The Northman, la recensione: c’è del marcio nella vendetta

La recensione di The Northman: un ispirato Robert Eggers porta sul grande schermo un'antica leggenda norrena con un'opera viscerale, potente e fiera della sua natura.

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The Northman: Ethan Hawke in una scena

Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjolnir. Una filastrocca che nasce dalla morte e morte promette. Tre chiodi fissi nelle tempie. Tre pensieri martellanti come la sete di vendetta. Scriveremo la nostra recensione di The Northman con queste tre coordinate ben stampate in testa. Le stesse con cui siamo usciti dalla sala in un bagno di sudore. Provati da una visione potente e viscerale. Perché il nuovo film di Robert Eggers parla di vendetta, ma in realtà racconta dell'ossessione più nera. Quella che acceca, non sazia mai e cresce a dismisura, come una valanga pronta a travolgere tutto e tutti. Anche il bello e il buono che la vita ha da offrire. The Northman assomiglia davvero a una lama che si addentra sempre più lentamente dentro una ferita aperta. Inesorabile caduta negli inferi, la nuova fatica di Robert Eggers rievoca un antico mito norreno e affonda le sue radici in archetipi antichi quanto l'uomo.

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The Northman: Alexander Skarsgård e Anya Taylor-Joy in una scena

Se la trama del film è essenziale, riassumibile un poche parole, l'esperienza visiva regalata da The Northman è difficile da raccontare, perché va vissuta in sala. Come? Soffrendo assieme al suo protagonista, calandosi anima e corpo dentro un'opera sporca di fango, sangue e budella.

Maledetta tradizione

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The Northman: Oscar Novak in una scena

Freddi boschi d'Islanda. X secolo. Un re viene ammazzato a tradimento. L'usurpatore, non contento, rapisce la regina appena diventata vedova. Suo figlio assiste alla scena e da quel preciso istante la sua mente viene invasa da un veleno chiamato vendetta. Una vendetta che all'inizio è solo una frase ripetuta da un bambino traumatizzato, ma col tempo invaderà l'anima e il corpo di Amleth, uomo sempre più rabbioso e gonfio di rancore come i suoi muscoli. Se il nome del protagonista e le premesse della storia vi sembrano familiari, è tutto normale. Però sia chiaro: non è stato Robert Eggers a saccheggiare l'Amleto di Shakespeare, ma è stato il Bardo a ispirarsi a questa antica storia risalente un antico racconto orale islandese risalente al X secolo. Una storia che il regista statunitense ha studiato e rievocato con cura maniacale, rispolverando usi e costumi vichinghi con lo stesso amore per il folklore popolare intravisto nel suo folgorante esordio avvenuto con The Witch. Se nell'horror rurale del 2015 Eggers ci aveva messo in guardia contro le derive estreme della superstizione, in The Northman il grande nemico da combattere è la tradizione.

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The Northman: Alexander Skarsgård in battaglia

Quella ottusa, gretta, rigida, che non ammette cambiamenti, che soffoca ogni idea di futuro con il peso di un passato da proteggere e tramandare a oltranza. Schiacciato da questi ideali, il rabbioso Amleth di un Alexander Skarsgård animalesco dall'inizio alla fine si aggira per il film come un possente Atlante con un enorme fardello sulle spalle. Dentro quel macigno non c'è solo la sete di vendetta, ma anche il senso di dovere che condanna gli uomini a seguire un destino scelto da altri. Il tutto raccontato con una brutalità disarmante. Tutto calato in un bagno di sangue e di urla graffiate che scuote, disturba e fa soffrire il pubblico al fianco di un Amleth sempre più schiacciato dalle maledette tradizioni.

Amleth: la leggenda scandinava che ha ispirato The Northman

Sangue, viscere e lame

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The Northman: Alexander Skarsgård con una testa di lupo come copricapo tribale

Sono bastati due film a trasformare Robert Eggers in un regista di culto. Un autore amatissimo da un pubblico cinefilo, ammaliato dalle sue opere affascinanti, allegoriche nel contenuto e raffinate nella forma. Dopo quella perla di The Witch, il disturbante The Lighthouse ha messo in mostra un talento raro, capace di rievocare il passato con uno sguardo nuovo, fresco, connesso al reale. Se avete amato quei film, sappiate che questo The Northman è senza dubbio il film più pop e commerciale di Robert Eggers. Il che non significa che The Northman sia un film pop e commerciale. Perché sì, è il suo lavoro più accessibile, più leggibile, meno ostico e criptico nonostante la sua impostazione a tratti teatrale e sempre enfatica. Forse è il film che si specchia meno nella sua cura estetica, ma anche in questa gelida Islanda insanguinata le immagini hanno una forza primitiva incredibile. Una potenza antica perché funziona anche da muto, con tante sequenze che dicono tutto senza dire niente. Alternando sequenze visionarie memorabili e momenti di crudo realismo, The Northman miscela amarezza e sprazzi di speranza in una liturgia lunga 140 minuti.

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The Northman: Anya Taylor-Joy in una scena

Strano che ogni tanto (come succedeva anche in The Lighthouse) Eggers si fidi poco della forza delle sue immagini e diventi didascalico con dialoghi che sottolineano cose già lampanti. Poco importa se poco prima del finale il film abbia un passaggio troppo frettoloso. The Northman è squilibrato è vero, ma è anche eccessivo nell'accezione migliore del termine, strabordante, viscerale, vivo come un cuore che pulsa anche quando è strappato dal petto. Un cuore che, sotto strati tanti stradi di carne e ferro, racconta anche quanto l'amore sappia salvare le persone. Come? Concependo un futuro più forte di qualsiasi mitologia. Che scorrano litri di idromele in onore di un grande film. Che Odino ci apra gli occhi per ricordarci quando è bello sussultare, schifarci e soffrire per qualcosa che scorre libero e fiero sullo schermo più grande possibile.

Conclusioni

Visionario, potente e viscerale. Nella nostra recensione di The Northman abbiamo definito così il nuovo film di un ispirato Rober Eggers. Una storia di vendetta sporca di fango e di sangue, che rievoca un antico mito islandese e ci cala anima e corpo dentro un’esperienza visiva eccessiva e indimenticabile.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • La cura maniacale della ricostruzione storica, con folklore, usi e costumi vichinghi rievocati a meraviglia.
  • L'esperienza visiva è memorabile e potentisisma.
  • La brutalità sempre funzionale alla storia.

Cosa non va

  • Peccato per alcuni momenti troppo didascalici.