Recensione The Predator: ammazzare la nostalgia, rivoluzionare il mito

La recensione di The Predator: scanzonato, gradasso e abile nell'intrattenere, il sequel di Shane Black si aggancia al passato e pone solide basi per il futuro.

The Predator Scena
The Predator: una scena del film

Siamo nel 1987. Tempo di eroi duri e puri, pronti a essere ridimensionati. Una giungla che sembra un labirinto senza uscita, budella, puzza di morte. Un gruppo di forzuti soldati viene decimato poco per volta tra spari nel vuoto e cadaveri penzolanti. Tutto merito di una creatura aliena inarrestabile e crudele ma dotata di un codice morale tutto suo, perché ama combattere ad armi pari. Se c'è una cosa che abbiamo imparato lì dentro, in quella mattanza che porta il nome di Predator, è la sottile differenza tra un predatore e un cacciatore. Il primo uccide per necessità, dando voce al suo naturale istinto di sopravvivenza. Il secondo no. Il secondo ammazza per il puro piacere di farlo. Ecco, stando a questa definizione in cui i confini tra alieno e umano si fanno labili, questo The Predator tradisce il suo titolo perché è un cacciatore in tutto e per tutto. Il film di Shane Black è divertito nella sua tempesta di citazioni, uccide per sport e lo fa ridefinendo le regole del gioco a cui abbiamo giocato in quel glorioso 1987.

Il quarto capitolo della saga, che vorrebbe essere l'inizio di una nuova trilogia, accarezza il passato con omaggi ammiccanti e poi lo prende a pugni perché se ne distanzia per ritmo e tono del racconto. Dimenticate la lenta tensione che serpeggiava in Predator, perché qui si va di corsa, si sparano più battute che pallottole, e del pathos claustrofobico del cult originale non vi è traccia. Le regole del gioco imposte da questo cacciatore sono cambiate. O le accetti o le accetti.

The Predator Trevante Rhodes Boyd Holbrook Olivia Munn
The Predator: Trevante Rhodes, Boyd Holbrook e Olivia Munn in una scena del film

Anarchico e irruento, Shane Black non lascia spazio a vie di mezzo: o sei con lui o sei contro di lui. Una volta capito questo, The Predator mette in bella mostra i muscoli di un intrattenimento fatto come si deve: eccessivo, scanzonato, gradasso. Con gli esseri umani più forti di ogni iconico predatore. Il 2018 è l'anno dei cacciatori.

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Dallo spazio alla terra: una trama classica

The Predator: i mostruosi alieni al centro del film
The Predator: i mostruosi alieni al centro del film

A proposito di citazioni, poteva forse mancare l'habitat che ha portato la saga nel mito? Potevano forse dimenticarsi della giungla? Certo che no. Shane Black, che nel primo Predator aveva anche recitato (morendo, ovviamente), parte proprio da una missione notturna in mezzo al verde messicano dove il valido tiratore scelto Quinn McKenna si imbatte con qualcosa di spaventoso e straniante. Si tratta di un Predator piombato dallo spazio con uno scopo ben preciso, molto lontano dalla banale voglia di uccidere chiunque e razziare qualsiasi cosa. McKenna, interpretato da un volenteroso Boyd Holbrook, si scontra con la creatura riuscendo persino a rubare parti della sua armatura, ma soprattutto entrando in contatto simbiotico con la sua tecnologia. Per conservare le prove di questo fenomeno alieno, il soldato invia questi assurdi oggetti a casa sua, dove suo figlio attiverà involontariamente un dispositivo. Forse quella del buon Quinn non è stata una buona idea, perché da qui parte una caccia all'uomo spietata e selvaggia che coinvolgerà anche la sua famiglia.

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Ironia, arma letale: un sequel spaccone

The Predator: Thomas Jane, Alfie Allen e il resto del cast
The Predator: Thomas Jane, Alfie Allen e il resto del cast

Ha così inizio un film che si allontana dal primo capitolo anche nelle atmosfere e nei contesti, perché The Predator dà il via a una guerriglia urbana notturna dove ritroviamo, però, un gruppo di soldati. Se nel film di John McTiernan si trattava di un manipolo di guerriglieri valorosi, qui siamo davanti a un'allegra combriccola di reietti: violenti, autolesionisti, schizzati, fobici, traumatizzati. Black sta dalla parte degli emarginati, adulti o bambini che siano. Ed è proprio qui che si vede la mano autoriale di un Black da sempre interessato a ridimensionare il machismo e a ironizzare sugli stereotipi che hanno reso mitico (e mitizzato) l'eroismo tipico degli anni Ottanta. Quindi, ecco padri falliti, persone inette, uomini che hanno persino deciso di farla finita (ricordate gli istinti suicidi di Mel Gibson in Arma letale?). Un gruppo di amabili sfigati che si fa voler bene, perché Black scrive per loro battute esilaranti, spesso volutamente maschiliste (e goffe) anche in presenza di una scienziata risoluta che sa tener testa a questo gruppo di omaccioni sguaiati. Nonostante qualche calo di ritmo nella seconda parte e qualche caduta di stile un po' troppo esagerata, The Predator è scanzonato, smargiasso, pieno zeppo di uno spirito cameratesco che ricorda vagamente Con Air e gli screzi tra antieroi di serie b visti anche in Suicide Squad.

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Ridefinire l'intrattenimento

Predator: una nuova immagine della creatura aliena
Predator: una nuova immagine della creatura aliena

Il più grande merito di questo film, assai coraggioso nel tradire la natura ansiogena e paziente del suo illustre predecessore, è nell'abilità con cui Black fa convivere l'action movie anni Ottanta con quello moderno, nella misura con cui l'azione fisica si concilia con sequenze molto verbose. Però, come accadde trent'anni fa in Predator, un messaggio allegorico c'è. Se nel primo film il mitico Maggiore Dutch Schaefer di Arnold Schwarzenegger era costretto a denudarsi di ogni arma per regredire a uno scontro tribale con il mostro, qui McKenna deve fare i conti con l'inevitabile presenza della tecnologia che a letteralmente ingoiato. Per l'uomo postmoderno non è più possibile fare a meno del supporto tecnologico, rinunciare a dispositivi che ne aumentano le potenzialità. Attraverso questa riflessione soffocata dal disimpegno, la sceneggiatura di The Predator si aggancia al passato della saga e pone solide basi per il suo futuro. E ci riesce con semplicità, con idee basilari ma efficaci. D'altronde i cacciatori non sono persone complicate. Bastano un fucile (ovvero un film) e una preda (ovvero il pubblico) per renderli felici.

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3.0/5