Chi di voi sta leggendo queste parole e, magari, ha qualche anno sul groppone ricorderà bene quanto insegnato da una celebre pubblicità "d'epoca".
Per dipingere una parete grande, non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello. Ecco, al cinema non è semplice adattare la stessa filosofia.
Spesso e volentieri per raccontare qualcosa di grande, ci vuole anche un formato grande. Un regista come Christopher Nolan ne sa qualcosa. I suoi film non sarebbero gli stessi senza l'IMAX che è un formato grande sia in quanto a schermi cinematografici che in quanto a macchine da presa adoperate sul set.
Ma ne sanno qualcosa anche Brady Corbet e Lol Crawley rispettivamente regista e direttore della fotografia di The Brutalist, pellicola che ha già ottenuto tre Golden Globes (Miglior film drammatico, regista e attore protagonista), il Leone d'argento per la regia allo scorso Festival di Venezia e, ora, anche importanti nomination agli Oscar.
Per raccontare la storia - fittizia - dell'architetto della Bauhaus László Tóth che, scampato a Buchenwald, emigra poi negli Stati Uniti e dà libero sfogo alla sua nuova sensibilità brutalista, i due hanno "tirato fuori dall'armadio" un formato che, a Hollywood, non veniva usato dal 1961. Il VistaVision.
Una dimensione brutale
Per dare forma alla visione di The Brutalist c'era quindi bisogno di un formato capace di dialogare in maniera incisiva con i volumi particolarmente accentuati di questa determinata corrente architettonica nata, originariamente, a metà del 1900 in Inghilterra. Ma Corbet e Crawley non hanno avuto particolari dubbi per questa scelta. VistaVision era la risposta giusta.
Come il nome stesso lascia intuire, si tratta di un formato cinematografico a 35 millimetri sviluppato originariamente dalla Paramount negli anni cinquanta del secolo scorso che garantiva delle riprese molto panoramiche che si riflettevano nella "vista" offerta al pubblico una volta che un film veniva proposto sul grande schermo. Una sua particolarità è che per "maneggiarlo" bisogna impiegare delle macchine da presa all'interno della quale la pellicola è disposta e scorre orizzontalmente.
Alcuni suoi noti impieghi sono quelli fatti da Alfred Hitchcock in capolavori immortali come Intrigo internazionale e La donna che visse due volte. A Hollywood è stato usato l'ultima volta, in maniera amassiva, ne I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks) western di e con Marlon Brando del 1961. Nel mentre altri formati widescreen come il CinemaScope o i 70mm avevano soppiantato il VistaVision. Soppiantato, ma non dimenticato.
Nel tempo, svariate produzioni internazionali arrivate in un lasso di tempo che va dagli anni settanta ad oggi, citiamo Ecco l'impero dei sensi (1976) di Nagisa Oshima, La vendetta è mia (1979) di Shohei Imamura, Two sisters (2003) di Kim Jee-woon, passando per alcune scene con effetti speciali di Star Wars fino a Povere creature di Yorgos Lanthimos nel 2023 si sono ricordate della sua esistenza. Nulla però di così importante come avvenuto durante la lavorazione e il concepimento di The Brutalist.
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L'espansione del campo visivo
Ed è stata proprio la possibilità di lavorare su un campo visivo espanso che ha portato Brady Corbet e Lol Crawley in zona VistaVision.
Una decisione maturata dopo che i due hanno rivisto proprio il già citato La donna che visse due volte e, nello specifico, una sequenza che proponeva una vasta vista dell'iconico Golden Gate Bridge.
La ragione stilistica viene così illustrata da Corbet sulle pagine di Red Shark: "Il suo campo visivo è straordinario: puoi essere a ridosso di un edificio con un obiettivo da 50mm, normalmente usato per i ritratti, e vedere dal cemento al cielo grazie all'immensità del campo visivo".
Queste possibilità avevano delle ripercussioni pratiche anche dal punto di vista della resa visiva dei materiali stessi impiegati per i palazzi inquadrati: "Per l'architettura è fantastico perché puoi essere fisicamente vicino alla struttura e percepirne ogni dettaglio: puoi vedere la mineralità del cemento e allo stesso tempo catturare l'intero edificio nell'inquadratura".
Tutto questo ha avuto, chiaramente, uno scotto da pagare.
Girare in VistaVision ha significato fare i conti con la scarsità di macchine da presa ancora esistenti. Paul Thomas Anderson ne ha usate alcune per il suo prossimo film The Battle of Baktan Cross ma ha dovuto pazientare che Corbet finisse il suo The Brutalist e attendere il suo turno.
Sono anche molto ingombranti e pesanti e devono essere maneggiate da operatori esperti ma, dice il regista, "in Ungheria c'è ancora una grande cultura di riprese su pellicola, diversamente dal resto del mondo. Per noi è stata una grande conquista e una delle principali ragioni per cui volevo girare di nuovo in Ungheria".
Ma parlando di paesi che hanno ospitato le riprese del film, in The Brutalist c'è anche uno spicchio di Italia. Ossia, Carrara. Per l'esattezza le cave dove László (Adrien Brody) e il suo committente, Van Buren (Guy Pearce) si recano per procurarsi il marmo. Per Brady Corbet era di fondamentale importanza rappresentare l'impatto devastante del capitalismo su ogni angolo del pianeta. "Carrara, per me, simboleggia il modo in cui il capitalismo ha danneggiato il pianeta, quindi il paesaggio riflette l'interiorità dei personaggi" dice Corbet che prosegue dicendo "Tutto il film parla dell'interiorità dei miei personaggi, che si manifesta negli spazi che László crea nel film e negli spazi che abita".
The Brutalist non è stato girato interamente in VistaVision.
C'è la ripresa aerea di un incidente ferroviario che è stata realizzata in digitale con delle machine da presa Alexa e poi trattata con l'aggiunta di grana per uniformarsi all'estetica del film. Alcune parti dell'epilogo sono state girate con una Betacam, in modo tale da ottenere un look autentico stile anni '80. Tutto il materiale è stato scansionato direttamente in 4K (e in 6K per il VistaVision) utilizzando uno scanner DFT Scanity, accumulando 700 TB di dati.