Tredici anni dopo il successo di Training Day, Antoine Fuqua e Denzel Washington sono tornati a lavorare insieme. Il regista e l'interprete del thriller del 2001 (che fruttò a Washington anche un Oscar) si sono ritrovati ora sul set di questo The Equalizer - Il vendicatore: ancora un thriller, anche se dal taglio diverso da quello da quello che unì i due tredici anni fa. Una pellicola che, al contrario della precedente, vede Washington nel ruolo dell'eroe, anche se problematico: un ex agente dei servizi segreti, che torna in azione per difendere una giovane prostituta dalla potente organizzazione criminale che la sfrutta.
L'ispirazione è la serie televisiva Un giustiziere a New York (ma il titolo originale, The Equalizer, è lo stesso del film), datata 1985 ma giunta in Italia negli anni '90; l'atmosfera è quella di un violento thriller d'azione, con il protagonista a vestire i panni di un giustiziere tormentato, dal passato oscuro. Il film, in uscita a fine settembre, è stato presentato stamattina in conferenza stampa da Washington e Fuqua: i due hanno incontrato a turno i giornalisti intervenuti alla conferenza, parlando del film ma anche, più in generale, del loro rapporto col cinema, della loro nuova collaborazione dopo tredici anni, e dei rispettivi progetti futuri.
Un giustiziere problematico
L'attore ha introdotto l'incontro parlando della sua tendenza a tornare a lavorare, spesso, con gli stessi registi. "E' vero", ha detto. "ho lavorato spesso più volte con lo stesso regista. Con Tony Scott ho fatto cinque film, con Spike Lee quattro, con Edward Zwick tre. Ora, sono alla seconda collaborazione con Antoine Fuqua. Mi sento a mio agio con loro, sono bravissimi registi e quindi il beneficio è reciproco." Qualcuno gli chiede se, dato il ruolo più fisico dei precedenti, ha dovuto seguire una preparazione particolare: "No", risponde sorridendo. "Io pratico la boxe da 20 anni, quindi sono abituato a questo tipo di cose. Non è stato niente di difficile". Successivamente, Washington è entrato nel dettaglio del suo personaggio: "E' un personaggio che ha i suoi problemi, come tutti noi, d'altronde. Ma ha buon cuore, e lo dimostra in quello che fa: vuole aiutare il ragazzo a perdere peso, e poi anche la ragazza, quando si rende conto della violenza che subisce. Però è problematico, e soprattutto solo. Quando trova un'amica in questa ragazza, decide di aiutarla." Un personaggio tormentato, quindi. Non privo di ossessioni, alcune delle quali sono evidenti nel film: "Quando ho letto lo script, tutti gli aspetti ossessivi-compulsivi non erano presenti nella storia: ho sviluppato io quelle caratteristiche, perché lui ha dei traumi, ha perso la moglie e si sente colpevole per questo evento. Penso che questo senso di colpa si manifesti nel suo comportamento ossessivo. Ha del caos nella mente, e così cerca di farvi ordine. Questo, però", specifica l'attore, "non ha niente a che fare con me."
La violenza, quella vera e quella cinematografica
Il discorso si è poi concentrato sulla violenza presente nel film, e sul tema centrale della vendetta. "Se ho mai provato sentimenti di vendetta verso qualcuno? Sì, certo. Il sentimento di 'pareggiare i conti' lo abbiamo tutti, fin da bambini. Io, personalmente, lo provo anche adesso. Certo, non come il mio personaggio!", ha specificato l'attore. "Questo è un film: nella realtà, non credo che gli esseri umani debbano praticare la vendetta. Credo che se ciascuno tendesse la mano verso un'altra persona, per aiutarla, non ci sarebbe bisogno di vendetta." Qualcuno sottolinea poi la varietà, e la fantasia, dei metodi di uccisione che si vedono. "Andando in giro per il negozio presente nel film", ha detto l'attore, "il regista e lo stuntman hanno avuto idee sempre più folli: metà, all'inizio, non c'erano nella sceneggiatura". Viene poi fatto notare come Washington interpreti qui un personaggio positivo, dopo il "cattivo" di Training Day. "A fare il cattivo ci si diverte di più!", ha scherzato l'attore. "Il cattivo può fare, e dire, tutto dire quello che vuole. Lì, all'inizio, c'era un finale diverso, lui non moriva; ma io ho detto che, se bisognava giustificare che il personaggio vivesse nel modo peggiore, allora doveva anche morire nel modo peggiore".
Offrire intrattenimento
Washington ha poi parlato, più in generale, del mestiere di attore, e di come lui, in particolare, lo vive: "Io voglio solo fare il mio lavoro, che è offrire intrattenimento: lo prendo sul serio, ma non prendo sul serio me stesso. Se la gente viene a vedere un mio film, io do il massimo, e spero che loro possano dimenticare i problemi che hanno per un paio d'ore. Sono ancora più stimolato a dare il massimo in quanto so che, di questi tempi, trovare i soldi per il biglietto del cinema non sempre è facile". Viene sottolineato il fatto che non si sia mai legato a un franchise in particolare, a differenza di molti suoi colleghi. "Almeno per me, ciò non è impossibile. Deciderà il pubblico se ci dev'essere un seguito, di questo come di qualsiasi altro film. Dopo il pubblico, però, sono io a dire l'ultima parola: perché un sequel, come qualsiasi film, deve avere innanzitutto una buona sceneggiatura." Gli si chiede dei suoi progetti futuri: "Il mio prossimo film sarà un western", rivela, senza fornire altri dettagli (li fornirà poi, nel prosieguo dell'incontro, lo stesso Fuqua). Sollecitato da una domanda, l'attore ha poi parlato del suo rapporto con Tony Scott, morto suicida da poco. "Era un caro amico, e un grande cineasta: mi manca molto", ha detto. "Mi piaceva molto lavorare con lui, ho un bel ricordo del tempo che abbiamo passato insieme. È triste, e tragico, il modo in cui se n'è andato".
