The Eddy, parla Joanna Kulig: “Mi hanno contattata perché hanno amato Cold War”

La nostra intervista a Joanna Kulig, che interpreta Maja nella serie Netflix firmata Damien Chazelle, in catalogo dall'8 Maggio.

Eddy 105 Unit 00296 R Itdt7Bp
The Eddy: in una scena della serie Netflix

Joanna Kulig è una forza della natura. Arriva al nostro tavolo con esuberanza e allegria, pronta a travolgerci di chiacchiere sulla sua esperienza sul set di The Eddy, la serie firmata da Damien Chazelle per Netflix, in catalogo dall'8 Maggio dopo il passaggio in Berlinale Series lo scorso febbraio. Proprio in quell'occasione, a Berlino, abbiamo avuto modo di intervistare protagonisti e realizzatori della serie, immergendoci nelle atmosfere del set parigino, curiosi di saperne di più di un progetto che sposa l'anima libera e creativa della musica jazz che rappresenta. Molto ci ha raccontato proprio Joanna Kulig, un fiume in piena mentre ricordava le difficoltà di un lavoro venuto subito dopo il successo internazionale di Cold War e in parte sovrapposto alla sua gravidanza e la nascita del figlio.

Da Cold War a The Eddy

Quando stavi girando Cold War, ti saresti mai aspettato di partecipare a eventi di questa portata?

202012580 3
The Eddy: Joanna Kulig in una scena della serie

Joanna Kulig: Sapevo che Cold War sarebbe stato speciale. Ma la cosa buffa è che durante le riprese del film La La Land era al cinema e a volte ero stanca per le tante prove di ballo del film e mi capitava di sentire qualcosa dalla colonna sonora del film di Chazelle e non avrei mai pensato al successo che avremmo avuto, con la campagna per gli Oscar, eccetera. E poi a maggio, quando era il periodo del parto con la gravidanza iniziata alla fine del film, c'è stato il casting per la produzione di Damien Chazelle e mi è capitato di ripensare a quel periodo, a Cold War e le canzoni di La La Land. Incredibile a ripensarci ora e a quello che è venuto dopo, al non poter tornare in Polonia, ai sei mesi passati a Parigi...

The Eddy, la recensione: vivere e fallire a tempo di jazz

Che esperienza è stata lavorare con Damien Chazelle?

Dura quanto fantastica. Se non ricordo male il nostro primo incontro è stato due giorni prima della data prevista del parto, quando ero a Santa Monica. Avevano visto Cold War, l'avevano adorato e avevano deciso di contattarmi. Quello che non sapevo allora, ma che so adesso, è che inizialmente il mio ruolo era stato scritto per un'attrice americana, ma dopo aver visto Cold War avevano deciso di cambiare e rendere il personaggio di Maja polacco perché avevano amato la mia interpretazione e volevano affidarmi la parte. Quel primo incontro era alle 8 di mattina a Santa Monica, vicino al mio appartamento perché avevo paura di dover correre all'ospedale e dovevo restare in zona. Abbiamo chiacchierato per tre ore e trovato rapidamente un'intesa, mi sono stupita di quanto lui fosse aperto mentalmente, di quanto avesse una mentalità che fosse sia americana che europea allo stesso tempo.

Eddy 101 Unit 02281 R Yiwrpng
The Eddy: Damiel Chazelle sul set della serie Netflix

