo è la sua vita, la sua storia editoriale, che lo ha visto nascere in quegli Anni Settanta in cui i giustizieri imperversavano al cinema e nella letteratura, mentre i crimini urbani erano al massimo e la fiducia nella giustizia e nelle istituzioni era finita nel baratro. Una poetica che si scontrava ferocemente con gli ideali pacifisti, liberali e democratici, rendendo i punitori delle figure da condannare o da prendere come (malsani) esempi. Per anni, la sua ira e la sua sete di vendetta sono stati per lui una sorta di condanna, e la linea editoriale lo ha visto al centro di un'altalena narrativa che è passata dal rinnegarlo fino al resuscitarlo sotto forma di angelo nero (sigh!), per poi rilanciarlo mantenendo vivi i tratti peculiari. Sta di fatto che il Punitore Castle è sempre stato seguito o anticipato da una polemica: i modi brutali, lo smodato utilizzo di armi da fuoco, l'irregolarità, la giustizia al limite, un'iconografia oscura. Tutto, riassumibile nel suo inconfondibile teschio bianco.
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Il teschio bianco e le strumentalizzazioni
Un logo, un'icona, un tratto cult che è stato travisato finendo per essere metafora di una società e di una politica malsana. Il cecchino Chris Kyle, nella sua biografia, raccontò che il Punitore era per lui un mito, tanto che il simbolo finì sulla sua uniforme. Lo stesso simbolo sfoggiato dall'esercito britannico e australiano. Comprensibilmente c'è un assonanza tra i soldati e Frank Castle ma, come ricordato da Gerry Conway in un'intervista, "Non è stato colto il senso del personaggio, e il Punitore non deve essere un esempio per i militari". Né per i militari, né per i poliziotti, che pian piano fecero proprio il teschio bianco tanto da formare gruppi illegali chiamati I Punitori. Il caso esplose nel 2013, quando diversi dipartimenti della polizia USA diedero il via al movimento Blue Lives Matter, in netta contrapposizione al Black Live Matter, apponendo il logo sulle divise e sulle volanti. "Il Punitore è la metafora del collasso della società", dichiarò Conway, "E Frank resta comunque un criminale". Per provare a spezzare il connubio e la strumentalizzazione, nel 2019 Frank Castle affrontò il parallelo sul numero 13 della collana The Punisher, quando spiegò ad alcuni agenti che tra loro non c'era nessuna similitudine. La situazione poi è tracollata nel 2017: un militante di estrema destra alt-right sfoggiò il logo durante la manifestazione Unite the Right di Charlottesville, organizzata da suprematisti bianchi. Ormai il logo del Punitore era diventato un fattore politico, e dunque ecco arrivare il punto di non ritorno: i complottisti di QAnon fecero proprio il teschio, sfoderandolo su numerose bandiere apparse durante l'assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021.
Il nuovo logo e la possibilità dei Marvel Studios
Le immagini (i simboli, soprattutto), per grande colpa dei social network, possono essere totalmente sradicate dal contesto originale, e questo ha portato la Marvel Entertainment ha rivedere l'iconico logo in una nuova serie lanciata nel marzo 2022 e realizzata da Jason Aaron, Jesus Saiz, Paul Azaceta e Dave Stewart. Il teschio, pur rimanendo bianco, ha dei tratti diversi dal precedente e si avvicina ad una rappresentazione fantasy, simile ad Oni, ossia un demone giapponese. Altra novità, un parziale abbandono delle armi da fuoco, sostituite da armi bianche. Pur essendo l'inizio di un nuovo corso, i fan di Frank Castle sembrano aver apprezzato il (forzato?) cambiamento, e questo potrebbe essere un ulteriore gancio da parte di Kevin Feige per reintegrare Il Punitore nel Marvel Cinematic Universe. In un momento storico e narrativo in cui il confine tra eroe e uomo si è ormai assottigliato (anzi, annullato), Frank Castle appare come una figura di rottura che ha dovuto lottare contro se stesso per liberarsi da un assurdo e fuorviante retaggio. Arrabbiato con il mondo, anticonvenzionale e voce unica di una società in crisi, Il Punitore si presterebbe per essere l'eccezione che conferma le regole dell'MCU. In più, sarebbe la sua personale seconda occasione. Quella che farebbe la differenza tra il giusto e lo sbagliato.