Nei momenti di grande crisi e cambiamento gli artisti e gli architetti fanno qualcosa di molto simile: danno un volto nuovo al presente, immaginando il futuro. Forse nessun artista è più vicino all'architettura di un regista: il cinema crea mondi e più sono rappresentati nel dettaglio, con regole interne forti e coerenti, più ci invogliano ad abitarli. Non è un caso quindi che in una saga come Matrix ci sia un personaggio che si chiama l'Architetto, o che un gigante come Coppola abbia inseguito per tutta la vita un film come Megalopolis, in cui Adam Driver è proprio un costruttore di mondi. Dopo aver dimostrato di essere un talento molto promettente con l'esordio The Childhood of a Leader (2015) e averlo confermato con il bellissimo Vox Lux, al terzo film da regista l'ex attore Brady Corbet entra nell'Olimpo dei grandi: in concorso a Venezia 2024 (come i precedenti), The Brutalist è uno dei titoli più potenti di questa edizione.
La durata imponente potrebbe spaventare: 3 ore e 20 più un intervallo di 15 minuti con tanto di countdown (voluto proprio da Corbet), così come la scelta di girarlo in 70mm (trovare cinema adatti a proiettarlo in questo formato sarà più difficile). Ma ci troviamo di fronte a un'opera talmente ambiziosa e affascinante che si merita uno sforzo. Se il pubblico contemporaneo è disabituato a questo tipo di racconto, i cinefili non possono ignorare una pellicola in grado di unire il cinema di grandi autori del passato, come Luchino Visconti (c'è qualcosa di La caduta degli dei), a un maestro contemporaneo quale Paul Thomas Anderson (Il Petroliere ha sicuramente influenzato Corbet). Proprio come il suo protagonista, il regista è riuscito a creare un ponte tra passato e presente.
Al centro di tutto c'è, appunto, un architetto geniale: László Tóth (che è sia il nome di un vero architetto ungherese, sia dell'operaio che danneggiò la Pietà di Michelangelo con un martello nel 1972: non può essere un caso, a sottolineare come un artista sia sempre sia un costruttore che un distruttore). Sopravvissuto all'Olocausto, arriva a New York per farsi una nuova vita, ospitato dal cugino Attila (Alessandro Nivola). Chiamato a rinnovare la biblioteca di un ricco imprenditore, Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), instaurerà con quest'uomo ricchissimo un rapporto complicato, incentrato sulla costruzione di imponente edificio in onore della defunta madre di Van Buren. A interpretarlo è Adrien Brody, alla sua prova migliore dai tempi di Il pianista.
Il sogno americano è una violenza
È un film stratificato e denso The Brutalist: non c'è solo il racconto del trauma generazionale degli Ebrei, perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale (e non solo) e odiati, purtroppo, ancora oggi da troppi. C'è anche la resa in immagini di come il capitalismo sia una creatura complessa, in grado di offrire a chiunque un'opportunità, perché a contare è solo il profitto, e allo stesso tempo di renderlo schiavo. "Nessuno è più schiavo di chi si crede libero senza esserlo" viene detto all'inizio della pellicola, che si apre con l'arrivo a New York: ad accogliere László è una Statua della Libertà mostrata al contrario. Il sogno americano, che tanto ha affascinato chiunque volesse rifarsi una nuova vita nel corso del Novecento, oggi ci sembra funereo e pericoloso.
Il profitto a tutti i costi, infatti, difficilmente risana la differenza economica e sociale tra chi nasce ricco e chi povero, anche se quest'ultimo ha idee geniali come il protagonista. Allievo del Bauhaus di Dessau, László immagina edifici bellissimi e contemporaneamente spala carbone. Ha una vasta cultura, ma non riesce a sfuggire alla dipendenza di eroina, causatagli dal tentativo di placare il dolore di una ferita fattasi durante la guerra. Questo suo malessere però rende il suo sguardo più profondo e umano, permettendogli di trasformare i propri traumi in edifici che sfidano il tempo.
E, inevitabilmente, un altro grande tema diventa quindi il rapporto, mai risolto, tra arte e guadagno: Van Buren inizialmente rimane affascinato dalle intuizioni grandiose di Tóth, ma poi non si fa scrupoli a cambiarle o metterle da parte quando si presenta un costo troppo alto di materiali. Chi investe soldi ha sempre l'ultima parola e, nei casi peggiori, pensa di possedere l'artista e la sua arte. Concetto qui portato alle estreme conseguenze.
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Adrien Brody da Oscar
"Questo paese è interamente marcio": dirà la moglie del protagonista, Erzsébet (Felicity Jones). Come tutti i grandi imperi, anche gli Stati Uniti sono nati col sangue e la sopraffazione: Corbet, proprio come Paul Thomas Anderson nel già citato Il petroliere, ce lo ricorda, mostrandoci come anche il più raffinato e, in apparenza, aperto degli alto borghesi nel profondo sia razzista, classista, misogino. La società ideale, in cui l'uguaglianza e i diritti di tutti sono rispettati, è molto difficile da realizzare e così anche The Brutalist si fa sempre più ambizioso, sbilanciato, grande. Per poi colpirci duramente.
Se la regia di Corbet è magnifica, tutta questa struttura non potrebbe sostenersi senza l'interpretazione di due attori come Brody e Pearce: il primo è incredibile nella costruzione dell'accento (sua madre è ungherese, nata proprio a Budapest, come László), movimenti e sguardo, il secondo è alla prova migliore forse dai tempi di Memento. Il suo Van Buren è terrificante. Proprio come il lavoro di Toth, The Brutalist è una pellicola che trascende il tempo ed è destinata a farsi ricordare a lungo.
Conclusioni
Al terzo film da regista, Brady Corbet entra nell'Olimpo dei grandi: The Brutalist è un'opera monumentale, ambiziosa, dalla durata imponente. Grazie al racconto della vita dell'architetto immaginario László Tóth, interpretato da un Adrien Brody alla prova migliore da quella di Il pianista, Corbet ci racconta tutto il Novecento attraverso il trauma generazionale e il complicato rapporto tra arte e profitto. Uno dei film più belli in concorso a Venezia 2024.
Perché ci piace
- La regia di Corbet, tra Visconti e Paul Thomas Anderson.
- L'interpretazione da Oscar di Adrien Brody.
- L'interpretazione di Guy Pearce.
- La sceneggiatura di Mona Fastvold.
- La fotografia di Lol Crawley, che dà alla pellicola un'aura antica.
Cosa non va
- La durata di 3 ore e 20 più 15 minuti di intervallo potrebbe scoraggiare diversi spettatori.