Non è un'altra giornata di sole. E nemmeno una romantica serata al chiaro di luna. Parigi non ha tempo di essere luminosa, non ha voglia di essere romantica. Niente fragranti profumi di boulangerie, niente passeggiate sulla Senna, niente sogni di gloria benedetti dalla Torre Eiffel. Apriamo questa recensione di The Eddy raccontandovi quello che la nuova miniserie Netflix non è. Non è quello che può sembrare. Non è una storia di sognatori per sognatori.
Non è un serie patinata che celebra con leggerezza e romanticismo la sacralità del jazz. E, a dirla tutta, non è una serie che rispetta i tempi e le meccaniche classiche della serialità. The Eddy ha le sembianze di un curioso esperimento in cui dramma familiare e thriller metropolitano si mescolano come strumenti che non dovrebbero stare insieme eppure provano a convivere. La serie ideata da Jack Thorne assomiglia a un'orchestra alla ricerca del giusto affiatamento, e per questo chiede un po' di pazienza al suo pubblico. Sin dal giorno del suo annuncio, The Eddy è stata presentata mostrando con vanto il nome di Damien Chazelle. Però, chi si aspetta le stesse atmosfere ovattate di La La Land o la violenta ferocia di Whiplash dovrebbe ricalibrare le proprie aspettative, perché The Eddy ha un sapore acre e dei tempi dilatati. Eppure Chazelle non ha certo tradito la sua poetica abbracciando lo show Netflix, anzi. Il talentuoso regista americano non ha fatto altro che soffermarsi su una nota precisa del suo abituale spartito: il sacrificio.
Da due innamorati che si perdono per inseguire i propri sogni artistici a un musicista che si autodistrugge in nome della sua ossessione, a un astronauta pronto a rischiare tutto pur di riempire il suo vuoto incolmabile sulla luna, il cinema di Chazelle ha sempre parlato di sacrificio. A volte lo ha sfiorato, altre ci ha sguazzato. E con The Eddy trova terreno fertile per raccontare i costi di una carriera musicale. Per gli artisti che sognano di vivere grazie al jazz a Parigi non c'è gloria senza pena. E per gli spettatori di The Eddy non ci sarà godimento senza un po' di tolleranza. Uno show che parte piano, disorienta, e poi sale. Piano piano, in crescendo. Come un assolo di batteria di cui solo alla fine riesci a comprendere il valore.
I tempi della vita
Occhi spenti, aria sempre preoccupata, atteggiamento schivo e scostante. Non è facile vivere al fianco di Elliot, ex musicista con un passato glorioso alle spalle, arrivato a Parigi per dimenticare lutti e fallimenti della sua vita americana. Adesso gestisce il club The Eddy assieme al vulcanico socio Farid, che la vita se la gode molto di più del suo imploso collega. Incapace di tenere le cose unite, Elliot sembra quasi condannato all'infelicità: non riesce a gestire la sua relazione con la talentuosa cantante Maja, soffre gli stenti del club e vive con disagio l'arrivo di sua figlia a Parigi. Senza dimenticare un altro enorme dolore, arrivato all'improvviso a segnarne ancora di più il volto. The Eddy parte dalla tenebrosa figura del suo protagonista, ne segue ogni passo standogli addosso sino a carpirne pensieri, preoccupazioni, ansie, e poi allarga poco per volta il suo sguardo, diventando affresco corale. Non è un caso che sette degli otto episodi portino il nome di un protagonista diverso (primario o secondario che sia), per poi sfociare nell'ottavo chiamato The Eddy come il club. Questa coralità, per quanto necessaria alla dimensione familiare del racconto, non è gestita al meglio, perché non tutte le sorti dei personaggi ci stanno a cuore allo stesso modo. Uno squilibrio che sottolinea ancora di più la scelta coraggiosa (e coerente con lo stile della serie) di soffermarsi sulla quotidianità di tutti.
Senza rispettare i canoni della narrazione seriale (ritmo, colpi di scena, cliffhanger ben piazzati), The Eddy si prende i suoi spazi, dilata i tempi del racconto e dà libero sfogo ai tempi della vita. Così sbirciamo dietro le quinte di problemi amministrativi, riti funebri, lunghe prove canore e tantissimi gesti domestici in apparenza banali ma fondamentali per calarci dentro le esistenze di questi artisti in perenne ricerca di qualcosa (affetto, stabilità). Con vaghi richiami alla vocazione realistica tipica della Nouvelle Vague, The Eddy è puro cinema d'autore prestato alla serialità. Una fusione spiazzante nei primi episodi, ma che col tempo ti fa sentire a casa. Dentro un club di fiducia in cui bere un buon drink non proprio per tutti i palati.
