Il figlio bastardo disconosciuto con vergogna, la pecora nera del gregge, una macchia indelebile su una filmografia gloriosa. Ci sono tanti modi per descrivere Taron e la pentola magica, film sciagurato, controverso e bistrattato, passato alla storia come il film che ha quasi ucciso la Disney. Con quel suo fantasy oscuro e straniante, il buon Taron approda al cinema nel 1985, e appare fuori tempo, fuori posto, fuori tono. Costato oltre 44 milioni di dollari, il film che ne incassa la metà, e diventa il punto più basso del Medioevo Disney. Il tipico fondo del barile toccato per poi prendere la spinta e risalire. Stiamo parlando di una lunga parentesi buia dell'animazione disneyana, aperta dalla morte di sua maestà Walt Disney e andata avanti sino all'uscita de La Sirenetta, che di fatto ha sancito l'inizio del Rinascimento. Però, per capire meglio il contesto infelice in cui il nostro piccolo Taron ha mosso i primi passi è importante fare un bel salto nel passato. La storia del film che ha quasi ucciso la Disney inizia negli anni Settanta. E no, non è una storia a lieto fine.
Una genesi travagliata
Walt Disney è morto da pochi anni. E con lui la convinzione di puntare in maniera decisa sui film animati come si faceva con lui in vita. Senza i loro faro creativo, i Classici Disney non escono più una volta ogni 2-3 anni, ma con sempre meno costanza, le animazioni diventano meno curate, il tratto più grezzo, i risultati altalenanti. Il Medioevo Disney inizia ufficialmente nel 1970 con Gli Aristogatti e andrà avanti per ben 18 anni tra alti e bassi. Da Robin Hood a Red e Toby nemiciamici, passando per l'incompreso Basil L'Investigatopo e Oliver & Company, che chiuderà un lungo periodo infelice. In piena ricerca di ispirazione, agli inizi degli anni Settanta la Disney acquista i diritti di una saga fantasy per ragazzi molto apprezzata da critica e pubblico. Si tratta de Le cronache di Prydain di Lloyd Alexander, una pentalogia in cui folklore irlandese e mitici celtici danno vita a un racconto di formazione per ragazzi classico ma affascinante. La Disney punta molto sulla trasposizione, credendo fermamente che quell'immaginario fantastico potesse dare vita a un nuovo franchise di successo. Purtroppo, però, il progetto è così ambizioso, corposo e ricco di personaggi che la lavorazione procede a rilento. Troppo a rilento. In azienda ci sono ripensamenti e l'amara sensazione di essersi imbarcati in un'impresa troppo grande. Nel frattempo non aiutano anche un paio di grandi scossoni aziendali.
Nel 1979 il talentuoso animatore Don Bluth lascia la Disney, dichiarando che in quel contesto rigido non c'è spazio per la sua libertà creativa. Il suo addio è un effetto domino, e altri 16 animatori lo seguono a ruota. La seconda rivoluzione è a livello dirigenziale. Roy E. Disney, nipote di Walt, dà le dimissioni e decide di lasciare l'azienda nelle mani di due dirigenti esterni: ovvero Michael Eisner (della Paramount), eletto Presidente e Frank Wells (della Warner) nominato direttore generale. Una delle prime decisioni fondamentali di Eisner fu l'assunzione di una personalità forte e carismatica come Jeffrey Katzenberg, personaggio con un passato in politica e con una fama di "saputello" a precederlo. Katzenberg viene messo alla guida della sezione cinema e il primo lavoro a passare tra le sue mani è un certo Taron e la pentola magica. E anche qui, no. Non vissero tutti felici e contenti.
10 fiabe travisate dalla Disney
Cosa è andato storto
La travagliata genesi di Taron e la pentola magica è avvenuta in un periodo di transizione aziendale ma soprattutto artistica e di conseguenza creativa. Infatti all'interno di un reparto animato sempre meno coeso era ormai nata una voragine, aperta da un inevitabile cambio generazionale. Da una parte vecchi animatori pronti ad andare in pensione e poco avvezzi alla sperimentazione, dall'altra giovani con idee rivoluzionare e tanta voglia di mettersi in mostra, come un certo Tim Burton. Frutto di questi contrasti e di grandi compromessi, la produzione di Taron e la pentola magica va avanti, e assomiglia sempre di più a una piacevole passeggiata in un campo minato. Poi arriva il fatidico momento della proiezione-test davanti agli occhi di Katzenberg, e il film ne esce con le ossa rotte. Taron e la pentola magica non piace, non funziona, viene considerato persino "inguardabile". Katzenberg ritiene il film troppo cupo, violento e spaventoso per dei bambini, e si impunta: bisogna tagliare delle scene ritenute eccessive.
