The Eternal Daughter, la recensione: il duplice mistero del ricordo

La nostra recensione di The Eternal Daughter da Venezia79: Tilda Swinton si sdoppia in questo labirinto del ricordo vestito di ghost-story.

The Eternal Daughter 1
The Eternal Daughter: Tilda Swinton in un'immagine

La vita tra le mura di un albergo è un'esistenza a parte. È un tempo scandito da un ritmo circolare, una coazione a ripetere dei medesimi gesti, o degli stessi movimenti; è un ritornello fisico quasi rituale, imprigionato in una reiterazione continua dove il mondo reale, che continua imperturbabile a scorrere, si estranea, si distacca, vivendo in una dimensione spazio-temporale indipendente e a volte slegata da quella quotidiana.

Ma un albergo è anche contenitore silenzioso e discreto di ricordi e pensieri, litigi e confessioni. Stanza dopo stanza, questa struttura si fa testimone di vite che passano, e memorie che rimangono. Come sottolineeremo in questa recensione di The Eternal Daughter, non poteva pertanto che essere una struttura alberghiera, misteriosa e perturbante, a fare da sfondo al recupero dei ricordi in questo terzo capitolo dell'odissea della memoria firmato Joanna Hogg e interpretato ancora una volta, dopo il dittico di Souvenir, da Tilda Swinton. L'attrice non si limita a prestare corpo e anima all'eterna figlia del titolo, ma accetta la doppia sfida di rendere tangibile il cuore e il calore sprigionato dal ruolo della madre, in un dialogo generazionale segnato da un'eredità memoriale a tratti sofferente e sentita, proprio come sofferente e segnata dai tempi che scorrono sono le stanze di questo albergo gotico, desolante, sibillino, inafferrabile.

THE ETERNAL DAUGHTER: LA TRAMA

In una notte d'inverno, Rosalind e la figlia Julie arrivano a un hotel che fu antica dimora della famiglia. La figlia, regista impegnata, prepara il suo prossimo film, ispirandosi a quella figura materna che si rivela al contempo ostacolo principale alla sua realizzazione. Fuori intanto, nel bosco che stringe d'assedio la villa, la nebbia sale e qualcosa ritorna.

RESIDENZA DEI RICORDI

"E questo che fanno le stanze. Conservano i ricordi". E l'albergo in cui risiedono Julie e la madre Rosalind è davvero una culla dei ricordi. Ogni stanza si fa spugna intrisa di memorie pronte a riaffiorare. Ma Rosalind non ha paura di affrontare il buio di questo hotel; la donna non si sente a disagio dagli spifferi che le toccano il viso, non si lascia inquietare dai rumori delle finestre che sbattono di notte. Lei stessa è parte di quel luogo; lo dimostrano gli abiti che indossa, sempre in perfetta armonia con le tappezzerie che la circondano. Un abbraccio cromatico che la lega allo spirito di quel luogo e che l'anziana tenta di tradurre in parole, ripescando aneddoti e fatti più o meno dolorosi da lasciare in eredità alla propria figlia, nella speranza di costruire con quest'ultima un ponte diretto tra le due anime.

IL RECUPERO DELLA MEMORIA MATERNA

The Eternal Daughter
The Eternal Daughter: Tilda Swinton in una scena

Già, perché dietro le mentite spoglie di un'opera dai tratti gotico-horror, si nasconde un racconto di affezione e di recupero dei legami familiari. Un avvicinamento compiuto con fare solo apparentemente semplice, ostacolato da un montaggio che separa le due donne da campi e controcampi, impedendo a entrambe di condividere, forse per l'ultima volta, lo spazio di un'inquadratura. Una decisione, questa, sottoscritta anche dalla Hogg, che costruisce la propria ripresa come un ritratto di figure singole, immortalate perfettamente al centro della scena. Se la stessa Julie ha un rapporto diretto con gli altri, e il suo sguardo riesce a incontrare quello della madre, o della burbera receptionist, è solo per mezzo di una superficie riflettente. Specchi, finestre, ecco cosa serve a Julie per stabilire un contatto interpersonale all'interno dell'hotel. Troppo presa dalle angosce, dalle paure che la soffocano, che la inquietano togliendole il sonno, la donna crede di trovarsi al centro di un incubo, di una ghost story in fase di scrittura, senza accorgersi che quella di cui è protagonista è solo una scalata tra le segrete del proprio labirinto della mente. Il sonno della ragione genera mostri, e quello in cui è colta Julie sembra davvero il peregrinare di una donna senza sonno e piena di paure. Ma le porte toccate, il cammino acceso, sono solo fardelli simbolici di un passato da ricostruire, così da tenere vivo il fuoco del ricordo, e con esso il rapporto con la madre.