Parla due lingue, sia inglese che francese, ma parlammo di musica, di come lui lavorava e di come lavoravo io. È stato tutto perfetto, ma questo è un progetto molto difficile e hanno deciso di mettere alla prova il mio inglese, per capire come sarebbero suonate le canzoni con la mia voce, perché in Cold War non ne avevamo in inglese. Ricordo che dopo l'incontro mi contattò il mio agente americano e mi disse "Joanna, vogliono un self tape. Preparalo con canzoni in inglese e mandalo al più presto!" Iniziai a farlo, ma mi fermai: odio fare self tape! Allora l'ho richiamata e le ho detto di verificare se fossero tornati da Parigi, dove Glen stava facendo casting, perché magari ci sarebbe stata l'opportunità di farlo di persona invece che a telefono o su Facetime. Riuscimmo a farlo e non posso dimenticare quel giorno. Chiacchierammo due ore, ascoltarono canzoni in polacco e Call Me When You Get There e The Eddy Song, studiarono come cantavo, come comunicavo e poi Glen mi chiese: "Dimmi la verità, riesci a preparare quattordici canzoni in inglese e due in francese?" E io risposi di getto che non era un problema, ma allora non sapevo cosa significasse essere madre. E quindi una settimana dopo, quando ho partorito a San Valentino, e poi ancora quando il bambino aveva due settimane e ho iniziato le prove, e ancora quando aveva due mesi ed ero a Parigi, ho continuato a ripetermi: Cosa ho promesso! Cosa ho promesso!" Troppe canzoni, troppo poco tempo per prepararsi, allattare, poco sonno e soprattutto deficit di memoria. Quando allatti, non ce la fai. Ripeti un verso quindici volte e non lo memorizzi. Mi capitava di piangere spesso. Poi però ho avuto la necessità di prendere una tata per il bambino e ho pensato di prenderne una americana, in modo da ripetere la parte a lei. È stata una grande idea! Incredibile, ho fatto più progressi in inglese mentre ero a Parigi con una tata americana che mentre ero a Los Angeles, perché lì parlavo polacco con mio marito e con gli amici.

Damien Chazelle e l'uso della musica nei suoi film

Essere madre sul set

Cantavi le canzoni a tuo figlio?

Schermata 2020 05 06 Alle 121510 638X425 1
La band di The Eddy

Mio figlio è un po' The Eddy Baby, conosce tutte le canzoni! Nel mio appartamento a Parigi avevo una stanza con in piano e il microfono, ma spesso ero costretta a cantare con il bambino in braccio. Il polacco è la mia lingua madre e mi sono dovuta esercitare molto per le canzoni in inglese. Per una canzone in particolare mi sono esercitata molto per memorizzarla, ormai ero pronta, e due giorni prima delle riprese mi hanno detto "abbiamo cambiato idea, la facciamo in francese". Ma sono stati tutti premurosi e il mio insegnante di recitazione era metà inglese e metà francese, quindi siamo riusciti a farcela. Si sono create tante situazioni del genere, perché non c'erano altri polacchi come me e si parlava molto il francese, però giravamo per lo più in inglese. Dopo tre mesi ti ci abitui. A volte si iniziava qualcosa in francese, si continuava in inglese... ma ogni tanto dovevo tornare anche al polacco, perché se devi ridere o piangere devi ricorrere a pensieri nella tua lingua madre. All'inizio è stato difficile, ma poi ci si abitua e diventa automatico, ci sei dentro.

Spero di non suonare sessista, ma una gravidanza e un parto cambiano il corpo di una donna. Che cosa comporta per il resto della serie? Come l'avete gestita?

All'inizio della serie Maja è molto stanca ed è incredibilmente autentico, perché io ero esausta! Stavo allattando, il mio corpo cambiava ed ero preoccupata perché il mio aspetto all'inizio della serie poteva essere diverso rispetto ai mesi e gli episodi successivi. Ma The Eddy ha uno stile documentaristico ed è interessante che Maja rispecchi la mia situazione in quel momento. Il mio insegnante di recitazione mi ha detto "non preoccuparti, è un bene se gli attori a volte appaiono meno affascinanti, a volte belli". Quella era la mia forma in quel momento, è molto naturale, ed è un bene accettare il proprio corpo perché è uno strumento per un attore. Questa è la vita, è reale, e non devi sempre essere magro ed è perfetto per questa serie che ha un look reale e a volte sporco.

Sarà stato faticoso...

È stata dura gestire tutto, perché se sei sul set di notte e stai allattando, devi considerare tutte le pause tra una poppata e l'altra, a volte dovevo estrarre il latte e qualcuno lo portava a casa rapidamente con uno scooter. È stato un calcolo continuo, tra millilitri, ore di sonno e tutte le cose da ricordare.

L'importanza di Parigi

Quanto è stato importante per la serie effettuare le riprese a Parigi?