Riferimenti e repliche
Nell'introdurre la sua porzione di conferenza, Antoine Fuqua ha parlato dei riferimenti visivi del film; e, in particolare, di come i dettagli sugli occhi del protagonista rimandino al cinema di Sergio Leone. "Quando ero piccolo, guardavo spesso i suoi film", ha detto il regista. "Mi piacevano molto, e mi piaceva il suo stile, anche se non capivo nulla di come si facessero i film. Mi piaceva il ritmo dei suoi film, e mi piaceva anche l'umorismo che avevano. Apprezzavo il fatto che, anche se il protagonista era un pistolero, faceva sempre la cosa giusta." Gli si chiede poi quali altri siano i suoi punti di riferimento cinematografici, oltre a Leone. "Io sono cresciuto guardando i film di Leone, ma anche quelli di Martin Scorsese, Sidney Lumet, alcune cose di Francis Ford Coppola; e poi classici come Nemico Pubblico, e lo Scarface originale. Amo i film in generale." Qualcuno domanda al regista se girerebbe un remake, e quale. "E' molto difficile dirlo", risponde. "Se dovessi farlo, comunque, non credo sarebbe nulla di stravagante. Forse, se proprio dovessi scegliere un titolo, opterei per Nemico pubblico. Comunque, ora mi accingo a realizzare The Magnificent Seven, che è proprio un remake: lo farò con Denzel Washington. I sette samurai è un film che mi piace, quindi ora questa chance ce l'ho. Comunque, ci sono film che amo e non mi sognerei mai di toccare: quelli di Federico Fellini, per esempio. Lui ha il suo tocco, che io non sarei mai capace di replicare. Un altro film del genere è Nuovo cinema Paradiso: quando mi sento depresso me lo riguardo, mi ci identifico molto perché da ragazzino andavo al cinema per allontanarmi dalla violenza delle strade. Sento molto forte il rapporto con quel film, ma non lo rifarei. Magari, invecchiando, potrei raccontare una storia simile: un film autobiografico su un ragazzino che fugge dalla violenza rifugiandosi in un cinema. Ma ora non è il momento".
Il lavoro sugli attori e sulle location
Gli si chiede poi del rapporto con il protagonista, e quale sia stato il contributo di quest'ultimo alla storia. "E' stato Denzel che ha chiamato me per fare il film, lui aveva già letto lo script", ha detto Fuqua. "Aveva un'idea per il personaggio, ma poi ne abbiamo parlato: il disturbo ossessivo-compulsivo l'ha aggiunto lui, e poi ha aggiunto altre piccole cose, tra cui i capelli rasati a zero e l'abbigliamento. Tanti particolari sono stati aggiunti strada facendo." Sul suo rapporto con gli attori, più in generale, e sul modo di dirigerli, il regista ha spiegato: "Mi piace parlare con gli attori, faccio molte ricerche per i personaggi, e illustro loro le mie idee: ma poi dico anche loro 'sorprendetemi, create il vostro personaggio'. Magari loro tirano fuori delle cose particolari, a cui io non avevo pensato. Mi piace lasciar liberi gli attori, stimolare la loro creatività." Qualcuno gli fa notare che, mentre Training Day era ambientato a Los Angeles (definita nel film "una giungla") qui la location è Boston. "Boston era giù nello script. Si tratta di un grande personaggio, è la città dell'istruzione, di Harvard, ma anche quella dei colletti blu e delle mafie (russa, irlandese, italiana). È una piccola città con tanti segreti, in cui è facile sparire. Durante le riprese, si stava facendo il processo a un rappresentante della mafia irlandese: ho scoperto che l'autista che mi portava sul set era un suo amico. Ricordo che una volta salutò un altro suo amico, e poi è venuto fuori che anche quest'ultimo era sotto processo. Una settimana dopo, l'hanno trovato morto ammazzato. Boston è anche questo."
I villain, dai russi alla polizia
"Il fatto che i cattivi siano esponenti della mafia russa, era un particolare che c'era già nello script", ha spiegato il regista, sollecitato da una domanda a riguardo. "D'altronde, la mafia russa esiste. È vero, ora i rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia non sono dei migliori, loro sono visti un po' come 'i' cattivi: ma che questo si ripercuota nel film è un caso. Da parte mia, non c'è stato nessun input in questo senso". Qualcuno fa notare che, oltre ai russi, anche la polizia è rappresentata in modo negativo, nel film. Le istituzioni, in generale, non ne escono sotto una luce troppo positiva. "Io, dico la verità, non amo le istituzioni", ha detto Fuqua. "Però mi piacciono i poliziotti: ovviamente, parlo di quelli che fanno il loro lavoro con onestà, non di quelli che si vedono nel film. Non mi piace chiunque abusi del suo potere, che si tratti di poliziotti o di chiunque altro. I poliziotti, specie quelli che sono in strada, hanno fatto un giuramento: quello di servire e proteggere. Spesso, invece, li si vede fare l'opposto. Per questo, appena posso, enfatizzo questo genere di comportamento; ma ci tengo a specificare che rispetto tutti quei poliziotti che fanno la cosa giusta."