I migliori film di Tilda Swinton e i suoi grandi ruoli

TRADIRE IL GENERE CON LA FORZA DELLA MEMORIA

Con The Eternal Daughter Joanna Hogg non immerge solo i piedi nell'acqua profonda del genere, ma si getta a capofitto, affondando a piene mani nel thriller gotico, per poi tradirne ogni cliché. La regista non ha timore di accennare costantemente agli stereotipi del genere, ma anzi li suggerisce, per poi lasciarli vagare nella densità della nebbia. Il suo obiettivo è quello di disorientare lo spettatore, lasciarlo vagare tra i meandri abbandonati del pensiero e delle proprie interpretazioni personali circa ciò che sta guardando, senza appigli a cui aggrapparsi, ma solo affidandosi a fugaci indizi, o ritmi sincopati di una colonna sonora misteriosa e inquietante.

In questo gioco di tradimenti, lo stesso hotel viene mostrato come un personaggio a se stante: le folate di vento che trapassano dalle porte sono fiati pesanti di un respiro sincopato, le sue stanze sono i propri arti, il salotto il cuore pulsante. Ogni ambiente è una parte determinate di questo costrutto architettonico sempre sul punto di rivelare qualcosa di misterioso e sublimemente attrattivo. Ma ancora una volta la regista prende e tradisce le aspettative, per cambiare rotta e rendere incompleto un viso scrutato, uno spettro intravisto, un ricordo sospeso. In questa giostra di ribaltamenti, la Hogg finisce però a ritrovarsi essa stessa vittima del suo gioco di stile: desiderosa di puntare sulla portata emotiva e sentimentale dei ricordi che traspirano da ogni stanza, la regista non si accorge che oltre a lasciare sospese e volutamente non sviluppate certe strutture tematiche e narrative, depotenzia il proprio plot-twist finale con una struttura registica e di montaggio che troppo rivela allo spettatore più attento. La suspense così si raffredda, e il disvelamento dei misteri perde la propria potenza come figure nella nebbia.

DOPPIO SGUARDO

Nel film della Hogg non ci sono fantasmi o spettri alla Crimson Peak, ma strascichi mnemonici di ricordi abbandonati, impolverati, come l'ambiente che circonda le due donne protagoniste. Tilda Swintonsi fa doppia guida dantesca in questi gironi pseudo infernali del passato dei suoi personaggi. È lei il punto focale di tutta la messinscena. Tenera e accondiscendente, fragile e umana, la sua duplice performance è uno specchio speculare dell'essere figlia e madre; un legame che (soprav)vive all'ombra del ricordo e che l'attrice restituisce modellando due personalità così divergenti, eppure così simili, come identico è il loro volto, e divergente è l'aura che li separa, speculare e identico, proprio come un riflesso allo specchio di un albergo impolverato.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di The Eternal Daughter sottolineando come il nuovo film di Joanna Hogg aspira a ribaltare il genere thriller-gotico, per elevarsi a saggio sulla memoria e ripristino di legami materni ormai abbandonati, come abbandonato è l'albergo che abbraccia le protagoniste.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • La performance di Tilda Swinton.
  • Il processo del recupero della memoria.
  • L'albergo come contenitore di ricordi.
  • La fotografia densa, cinerea e nebbiosa.

Cosa non va

  • La rivelazione finale agli sguardi più attenti attraverso il puro semplice gioco di montaggio.