Eddy 101 Unit 03690 R Hnkxjrj
The Eddy: una scena della serie Netflix

Glen Ballard mi ha detto che la scena jazz di Parigi è molto forte. È una cosa che non sapevo, ma è veramente enorme. Glen è vissuto a Parigi per quindici anni e ha pensato a questo progetto molto a lungo, ma ha trovato i finanziamenti necessari solo di recente grazie a Netflix, perché non è facile trovare investimenti per un'idea di questo tipo. Sono stata fortunata a essere coinvolta all'ultimo momento grazie al successo di Cold War, ma è qualcosa che era in cantiere da tanto tempo e Parigi è il luogo in cui questa idea è nata e credo sia giusto che sia stata girata lì.

È una Parigi multiculturale, che offre punti di vista diversi grazie ai tanti personaggi e le tante storie che può raccontare, riuscendo a essere molto credibile.

Assolutamente. Penso in particolare al terzo e quarto episodio, perché per me è stato molto interessante lavorare con Houda Benyamina, avevamo molti elementi arabi e da attrice polacca è stato molto affascinante. Per lo stile documentaristico che abbiamo usato, eravamo in vere cerimonie arabe, sia funebri che matrimoniali. Ci siamo immersi in quella cultura. Ricordo quando abbiamo girato la scena del funerale arabo, eravamo lì in piedi a pregare, come una meditazione, ed è stato incredibile, ci ha permesso di immedesimarci nella situazione. Ma quell'episodio è stato speciale anche perché la direttrice della fotografia è una donna francese che ha tre figli e vederla al lavoro, a volte con un paio dei figli sul set, mi ha aiutato molto, è stata una lezione importante che mi ha fatto capire che potevo farcela a portare a termine quel lavoro, che era difficile ma possibile.

E com'è stata la collaborazione con gli altri sul set?

The Eddy Netflix
Maja ed Elliot in una scena di The Eddy

Molto interessante, perché i primi episodi erano con un regista americano e anche Andre Holland e Amandla Stenberg lo sono. Io invece sono europea, ma non francese e questo vuol dire che i francesi mi consideravano dell'Europa dell'est in contrapposizione a loro dell'ovest e degli Americani. E ognuno aveva un suo metodo di lavoro, per esempio gli Americani usano molti assistenti e questo vuol dire avere tante persone diverse che ti dicono cosa devi fare e in lingue diverse. C'era gente che mi parlava in inglese, altri che mi parlavano in francese, il bambino... ero distrutta! Era il mio primo lavoro con il sistema americano, che è molto diverso dal nostro ma era naturale per i colleghi statunitensi che tra loro parlavano velocissimo come capita a me se lavoro con un regista del mio paese. Le cose sono cambiate quando è subentrato la seconda regista che era europea: per me è stato più semplice, ma è toccato agli americani doversi abituare, per loro è stato difficile all'inizio ma pian piano sono riusciti a superare i problemi. E poi nel quinto episodio avevamo ancora un'altra regista, ma avevamo scene in polacco perché è quello che racconta il mio personaggio che ha un background polacco. Agnieszka Pilaszewska è venuta sul set per interpretare mia madre e avevamo scene nella nostra lingua, quindi c'era la regista Laïla Marrakchi che parla francese ma è di origine marocchina, che doveva dirigere in inglese attrici polacche che dovevano recitare nella loro lingua. Una situazione assurda! Non mi era mai capitato di lavorare in un contesto del genere, unico e diverso, ma è stato importante affrontare questa sfida.

The Eddy, parla André Holland: "Sul set c'era un'atmosfera giocosa e libera. Come il jazz!"

Dopo Cold War ti sono stati offerti altri ruoli internazionali?

Sì, alcuni, ma da Cannes alla fine di The Eddy è stato un periodo folle, in cui sono successe tante cose, e ho deciso di prendermi dei mesi di pausa per tornare a Varsavia, stare con la famiglia e ripulire la mente per essere pronta a un altro personaggio. Probabilmente inizierò un film dopo l'estate perché penso sia un buon momento per un film in attesa di sapere se dovremo fare una seconda stagione di The Eddy, che vuol dire altri sei mesi in quella situazione folle!