La Figlia Oscura, la recensione: il gioco delle madri-bambine smarrite

La recensione de La Figlia Oscura, il film drammatico tratto da Elena Ferrante presentato in concorso al Festival di Venezia 2021, esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal con protagonista Olivia Colman.

Come avremo modo di approfondire in questa nostra recensione de La Figlia Oscura, il film di Maggie Gyllenhaal presentato in Concorso a Venezia 78 ha due cuori pulsanti al suo interno, quello di una figlia perduta e anche di una madre smarrita. Tratto dal romanzo La figlia oscura di Elena Ferrante, The Lost Daughter adatta con le dovute modifiche il racconto originale, sacrificandone l' "italianità" presente nell'opera scritta, ma sapendo coglierne il cuore. Si tratta di un film che punta sul calore e su una dimensione interiore, grazie al talento delle due protagoniste illuminate da una mano sapiente in cabina di regia. Fiero della sua dimensione piccola e perfettamente inserito in un cinema di stampo indipendente, a The Lost Daughter mancherebbe solo una messa a fuoco migliore in certi passaggi.

Madri e figlie

Lost Daughter Dakota Johnson
La figlia oscura: Dakota johnson in una scena

Leda (Olivia Colman) è una professoressa specializzata in letteratura italiana che decide di trascorrere il periodo di vacanza in una località balneare greca. Una vacanza in solitaria, senza le due figlie ormai cresciute, alla ricerca di un po' di relax e una dimensione più tranquilla nella quale immergersi nei propri studi. In spiaggia la sua attenzione, giorno dopo giorno, si pone su una famiglia che occupa gli ombrelloni vicini, numerosa e chiassosa. In particolar modo non riesce a distogliere lo sguardo da una giovane madre di nome Nina e dalla sua piccola bambina Elena, indivisibile dalla sua bambola preferita. Questa coppia spinge Leda a ritrovare alcune sensazioni che credeva sopite e che riguardano la propria famiglia, il suo rapporto difficoltoso con le figlie e il suo passato composto da affetti e, in misura maggiore, di fughe dal proprio ruolo di madre. Senza darsi una spiegazione concreta, Leda ruberà la bambola alla bambina e la terrà nel suo appartamento, nonostante sia consapevole del malessere e della mancanza di tranquillità colpisce di conseguenza i vicini d'ombrellone. Leda ripercorrerà le fasi più importanti della sua vita, dal suo sentirsi madre delle figlie piccole al bisogno di fuggire dalla gabbia domestica per concentrarsi sugli studi, la carriera e ricercare quella libertà (anche sessuale) a cui egoisticamente guardava.

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Bambole inanimate

La Figlia Oscura è una storia che abbraccia il punto di vista della singola protagonista, facendoci partecipe del suo turbinio interiore ed emotivo, alternando passato e presente alla ricerca di un dialogo tra memoria e futuro. Esiste un duplice rapporto all'interno del film, separato e complementare. Il primo è quello tra le madri e le figlie, tra giovinezza ed età adulta. A dispetto di quanto si possa credere, in questo racconto sono le figlie a influenzare il comportamento della madre e non il contrario. La natura infantile, più che un passaggio, sembra essere in misura maggiore la descrizione di un tempo idilliaco che fa rima con libertà. Più che volontà di crescere, i personaggi di The Lost Daughter sembrano voler rimanere eterni fanciulli. Quando invecchiati, vedono il tempo passato con eccessiva nostalgia e malinconia, non tanto per un discorso di gioventù trascorsa, ma più per il sentimento da persona libera richiamato alla memoria (e non è un caso che sia proprio una breve scena musicale a far riscoprire alla protagonista quella gioia che per tutta la durata del film è trattenuta). Diventare adulti significa rinunciare a un desiderio e a una parte di sé. Il secondo rapporto, invece, è quello tra il sentirsi vivi e l'essere inanimati. Le giovani madri (sia Leda, nelle sequenze ambientate nel passato, che Nina, in quelle attuali) vorrebbero che le figlie siano come delle bambole, togliendo loro la fiamma della vita che le anima e che le rende a volte insostenibili, dispettose, da educare. Ma è lo stesso rapporto madre/figlia-bambola nel gioco di Elena che spinge la protagonista ad indagare più a fondo sulla personale natura materna, cercando di ritrovarla a posteriori.