I produttori e i registi si oppongono, spiegando a Katzenberg che un film animato non si può tagliare facilmente con un'opera in live action. Il capo non vuole sentire ragioni, si fionda in sala di montaggio e inizia rimontare il film da solo. Per questo il film uscito in sala nel 1985 è un piccolo mostro di Frankenstein, con tagli bruschi e scene scritte e animate in fretta e furia. In un periodo in cui il fantasy stava ritrovando appeal commerciale grazie a fenomeni come Dungeons & Dragons e Conan il barbaro, la Disney pensava che Taron avrebbe potuto cavalcare l'onda di un genere in ascesa. Senza dimenticare che il fuggitivo Don Bluth, nel 1982, aveva sdoganato un'animazione più dark e destabilizzante con quella perla di Brisby e il segreto di NIMH. Tutti incoraggiamenti che si rivelarono soltanto ingenue illusioni.
Classici Disney: i 10 migliori remake in live action
I limiti di un film disgraziato
Incredibile come la storia dietro Taron e la pentola magica sia quasi più oscura e traumatica di quella del film stesso che, a dirla tutta, ci andava giù pesante nell'ottica di un Classico Disney (ovviamente). Il film risulta a tutti gli effetti il 25esimo Classico animato, ma è evidente che sia stato rinnegato dalla stessa Disney. Basti pensare a due fatti emblematici: il film non è stato rilasciato in home video per ben dodici anni (arrivando in VHS soltanto nel 1998) e la principessa Ailin non è mai stata inserita tra le principesse Disney ufficiali. Ma cosa è andato davvero storto in questo film? Secondo noi il primo grande problema è stato il suo titolo originale: The Black Cauldron (il Calderone Nero). Un titolo che sì, restituiva alla perfezione le atmosfere cupe del film, ma era troppo vago e anonimo, mettendo in primo piano un oggetto inanimato e non il nome del protagonista. Un problema non da poco soprattutto per il marketing del film, che faticò nel presentare l'opera nel modo giusto. L'altro grande problema di Taron e la pentola magica è Taron stesso. Un personaggio piatto, vittima degli eventi, poco incisivo. Se il character design decisamente pigro ricordava troppo quello di Semola de La spada nella roccia (altro titolo senza protagonista ma molto più affascinante ed evocativo), Taron si dimostra un personaggio davvero privo di personalità, a tratti persino antipatico nella sua ambizione testarda e ingiustificata. La situazione non migliora con la principessa Ailin, letteralmente appicciata sulla storia e priva di personalità. Fallimentare anche il tentativo di inserire spalle comiche davvero poco riuscite, spesso stucchevoli nel loro tentativo di smorzare i toni di una storia che aveva proprio nella cupezza il suo tratto distintivo. Ed è proprio qui, cercando nelle zone più oscure, che potevi pescare dalla pentola il meglio di un film sciagurato.
Non è tutto da buttare
Ed eccoci arrivare alla fatidica domanda: Taron e la pentola magica merita l'oblio? È giusto che il film sia stato dimenticato e rinnegato dalla stessa Disney? Per noi la risposta a entrambe le domande è un enorme no. E non è un caso che il film sia molto amato dal pubblico, che lo ritiene uno dei film più ingiustamente snobbato e sottovalutati di sempre. Questo perché la creatura di Ted Berman e Richard Rich ha almeno un paio di motivi per essere ricordata e stimata. Il primo è senza dubbio il coraggio di un approccio narrativo insolito, capace di mettere in discussione il canone disneyano e il suo stile spesso troppo smielato. Taron e la pentola magica evita contenuti edulcorati, anzi, passerà alla storia come il primo film animato della Disney consigliato a un pubblico giovane accompagnato dai genitori, e il primo Classico a non contenere canzoni né in sottofondo, né cantate dai personaggi. Controcorrente e rivoluzionario, il film recuperava alla perfezione l'approccio fiabesco della tradizione popolare e dei fratelli Grimm, piene di storie che colpivano i più piccoli proprio grazie ai loro contenuti destabilizzanti e paurosi. Il film è stracolmo di scheletri, contiene un cadavere, orride creature, minacce continue, sangue dalla bocca del protagonista, un cattivo che non vuole soltanto dominare il mondo (ma annientarlo) e persino seni sbattuti in faccia con allusioni sessuali nemmeno troppo velate. Senza dimenticare la mitica scena in cui un drago dà alla caccia a un maiale che emette grugniti strazianti. L'altro grande pregio del film è nel suo comparto estetico, nella grande capacità di tuffarti dentro un fantasy credibile, sporco, logoro, curatissimo in ogni piccolo particolare. La cura delle ambientazioni, impreziosita da splendidi fondali e da effetti ambientali riuscitissimi,(come la nebbia), riesce davvero a ricreare una sensazione immersiva incredibile, che ti prende per mano e ti porta dentro una sessione animata di Dungeons & Dragons. Tutti motivi che ci fanno credere che questo film, al netto dei suoi evidenti limiti, sia un piccolo e anarchico incompreso. Forse Taron e la pentola magica è arrivato nel momento sbagliato, troppo presto per essere compreso. Rivisto oggi, finalmente, possiamo comprenderlo. Ed è per questo che ci tenevamo a raccontare la sua incredibile storia.