Se non puoi essere famoso, sii famigerato
Damien Chazelle e l'uso della musica nei suoi film
Notte fonda a Parigi
A Damien Chazelle spetta il non facile compito di aprire le porte di The Eddy, farci accomodare e mostrarci i punti forti del locale. Le cose vengono messe subito in chiaro dalla sua regia nervosa, tesa, in vena di contrasti e movimenti bruschi. Una messa in scena affannosa, prodiga di primi piani, vogliosa di stare addosso ai personaggi, coerente con la fatica di tutti i protagonisti in scena. Così lo stile registico di Chazelle lascia la sua impronta sino alla fine, quasi permea questa serie dedicata a tante anime in pena. Vivere di musica, anzi pretendere di vivere di musica, è un lusso troppo alto per non pagarne le conseguenze. Un vezzo che obbliga a pagare dazio. Non c'è talento in grado di evitare delusioni. Non esiste abnegazione capace di scacciare via una costante frustrazione. Non può esserci felicità senza sporcarsi un po' le mani. C'è davvero poca gloria in The Eddy, così prodiga di difficoltà e ostacoli, così verosimile nel mostrarci i retroscena di ogni velleità artistica.
Tutti sono sull'orlo dell'abisso, pronti a essere divorati dalla droga, dalla malattia, dalla criminalità e dalla solitudine. Ed è per questo che Parigi non è mai stata così oscura, pericolosa, persino ostile a tratti. Così lontana dagli splendori e dagli sfarzi a cui siamo spesso stati abituati proprio grazie al cinema. Culla dell'arte per eccellenza, Parigi diventa un caotico formicaio abitato da persone incapaci di stare davvero insieme, di tenersi stretti amici, familiari e amori. Tutte perse nelle loro frenetiche vite inconciliabili con l'altro. E non è un caso che la Torre Eiffel appaia solo una volta, di sfuggita e in lontananza. Distante come tutti i personaggi di The Eddy.
Netflix: 40 serie TV da vedere
Ostico come il jazz
E allora dov'è la luce in fondo a questo lunghissimo tunnel? Dopo sei episodi cupi in cui dramma familiare e indagini da pseudo thriller si alternano in modo alquanto farraginoso, The Eddy finalmente trova sprazzi di serenità e gioia pura proprio nella musica, l'unica dimensione in cui stare insieme, l'unica parentesi che fa stare bene per davvero. Quello che inizialmente è solo un indizio, con il lento procedere degli episodi diventa una certezza: The Eddy non è una serie sul jazz. The Eddy è una serie jazz. Uno show che nel jazz si specchia e si riconosce. Ostica come un genere spesso bistrattato e poco compreso, sfuggente alle definizioni e per questo faticosa da apprezzare per tutti. Se il jazz è improvvisazione, mancanza di piani stabiliti e desiderio di abbracciare l'inaspettato, The Eddy ha capito che, forse, la vita stessa è jazz. Un meraviglioso inno alla precarietà, pieno di imprevisti e fugaci momenti di bellezza. Possibile solo stando insieme ad altri appassionati che vogliono solo e soltanto suonare. Senza pensare a tutto il marcio che li aspetta una volta scesi dal palco. Una volta fuori dal club.
Conclusioni
Non per tutti, ostica, eppure dotata di grande fascino. Proprio come la musica jazz. Abbiamo definito così la nuova serie Netflix nella nostra recensione di The Eddy. Un dramma familiare ambientato in una Parigi particolarmente oscura e svestita del suo solito tocco magico. Una serie che rinuncia agli abituali tempi e alle solite dinamiche della serialità, prendendosi i suoi tempi e ibridando i generi. Cinema d'autore prestato alla serie tv, in cui la normalità della vita vince sull'eccezionalità dello spettacolo, The Eddy richiede pazienza, ma riesce a far entrare lo spettatore dietro le quinte di un locale parigino in cui la musica è l'unica ancora di salvezza.
Perché ci piace
- Una messa in scena di prim'ordine, in cui si avverte l'impronta registica sempre ispirata di Damien Chazelle.
- L'intensità di tutte le interpretazioni.
- L'idea di far specchiare la serie nelle dinamiche del jazz.
- L'esperimento di mescolare cinema d'autore e serie tv è affascinante...
Cosa non va
- ...ma rende la prima metà della serie ostica da seguire per un pubblico abituato ad altri ritmi e altri tempi.
- La deriva thriller della storia è decisamente debole e priva di mordente.