Il valore delle attrici

Lost Daughter Olivia Colman
La figlia oscura: Olivia Colman in una scena

Servono due elementi per valorizzare al meglio questo tipo di storia: attrici in grado di reggere il peso emotivo e, soprattutto, mostrare il tormento e una regia capace di valorizzare i personaggi. Sono questi gli elementi vincenti del film. Olivia Colman dimostra ancora una volta il suo talento espressivo, capace di lavorare di sottrazione (il suo è un personaggio che tende a rimanere distaccato e non far trasparire le proprie emozioni all'esterno), ma risultando convincente e lasciandosi andare in qualche momento più forte. Se Dakota Johnson nel ruolo di Nina ha un ruolo più marginale e puntato sulla bellezza estetica, non possiamo non citare la vera rivelazione del film: Jessie Buckley, che interpreta una giovane Leda nelle scene ambientate nel passato, è magnetica. Capace di lavorare attraverso il volto e il corpo, la giovane attrice irlandese viene valorizzata dalla regia di Gyllenhaal, che predilige primissimi piani con la camera a mano, rimanendole quasi sempre legata e indugiando sui particolari. Una regia riuscita che ne dimostra il talento, ma che non si ripercuote nel migliore dei modi anche sulla scrittura. Tralasciando le dovute differenze di adattamento dall'opera di Elena Ferrante, non sempre vincenti (anche se ci teniamo a precisare che, essendo due linguaggi diversi, paragonarli sia di poco interesse), il film non riesce a definire e soprattutto ad approfondire i motivi che hanno causato la frattura interiore di Leda. Una grave mancanza che depotenzia sia la seconda metà del film che il finale, che non si dimostra potente nei confronti del pubblico. Si aggiungono alcuni personaggi e alcune sequenze che sembrano avere poco hanno a che fare con il fulcro della storia. Si potrebbe pensare che ci sia un po' di difficoltà nel definire opportunamente i rapporti e i legami tra i personaggi, e questo provoca un allontanamento dal punto di vista emotivo, specie nei momenti chiave. Dispiace perché il film, con il suo sguardo femminile, aveva un grosso potenziale per indagare sulla natura di una madre viva, con tutti i suoi difetti. Invece, questa figura così interessante, man mano che procede il film, finisce per assomigliare sempre di più a una bambola.

Conclusioni

A conclusione della nostra recensione di The Lost Daughter vogliamo premiare i temi affrontati dal film di Maggie Gyllenhaal, capace di una buona prova registica al suo esordio. Il libro di Elena Ferrante è un ottimo spunto di partenza e le due attrici protagoniste riescono a coinvolgere, ma la scrittura non riesce a scavare in profondità nel tormento interiore rimanendo sin troppo in superficie e sacrificando, specie nella seconda parte, il lato emotivo della vicenda.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • La regia di Maggie Gyllenhaal, composta da camera a mano e attenzione ai particolari, risulta adatta e ispirata.
  • Olivia Colman e Jessie Buckley portano in scena un personaggio interessante dimostrando il loro talento.
  • Le tematiche affrontate che riguardano la maternità e le scelte compiute nella vita.

Cosa non va

  • La scrittura sembra non riuscire a scavare davvero il tormento interiore della protagonista, sacrificando - specie nella seconda parte - l’apparato emotivo.
  • Alcune sequenze e alcuni personaggi appaiono come aggiunte non necessarie che allontanano il coinvolgimento.